Ci siamo ammalati tutti, in questo anno nefando. Persone, societa’ ed economie.
Nel momento di massima emergenza e allerta della pandemia, all’inizio di un maggio pieno di giornate di sole, ho letto il blog di una artista greca, Georgia Sagri. Un resoconto veloce, scarno, di due pagine, di quella esperienza comune a molti di noi, i ‘sani dal virus’ ma ammalati dentro dal morbo dell’irrequietezza e dell’incertezza.
Georgia Sagri on optic fever and social immunity – Artforum International
Un racconto minimale di rituali ossessivi, nel continuo controllare le ultime notizie, i feed dei social media, le pagine elettroniche, come se affogare nel brusio elettronico appianasse la strana sensazione che la pandemia aveva introdotto. Una nebbia digitale che rende piú accettabile la stagnazione dentro le nostre celle personali, appena intervallata da altri rituali fisici, come andare a correre, camminare nelle strade deserte di ovunque fossimo. Pedalare veloci. O innaffiare le piante, come un’affermazione di vita che doveva continuare.
E, nel racconto, l’artista lo scrive, ‘We are all sick’. Ci siamo tutti ammalati. Una frase diretta al cuore che mi ha colpito cosí tanto che l’ho stampata su una maglietta, per l’estate inesistente e fantasma che siamo riusciti a concederci, un’estate che sapeva giá di autunno o che non è mai riuscita a tramutarsi da quella primavera che ci ha sorpresi nelle nostri torri, appartamenti, isolamenti. O lungo la strada da casa al lavoro, con mascherine, gel e l’incertezza che solo un nemico invisibile provoca.
Ed oggi, mentre Londra scivola nel suo coprifuoco n+1, a causa di una mutazione del virus stesso, il senso di malattia latente continua a rendere incerto lo sguardo sul futuro, soprattutto quello prossimo, il dopodomani, se non il domani stesso. L’incertezza è il sentimento prevalente e, in questi giorni, me lo sono trovato anche stampato, in due libri usciti di recente, Economia Sentimentale di Edoardo Nesi e La Pecora Nera di Silvia Merler.
Due persone diverse, da due angoli diversi dell’essere italiano nel 2020: da un lato, Edoardo Nesi, romanziere, premio Strega e cantore del declino industriale, ma non sentimentale, di quelle terre che conosco bene, fra Firenze e Pistoia (Prato). Descritte come le avrebbe raccontate un Kerouac della classe media italiana. Con questa ricerca di eroi suscettibili ai tempi, come i personaggi di Storie della mia gente, e de l’Estate Infinita. E che riescono sempre a trovare, tra ironia feroce e sentimenti scoperti come nervi delle cere della Specola, una via di scampo. Una di quelle fessure di cui cantava Cohen. Da cui traspare la luce di una speranza, o del censo che attutisce i colpi della crisi.
Dall’altro lato, Silvia Merler, economista a capo della ricerca di un fondo di investimento, una rappresentante di quella nuova generazione di talenti italiani che hanno fatto carriera all’estero ma che vedono l’Italia come un vetrino da laboratorio per i loro studi e le loro ambizioni (speranze). Ed anche Silvia ha deciso di tornare a casa e vive fra Torino, Milano e Trento, dopo svariati anni all’estero. Una di quelle persone con una passione all’economia che diventa passione socio-politica e confronto. Seguite il suo account Twitter, sempre pieno di spunti e di confronti con altri economisti.
I due libri sono usciti insieme, nelle stesse settimane e sono opere post-pandemiche. Perche’ da quel febbraio 2020 tutto e’ cambiato, nuovamente e questi due resoconti sono una sustanziazione di quell’idea della malattia che l’artista greca mi aveva dato, in quel momento della pandemia dove TUTTO era fermo.
Abito a Londra e i mesi di isolamento sono stati un viatico surreale. Le strade deserte, i negozi che passavano da avere un cartellino piccolo di scuse per gli avventori, che tutto sarebbe tornato normale a breve, alla pila di posta e volantini attraverso la feritoia della porta dello stesso negozio, al fondo svuotato di tutto. E qualche giorno dopo un cartello Affittasi o Vendesi fuori. Una parabola comune a mezzo mondo, il senso di arresa ad un male molto piu’ grande della pandemia, un male terminale a cui il virus aveva dato una velocita’ subliminare.
Ed accanto a questa via crucis dell’economia, come si legge anche nel libro di Nesi, un sommovimento, uno stravolgimento di tutti i nostri stili di vita: cose anche naturali come andare a passeggio, vedere persone care, sono diventate avventure, spesso raccontate con i social. Le cittá come se abbandonate o sopravvissute, come dice Nesi, alla famosa bomba N, che, nelle memorie di noi figli degli anni della Guerra Fredda, era quella arma che poteva polverizzare le persone ma non i palazzi. Un po’ ne vedemmo qualcosa con Chernobyl, e, similarmente alle radiazioni, il contagio ha reso tutto il mondo un luogo contaminato, vuoto, dove tutto diventa vintage, reliquia. In attesa di una nuova normalitá.
Come il babbo di Nesi, che, nel suo libro, appare spesso come un fantasma shakesperiano, a dare la dritta a chi ha lasciato indietro, dove il castello di Elsinore e’ l’ufficio che sovrastava, mi immagino, i telai e i magazzini della fabbrica. Merli fatti di balle di fibra di lana. E i guardiani sostituiti dagli operai sporchi di fuliggine che negoziano il prezzo – in uno dei racconti del libro. E l’ultimo capitolo (Spoiler Alert!) dove il padre e’ in camicia bianca, a Los Angeles. Il fantasma perfetto di quel mondo italiano imprenditoriale e coraggioso, dove contava l’esserci nel reale piuttosto che starci in superficie.
Guardando piú vicino a casa, i due libri solcano sentieri di pensiero paralleli, perché in qualche maniera, hanno una simile intenzione: dimostrare come la pandemia sia forse l’ultima occasione per l’Italia per fare ‘reset’. Perche’ il Bel Paese prima della pandemia era, come descrive magistralmente Merler, una nazione in continuo declino, demografico, sociale, economico e finanziario. La sua narrazione non nasce da opinionisti con emoticon di gatto nella rete, ma dalla oggettivitá suprema dei dati, ben spiegati non solo da decine e decine di studi e di ricerche accademiche ma dal clima che si respira in Italia da anni, quello di una lenta, inesorabile arresa al futuro che nasce altrove ed usa l’Italia come un laboratorio, un monito per chi non abbia capito che non si puo’ continuare a mettere insieme aspirazioni liberiste, politiche di sviluppo socialiste e assistenzialismo senza discernere o senza valutare l’impatto delle scelte di politica economica. Perche’ ad un certo punto lo spendi-spandi-effendi alla Rino Gaetano non funziona piú.
Il debito che cresce, lo so per esperienza professionale, segue sempre una storia di qualcosa che non funziona, nei meccanismi della trasmissione fiscale e monetaria. In Italia, è come se pagassimo le spese sanitarie dei nonni con le carte di credito dei nipoti.
L’Italia era in stagnazione ben prima dell’ingresso dell’Euro e tutta una serie di politiche industriali e sociali arrancanti ne hanno decretato un continuo ed inesorabile sentiero verso un ‘tramonto’ economico. Lo stesso Olivier Blanchard, neanche un anno fa, scriveva che l’Italia ‘ha stagnato per decenni anni e potrebbe continuare a farlo per altrettanti decenni’.
Questo, prima del Covid-19, prima di questo riaggiustamento che sembra, giorno dopo giorno, un salto quantico, senza rete se non quella offerta dalle istituzioni Europee, con MES, Recovery Fund e acquisti della BCE come motori principali (ma ci sono molte altre iniziative ben descritte nel primo capitolo del libro di Merler).
Un tramonto che Nesi ha raccontato, come una parabola, in tutti i suoi libri, dove la competizione cinese nel settore dei tessuti e la globalizzazione non solo dei consumi ma anche della produzione, sono il risultato. Di una scommessa al ribasso degli stessi imprenditori italiani (che, nelle foto dei loro siti web sono sempre vestiti di tutto punto, in abiti di kashmir, ma che poi devono vendere alle grandi multinazionali del fast fashion per sopravvivere) e della trasformazione del ruolo dell’imprenditore da animale con istinti primordiali, gutturali, a figlio spurio di qualche Master o MBA in giro per il mondo. La critica recente di Tusk all’eccesso di MBA quando il mondo sembra dover aver bisogno di individui visionari, oggettivi e spudorati per un mondo dove le regole del passato non saranno piú valide.
Riconosco quel mondo di cui parla Nesi.
Mio nonno paterno, dopo la guerra, e sopravvissuto nonostante fosse un marinaio nei teatri di guerra, cominció guidando i camion della Arrigoni, per poi cominciare a metter da parte un gruzzoletto che lo portarono ad aprire la sua fabbrica di porcellana. Porcellana bianca che comprava in Germania e che faceva decorare dagli artigiani sestesi, una tradizione ormai quasi persa (come è quasi perso il fantastico museo di Doccia, un percorso incredibile nella storia della porcellana fiorentina che non é solo Richard Ginori). E mio nonno investiva, rischiava. A volte si faceva turlupinare, a volte era lui ad avere la carta vincente.
Come il babbo di Nesi, che, nel suo libro, appare spesso come un fantasma shakesperiano, a dare la dritta a chi ha lasciato indietro, dove il castello di Elsinore è l’ufficio che sovrastava, mi immagino, i telai e i magazzini della fabbrica. Merli fatti di balle di fibra di lana. E i guardiani sostituiti dagli operai sporchi di fuliggine che negoziano il prezzo – in uno dei racconti del libro. E l’ultimo capitolo (Spoiler Alert!) dove il padre e’ in camicia bianca, a Los Angeles. Il fantasma perfetto di quel mondo italiano imprenditoriale e coraggioso, dove contava l’esserci nel reale piuttosto che starci in superficie.
In questo racconto emotivo, personale, dell’economia esiste anche il punto di connessione fra i due libri. Traspare quando Nesi, nel suo libro, scrive, nel capitolo dedicato al suo amico e traduttore/autore Perroni, come ‘l’economia [gli] appaia sempre piú una scienza viva e umanissima, sicuramente la piu’ adatta di tutte le discipline a raccontare la sostanza delle nostre vite ed il fervore dei nostri sogni e la miseria delle nostre paure’.
I due libri, parlando di sfide globali, europee (nel libro di Merli troverete un aggiornamento molto utile su come districarsi nel castello di sigle, iniziative e programmi europei), ci raccontano che quella lotta che mio nonno, il babbo di Nesi, quella generazione che accumulava capitale pensando a reinvestirlo, piuttosto che farlo diventare ‘il tesoretto’ degli Italiani, è una lotta forse, al momento, persa. Perche’ un sistema che non genera autopoieticamente ritorni è un sistema che dovra’ giocoforza sostenersi con i soldi delle banche, o pubblici. O degli strozzini mafiosi, nel mondo delle piccole imprese. Il cancro della criminalita’ organizzata e del clientelismo, il grande assente dalla narrazione della crisi italiana.
I due libri sono racconti personali (anche quello di Merler, perche’ la vita di un ricercatore ed accademico è comunque costruita attorno a numeri, modelli econometrici e stime) dell’economia dell’ineluttabile. L’arresa all’evidenza di una lotta quasi impari, la lotta da cui non ci si rialza.
Anche se non si arrendono mai, Edoardo e Silvia, nel cercare di presentare il senso dell’impasse del paese ma anche cercare di trovare soluzioni. Da un lato lo scrittore, dall’altro l’economista.
L’economia, nella sua parte normativa, è un continuo racconto del divenire della storia, od un tentativo di interpretarne i movimenti, per evitarne gli effetti negativi nel futuro. O per capire di cosa avere paura. E la narrativa dei due libri sembra convergere anche nell’analisi delle motivazioni.
Il senso di ineluttabilitá non è sempre stato scritto nel DNA del paese o degli italiani. È il risultato di una mutazione genetica di quasi quaranta anni fa, probabilmente in quel momento nel quale sono arrivate globalizzazione e mega-corporativizzazione del paese, nel momento, che Nesi definisce bene, di raggiungimento massimo dell’utilizzo delle tecnologie esistenti.
In attesa di una grande trasformazione che sta gia’ accadendo, ora accelerata dalla pandemia.
Nei due libri, il logos di questa trasformazione si muove in parallelo, come se avessimo bisogno non solo di tecnologie ma anche di parole nuove in questa terra straniera del futuro dopo il Covid-19.
Perché siamo all’alba di una grande, enorme, spropositata singolaritá. E non accadra’ dal giorno alla notte, sará un percorso lento ma deciso, di una grande rivoluzione davanti a noi: la fine dell’umano come forma unica di coscienza autoreferente del mondo.
Avremo intelligenza artificiale e, anche se in maniera piu’ filosofica, il riconoscimento di un altro agente, il pianeta. Il momento dei grandi cambiamenti climatici ci dovrá far rendere il pianeta un soggetto giuridico, come parte lesa o, attraverso le lenti della scienza, uno stakeholder da consultare.
Il problema sará come trasformare l’assillo della sostenibilitá non in un impiccio od argomento da salotti bene, da 1% o come meccanismo per vendere i famosi titoli ‘verdi’, ma come aggiungerlo alla percezione dell’added value dei consumatori finali. Di chi rappresenta il 99%. La preoccupazione che nel libro di Nesi e’ nelle parole di Livia Firth, che non solo fa comunicazione ‘verde’ ma prova a praticare quello che comunica. E nel libro di Silvia con l’enfasi sulla rivoluzione ambientale del Next Generation EU.
Il punto critico che il libro di Nesi svela solo in parte é che molti degli argomenti, molti dei temi di cui parla, reddito universale, sostenibilita’, uso di un calcolo del PIL piú adatto a raccontare il benessere integrale della societa’, lavoro per tutti, necessita di una rivoluzione culturale dei consumi, degli usi. E questo avra’ un costo psicologico, oltre che sociale, enorme. O avrebbe avuto un costo tale, se non avessimo avuto il Covid. La grande malattia, l’isolamento, il telelavoro, gli aerei a terra, ci hanno raccontato che, ovvia giú, si vive anche volando meno, anche viaggiando meno in giro. Il 2020, oggi che finisce, sembra sia durato quasi un decennio per la nostra psiche e per la nostra pelle. Ma ci ha insegnato che cambiare repentinamente e’ possibile, salvo che la narrativa della politica e della finanza sia quella di educare e di salvaguardare.
E non è un caso (e qui ne parla bene Merler) che la Commissione Europea a guida Ursula Von Der Leyen e nel semestre tedesco (quelli che devono vendere le macchine agli italiani, come racconta Guido Brera in uno degli ultimi capitoli del libro di Nesi) abbia messo al centro i motori del futuro, nella pianificazione del Next Generation EU: digitalizzazione, sostenibilitá, educazione, pari opportunitá.
Diritti. Ambiente. Macchine. Un trittico di temi che sará il vero propulsore di una societá diversa. O, piu’ precisamente: diritti umani intesi come difesa dell’individuo e dell’educazione, autocoscienza delle macchine, ambiente/pianeta come fattore di valutazione degli investimenti.
Nel libro di Merler sembra esistere una risposta coerente ai dubbi ed alle domande del libro di Nesi. Seppure nella narrazione di un declino rumoroso e quasi lineare. In un racconto di quella asimmetricita’ Italiana doppia. Fra Italia e resto d’Europa e Italia al suo interno, dove si deve tener conto non solo della solita dualita’ Nord/Sud, ma anche fra diversi Sud e diversi Nord. Perche’ non è tutto Milano quello spazio economico miracoloso fra Alpi ed Adriatico. Esiste una parte di quelle zone che si e’ sentita abbandonata dalle istituzioni, come il Nord Est leghista. E dove modelli di sviluppo molto diversi sono convissuti accanto.
E la pandemia, nella apertura che il paso doble dl Next Generation ha offerto, ha sbriciolato una serie di dogmi europei, dai vincoli di bilancio, alla creazione di asset europei, primi passi verso gli Eurobond (anzi, i secondi, dopo l’invenzione del MES come vera prima forma di mutualizzazione del debito europeo).
Lo sforzo delle istituzioni europee nel creare strumenti per ridurre il divario fra diverse aree, è epocale. Dalla Banca Centrale Europea, all’uso del MES come finanziatore ‘sociale’ e non come istituzione last resort, fino al rilassamento delle regole dell’Autorita’ Bancaria Europea e dell’ESMA. Uno schema di intervento be strutturato e completo.
In questa eterna battaglia rap fra cicale e formiche europee, dove si alternano battute e interviste in cui gli uni attaccano gli altri, il libro di Merler’ é ingenuamente e ingegnosamente capace di dimostrare come quella malattia italiana della decadenza ha anche origine in una continua dissociazione degli Italiani dal senso civico, dall’impegno politico e nell’associazionismo.
L’Italia che si bea di essere solidale non coglie come l’Europa stia cercando di muoversi dentro alvei non nuovi (dato che sussidiarietá e solidarietá sono parole chiave dei primi trattati europei) ma antichi, come le pietre delle nostre cittá dove le parole Caritas e Misericordia sono scolpite da secoli.
Merler studia da analista seria le origini malessere italiano, trovandolo in differenze territoriali e di gestione della cosa pubblica con molte ragioni (e.g. criminalita’ e clientelismo) che diventano ansia economica e incertezza nel futuro. Fattori che hanno creato l’immigrazione e ridotto nel tempo la fiducia degli Italiani nel progetto Europeo. Paradossalmente attribuendo valore a populismi inclusivi ed esclusivi che sono ancora piú dilapidatori di armonia sociale e che non offrono soluzioni vere. L’Italia è un laboratorio sociale dove forme di demagogia social hanno propagato idee spesso malformate o non ben istruite su temi importanti.
In nuce, il libro di Merler e di Nesi descrivono la morte della fiducia degli Italiani nelle loro stesse capacitá, la dilapidazione del capitale umano e, a seguire, la giustificazione di comportamenti come l’evasione fiscale e la corruzione. O quella disperazione lieve, che diventa inoperosita’ piuttosto che rabbia o scontento che, negli anni Settanta, erano piazze, scioperi, conflitto sociale.
Ed oggi l’Europa offre ancora una volta un’ancora di salvezza che, per esperienza diretta, so aver funzionato in altri paesi. L’idea che negli interventi Europei ci possa essere una soluzione piena speranza è qualcosa che traspare in tutto il libro di Silvia Merler. Come, nel libro di Nesi, rimane aperta una porta alla speranza, che qualcuno o qualche idea nuova ci possa traghettare verso un mondo nuovo.
Ma rimane un monito finale: bisogna aver consapevolezza che viviamo non solo in un’economia ma in una societa’ dell’ineluttabile (il gattopardesco sentiero di stagnazione e decadenza che finisce il libro di Merler) e si risolverá solo se gli Italiani torneranno a fare gli Italiani degli anni Sessanta, come il babbo di Edoardo Nesi, un figlio di ciabattini che si era inventato un’azienda perche’ prima che a tutte le promesse elettorali, all’ambaradan delle regole, delle promesse politiche, prima di tutto ha cominciato a voler credere ed emancipare se stesso.
E questa è la storia di tanti, resa epopea da Nesi, quando ci racconta di chi prova a cambiare il mondo attorno a se, che sia la moglie Carlotta che lo porta a vedere il Tondo Doni o il professor Giovannini che prova in alcuni capitoli del libro, a raccontare una speranza. La stessa cosa che fa Merler con la sua ricerca sul capitale umano. E da lí bisogna ripartire. Come monadi Italiane Europee.
Miglior augurio non saprei farlo per il 2021, che pensare a ripartire da domattina con una coscienza che ci aspetta forse non qualcosa di migliore, ma di nuovo da modellare con energia e misericordia per gli altri. Anche dalla Londra a poche ore dall’uscita dall’Unione Europea.
Economia sentimentale | La Nave di Teseo
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