Ne abbiamo bisogno, si. Di musica leggera, anche leggerissima, come cantano – incantando – Colapesce e Dimartino. Ne abbiamo bisogno dopo un anno in cui le parole nuove sono diventate immediatamente comprensibili, senza mistero. Ne abbiamo bisogno perché ci sono ancora tamburi che risuonano annunciando temporali e spostando la calda estate troppo più in là. E l’estate che tutti stiamo nuovamente aspettando è la luce fuori dal tunnel della pandemia, che iniziamo ad intravedere ma che ogni giorno sembra irraggiungibile. Ed è forse per questo che le canzoni e le parole di questo Sanremo di pandemia non hanno fatto molta presa nel paese reale, mentre questa richiesta di leggerezza, che non è mai superficialità, ha trovato subito un suo posto al sole. Perché dopo un anno vissuto così, tra la paura del contagio e quella di non poter abbracciare gli affetti più veri, abbiamo bisogno di altro: della cura, del sollievo, della fine dell’incubo, della nostra vita lasciata in qualche cinema o in un locale affollato di gente che ormai ha abbassato la saracinesca per non riaprire più. Ma soprattutto del vaccino, per tutti. E’ un anno che viviamo in un eterno presente, un tempo distopico in cui nessuno riesce più a programmare, a guardare oltre. Ci facciamo compagnia con gli sguardi, con i saluti da lontano che sono segnali di solidarietà come in una battaglia che avvicina, rende tutti uguali, ma timorosi. Perché la vita e la morte hanno questo potere: ristabiliscono l’ordine delle cose, danno il giusto valore alle parole, mostrano la verità senza appello. Pensare al futuro vuol dire avere una prospettiva di questa nuova normalità. Ma chi lo sa come sarà il tempo nuovo? E chi ha davvero la forza di pensarci?
E’ vero, la fase è scientificamente diversa, ma la variante inglese ci ha ributtati con violenza nell’incubo dell’ignoto. Esattamente ad un anno fa. Ma questa primavera che sta arrivando può essere davvero diversa da quella del 2020. Accelerare sui vaccini è l’unica cosa da fare, ed è un bene che sia Draghi che il Commissario Figliuolo stiano lavorando ad organizzare al meglio la logistica, con una strategia precisa. Perché affidarsi alla buona sorte e comunicare il nulla non sono elementi strategici e non risolvono il problema. Però diciamolo chiaramente: Mario Draghi ha fa con i fatti quello che altri non facevano nemmeno a parole. Senza veline. Senza indiscrezioni per sondare il terreno. Senza dirette sui social. Senza interviste televisive. Sostanza e pragmatismo al servizio del Paese. Ma ora bisogna andare veloci con le vaccinazioni, senza primule e senza sosta.
C’è un nuovo desiderio di libertà in questi nostri giorni, che non conosce mare dove approdare. Il mare, così lontano, come una terra promessa e mai mantenuta, come una parola sospesa che non vuole cadere sulla pagina bianca dove lo scrittore raccoglie fotografie traslucide e malinconiche. I balconi non cantano più da un bel pezzo, si continuano a contare solo numeri che sono vite, anime, storie, lacrime, sentimenti, famiglie. Bisogna resistere, ancora, ma non è facile. E’ tutta una vita che resistiamo, che lottiamo, che non facciamo altro che guardare in avanti lì dove saranno i nostri passi. Allora un po’ di musica leggera nel silenzio assordante delle zone rosse serve più che mai. Quel balletto così semplice di Colapesce e Dimartino è fatto proprio per noi che stiamo a casa e abbiamo voglia di niente. E cantiamo per non cadere dentro al buco nero che sta ad un passo da noi. Più o meno.