PARIGI. Pochi conoscono a fondo la grande passione per i media di Vincent Bolloré. Per comprenderla al volo, basta pensare che proprio nel momento di massima crisi dell’editoria, soprattutto della carta stampata, lui continua a investire (circa 15 milioni di euro l’anno) nel piccolo impero che ha iniziato a costruire nel duemila. Oggi il suo polo media, che impiega 600 persone con attività nelle tv, nella carta stampata e nella pubblicità, realizza 65 milioni di euro di fatturato (circa 40 milioni dei quali vengono dalla tv e 20 milioni dai quotidiani gratuiti). Ma non è ancora in attivo dal momento che costa circa 80 milioni di euro l’anno e prevede di essere a break even nel 2012.
Intanto però fa passi avanti nel progetto di diventare leader indiscusso dei gratuiti e crescere nel mondo della tv francese. La free press con i due marchi Direct Soir e Direct Matin ha superato il milione e trecentomila copie (con l’obiettivo di arrivare a 1,5 milioni entro fine anno), mentre la tv Direct 8 ha realizzato a gennaio un record di audience (il 2,4% con 0,6 punti in più su base annua). Sono questi i numeri che permettono di beneficiare del recupero della pubblicità (+8% nel primo semestre nel 2010 per la Francia) e di immaginare nuove iniziative come il quotidiano a pagamento «in stile “Il Foglio” di Giuliano Ferrara», il cui lancio è slittato però già due volte ed è stato rimandato a data da definirsi.
Del resto i manager del gruppo Bolloré hanno una visione ben chiara di dove vada la pubblicità grazie al fatto che l’industriale, socio di Mediobanca al 5%, è anche presidente della società francese Havas (di cui ha una quota del 32%) e azionista della rivale inglese Aegis. Queste due società, assieme a rivali come Wpp e Publicis, oltre a occuparsi di comunicazione, gestiscono infatti i budget pubblicitari (e quindi gli acquisti di spazi sui media) delle aziende di mezzo mondo. Di recente Havas ha anche conquistato il budget della campagna pubblicitaria di Che Banca!, l’istituto retail lanciato proprio da Mediobanca.
Se da un lato, però, l’impressione è di un industriale capace di costruire pezzo per pezzo un impero editoriale, dall’altro emerge un rapporto con la stampa non sempre disteso. Nel maggio scorso, Bolloré ha citato in giudizio e vinto una causa contro France Inter per un documentario dal titolo «Cameroun, l’impero nero di Vincent Bolloré» ritenuto dai giudici francesi diffamatorio perché il giornalista Benoît Collombat accusava il finanziere di non aver rispettato gli impegni presi con lo Stato e i diritti dei lavoratori nel porto di Douala dove il gruppo Bolloré ha importanti interessi nella logistica. «Il tribunale ha dato una seria lezione di giornalismo a certi giornalisti», ha sentenziato l’avvocato di Bolloré, Olivier Baratelli.
Sempre nel Continente nero Bolloré è stato al centro di una guerra mediatica nell’ambito dello scontro con un ex socio in affari, Jacques Dupuydauby, numero uno della spagnola Progosa, per la conquista della gestione del porto di Lomé, in Togo. Le battaglie contro Progosa non sono state prive di pesanti colpi bassi da entrambe le parti attraverso la diffusione di documentazione e informazioni per screditare la controparte. A tal proposito, il direttore di “Tingo Tingo”, uno dei più noti settimanali togolesi, Augustin Assiobo, che è anche presidente dell’associazione della stampa locale, ha dichiarato pubblicamente di essere stato avvicinato da alcuni dirigenti del gruppo Bolloré per diffondere la notizia di una vecchia condanna del direttore degli affari legali di Progosa, Gérard Periere.
Su questa vicenda in Francia si esprimono anche il mensile Capital e il giornale cattolico Témoignage Chrétien: per il primo scatta la denuncia per diffamazione con conseguente perquisizione della sede, per il secondo un duro attacco senza però conseguenze giudiziarie. Sempre in patria ogni tanto Bolloré sale agli onori delle cronache per aver orientato le scelte editoriali delle proprie testate: il finanziere, che prestò lo yacht Paloma al presidente Nicolas Sarkozy per una vacanza post-elettorale, avrebbe censurato la pubblicazione su Direct Matin di un articolo contro l’intervento duro della polizia su un gruppo di musicisti rom perché «sgradevole per la Francia». Semplice patriottismo? Possibile.
Tuttavia fa riflettere il fatto che in un articolo del 5 gennaio scorso il settimanale Canard enchaîné rivela che lo Stato francese, a tre anni dalla crociera di Sarkozy, ha pagato alle società di Bolloré una fattura pubblicitaria da 28 milioni di euro: «La gioiosa operazione di propaganda in favore della riforma delle pensioni è stata fatturata da Havas circa 11 milioni (..). La campagna destinata a promuovere l’attività fisica dei cittadini è costata 10,5 milioni», mentre il resto della cifra è relativa ad una campagna sull’arruolamento. Si capisce allora perché un’autorevole testata come Le Monde Diplomatique si domanda: «Jusqu’où ira la leçon de journalisme du professeur Bolloré?», fino a dove si spingerà la lezione di giornalismo del professor Bolloré?