La strada che riporta alla Dracma

La strada che riporta alla Dracma

L’uscita di un Paese dall’euro è necessaria. I mercati finanziari hanno già deciso nello scorso maggio, nei giorni prima del salvataggio della Grecia, il destino della moneta unica. Molte grandi banche mondiali non hanno dubbi. Da Deutsche Bank a UniCredit, quasi tutte si sono preparate per il fallimento di Atene, che aprirà nuovi scenari per l’Europa. Come ha ricordato l’Economist di inizio gennaio «è ora di parlare di Piano B, cioè la ristrutturazione dei debiti europei». E c’è chi sta studiando un meccanismo di ritorno alle valute nazionali, come Gabriel Stein di Lombard Street Research.

L’ultima banca d’investimento a parlare apertamente di pericoli per la stabilità della zona euro è stata Bank of New York Mellon. Un report della scorsa settimana ha sottolineato che «alcuni Paesi membri hanno iniziato a ragionare sull’opportunità di uscire dall’Unione monetaria, sebbene tutto sia ancora in una fase embrionale». La condizione che potrebbe accelerare questo processo è una: l’arrivo di un default sovrano nell’Eurozona. In questo scenario, la Banca centrale europea (Bce) dovrebbe continuare ad agire come prestatore di ultima istanza, ampliando le misure straordinarie di liquidità per il sostentamento della zona euro. Una di queste è l’assistenza emergenziale di liquidità (Ela). Erogata dalla Banca centrale d’Irlanda nelle ultime settimane per un totale di 51 miliardi di euro, l’Ela è un meccanismo che permette alle singole Banche centrali nazionali di fornire contanti al proprio sistema bancario mediante stampa di nuova moneta. Nata come strumento per istituzioni che hanno problemi di liquidità, non di solvibilità, l’Ela «potrebbe essere utilizzata anche per altri Paesi in difficoltà», ha fatto notare a Francoforte il governatore della Bundesbank Axel Weber. Nel caso di un default sovrano, è chiaro che la Bce aumenterebbe l’uso di questo meccanismo.

A ruota i rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi membri subirebbero un’impennata nel confronto con i bund tedeschi, storico benchmark di solidità finanziaria. Come ricorda Ubs, lo scenario di un fallimento sovrano «potenzialmente è in grado di scatenare un contagio fra i Paesi periferici». Dopo la Grecia e l’Irlanda, la road map dell’epidemia europea dei debiti sovrani vede Portogallo e, forse, Spagna. L’Italia, nonostante un debito pubblico di 1.870 miliardi di euro, non è prezzata come il pericolo. A testimonianza di ciò, l’ultima analisi del Financial stability board (Fsb) ha rilevato come per i mercati finanziari il debito non sia particolarmente rilevante.

Per ora le possibilità di un fallimento di Atene non sono poche. Secondo i dati di Cma Vision è dato al 50%, svariati decimali in più rispetto a sei mesi fa. Passano i mesi, continua l’austerity, aumenta la percentuale del default secondo i mercati. Certo, da qui a parlare di uscita dalla moneta unica il passo non è corto, ma la tendenza appare definita. Di recente la Germania ha nominato un consigliere speciale del Governo, Lars Feld, con il compito di seguire le operazioni di ristrutturazione del debito ellenico.

Inoltre, l’analista di Bank of America Merrill Lynch Athanasios Vamvakidis in un report di inizio gennaio parla di «effetto domino» nell’Eurozona. Colpa delle tensioni su ribilanciamento dei conti pubblici dei Paesi membri, esplosi nell’ultimo biennio. Vamvakidis ipotizza la ristrutturazione del debito ellenico, dopo una dichiarazione d’insolvenza nei confronti dei creditori. In altre parole, il default. «Questo quadro potrebbe spingere l’Eurozona verso l’uscita forzosa di alcuni dei sui membri, al fine di preservare l’Unione monetaria», ha detto l’analista. Il direttore di Lombard Street Research, Stein, è più tranchant. In una nota di metà gennaio ha espresso tutto il suo pessimismo: «Il mio studio sta analizzando un modo per permettere a uno dei membri di uscire dall’euro». Non mancano i problemi. Per Stein «ci sono costi immensi, pari a svariati miliardi di euro, ma è meglio sostenere quelli, magari spalmandoli su più anni, piuttosto che far capitombolare l’Europa intera».

Nemmeno gli economisti hanno tanti dubbi sul futuro della Grecia. Uno dei maggiori sostenitori del ritorno alla dracma è Marc Faber, l’analista svizzero anche chiamato Doctor Doom, lo stesso soprannome di Nouriel Roubini.  Durante una presentazione del suo outlook sul 2011, avvenuta nello scorso ottobre, Faber ha esplicitato il pensiero di molti. «Non bisogna chiedersi se la Grecia o l’Irlanda andranno in default, ma quando lo faranno», disse. E già in aprile ipotizzava un’uscita di Atene dalla moneta unica. Sulla stessa linea di pensiero di Faber troviamo lo stesso Roubini, il professore della New York University che predisse il collasso dei subprime. «La Grecia è tecnicamente fallita e non è impossibile pensare che possa uscire dall’Eurozona», ha detto durante il World economic forum di Davos. «A ruota – ha spiegato Roubini – tutti gli altri Paesi membri si domanderanno qual è il ruolo dell’Unione monetaria e difficilmente l’euro resisterà».

La crisi europea dei debiti sovrani sembra quindi essere il primo capitolo di un collasso molto più ampio. Di questo avviso è anche Simon Johnson, ex capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi) e docente di Economia al Mit di Boston. «L’Eurozona si rafforzerà, ma occorre che qualcuno esca», ha detto Johnson. Chiaro il riferimento ad Atene, come già aveva già spiegato a novembre nel suo blog. Nonostante il pacchetto di aiuti congiunti Bce/Fmi da 110 miliardi di euro e le misure draconiane adottate dal Governo di George Papandreou, per Johnson il debito pubblico non calerà di quanto concordato con l’istituzione di Dominique Strauss-Kahn. E per l’Europa arriverebbe il momento di utilizzare il Piano B.

Il quotidiano greco Eleftherotypia ha ripreso questo articolo in un’inchiesta sulla crisi ellenica

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