Conti in rosso, il baseball Usa rischia il fuorigioco

Conti in rosso, il baseball Usa rischia il fuorigioco

Torneranno a popolarsi a fine marzo per l’inizio della nuova stagione i diamanti della Major League, il campionato di baseball americano. Ma è ormai prassi consolidata che lo sport viva al di fuori degli stadi, specialmente nelle aule di tribunale o negli uffici legali. Da New York a Los Angeles, nel più classico dei coast to coast statunitensi.

Nella Grande Mela, nella squadra dei New York Mets, le acque sono piuttosto agitate. Nei giorni scorsi Bernard Madoff ha detto che le banche dovevano sapere di quello che stava combinando, riferendosi alla truffa di 50 miliardi di dollari ai danni dei suoi clienti che gli ha reso una condanna a 150 anni di carcere. Qualcosa poteva sapere Fred Wilpon, l’uomo a capo della squadra che rischia grosso perché la proprietà è stata citata per 300 milioni di dollari di presunti profitti fittizi, ma soprattutto potrebbero ritrovarsi ad aggiungere altri 700 milioni al conto per i danni provocati in entrambi i casi dalle connessioni con la truffa orchestrata dall’ex presidente del Nasdaq: infatti secondo l’avvocato della corte Irving Picard e rappresentante delle vittime, i Mets avrebbero utilizzato alcuni fondi per gestire la squadra.

Con un miliardo di dollari da restituire alla giustizia, la posizione di Wilpon diventerebbe insostenibile e un’intera società finirebbe al collasso. Tanto che c’è già chi si è messo all’opera per rilevare il tutto: i rumors dicono che il magnate Donald Trump voglia aggiungere alla collezione privata la franchigia newyorkese che secondo il magazine Forbes ha un valore di 858 milioni di dollari. Wilpon nei mesi scorsi ha fatto intendere di essere intenzionato a cedere solo il 25% della società, mentre un primo incontro tra le due parti sarebbe saltato. I soliti ben informati dicono però che il tifoso degli Yankees Trump sia deciso a portare in porto l’operazione per poi attendere il giudizio della Major league baseball (Mlb), la lega professionistica, e del suo commissioner, Bud Selig.

Dall’Atlantico, al Pacifico dove il clima è più mite e pure hollywoodiano dove i Los Angeles Dodgers sono al centro di un contenzioso tra ex. Frank McCourt è il fondatore della McCourt Company, società che dal 1977 opera nel mercato immobiliare, e negli ultimi tempi ha sviluppato un certo appetito per il baseball. Nel 2002 tentò l’acquisto dei Boston Red Sox, senza fortuna. Solo due anni dopo divenne proprietario dei Dodgers che al tempo avevano un valore stimato in 399 milioni di dollari. Oggi valgono 727 milioni e nel 2010 hanno avuto entrate pari a 247 milioni: erano 154 nel 2004. McCourt ha contribuito anche al rinnovo dello stadio.

Il guaio è che Frank dopo 30 anni ha divorziato dalla moglie Jamie che, tra le tante cose, vuole tutta per sé la squadra californiana, dopo che a dicembre è stata cancellata la clausola dell’accordo post matrimoniale che faceva del marito il solo proprietario. Nel quadretto famigliare si è infilato il commissario della lega, Selig, che vorrebbe liberarsi del clan McCourt per aprire le porte ad una mezza dozzina di potenziali acquirenti locali. Se fosse una sceneggiatura sullo stile “Beautiful” e lo scenario è quello ideale, andrebbe messo in conto un colpo di scena dietro l’angolo.

Discorso diverso quello che riguarda gli Oakland A’s che potrebbero migrare nella vicina San Jose, la capitale della Silicon Valley, quartier generale della tecnologia americana. E dove un’agenzia ha già acquistato del terreno per costruirci uno stadio. Gli Athletics di per sé non reggono il confronto economico con le rivali: il valore della franchigia nel 2010 era attestato sui 295 milioni di dollari, con entrate pari a 155, occupando la penultima posizione nella classifica delle squadre più competitive in termini finanziari. Poi c’è il fattore sfortuna: i vicini di casa San Francisco Giants hanno vinto lo scorso campionato, mentre per gli A’s il traguardo play off è sfumato per la quarta stagione di fila. Il commento che circola negli ambienti della Mlb è che «a Oakland non c’è futuro», come del resto a St. Petersburg, Florida, casa dei Tampa Bay Rays.


Il mercato americano non fa sconti: se non c’è un bacino d’utenza che assicuri visibilità e grandi numeri, i conti si fanno presto. Non è un caso che anche nella Nba, la lega del basket, circolino voci di tanto in tanto sulla scomparsa di qualche team: a ottobre gli occhi erano puntati sui Milwaukee Bucks, dati prossimi allo scioglimento. Nel baseball è il turno dei Tampa Bay Rays: 23.000 tifosi di media sono troppo pochi per un impianto come il Tropicana Field che può contenerne fino a 36.000. Le entrate del 2010 si sono rivelate di poco superiori a quelle registrate a Oakland (156 milioni di dollari), mentre il valore complessivo della franchigia è sceso di un punto percentuale, a 316 milioni. Sintetizzando: nessuno se li fila. E guai a non sapersi assicurare popolarità: si finisce direttamente fuori campo.

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