L’imprenditore emiliano è lontano dall’Ipad

L’imprenditore emiliano è lontano dall’Ipad

Le politiche industriali? Facile preda della moda, se non proprio inutili. Bocciate anche le università e i centri di ricerca, fortezze inespugnabili del sapere disinteressate alle potenzialità delle nuove tecnologie che pure potrebbero portare risparmi di costi e miglioramenti produttivi non da poco. È la fotografia degli imprenditori emiliano-romagnoli scattata dalla ricerca “Gli investimenti in innovazione tecnologica delle pmi” svolta da Microsoft e NetConsulting, in collaborazione con Regione Emilia-Romagna, Unioncamere, associazioni regionali di Cna e Confindustria. L’indagine viene presentata stamattina a Bologna.

Sono state monitorate 403 piccole e medie aziende dell’Emilia-Romagna. Realtà fortemente colpite dalla crisi. Tre su quattro hanno dovuto farci i conti. A un tessuto costituito al 90% da realtà piccole, se non piccolissime – già di per sé deboli e vulnerabili – il ciclone finanziario ha spazzato via la linfa vitale del credito facile. La reazione è stata compulsiva: produrre, produrre, produrre. Più in fretta degli altri, a prezzi più bassi, con tempi di consegna più rapidi e con servizi al cliente mai immaginati prima. Ma è stata la scelta giusta per poco più di quattro imprese su dieci. Poche hanno mantenuto il proprio posizionamento sul mercato (22,6%) o lo hanno addirittura migliorato (2%) sfruttando la crisi economica come opportunità di crescita.

Certo, in terra emiliana l’ottimismo non manca. Sanno che bisogna resistere, e prevale la sensazione che la ripresa si concretizzerà quanto prima. Tornare ai livelli pre-crisi, no, forse mai, soprattutto i piccoli imprenditori la pensano così. Ma resistono. I primi timidi segnali di ripresa di chi esporta scaldano il cuore. Le grandi aziende che vendono all’estero, si ritiene possano trainare anche le altre.

Quel che però osserva la ricerca Microsoft-Net Consulting è che bisogna stare attenti. Perché quella che si sta vivendo ora è una ripresa tattica e non strutturale, ovvero non fondata su un effettivo cambio del posizionamento aziendale, ma piuttosto basata su fattori esogeni: la ripresa della domanda dall’estero in primis. Le imprese hanno retto l’urto ma non hanno messo in campo iniziative più strategiche di lungo periodo volte a dare maggiore solidità e continuità alla ripresa, come, ad esempio, le politiche di gestione dei clienti, di innovazione e sviluppo, di ridefinizione dell’offerta e di incremento e miglioramento dell’utilizzo delle tecnologie a diretto supporto del business.

Gli investimenti ci sono stati, e anche ingenti, ma si sono concentrati sul miglioramento della produzione e in minima parte hanno riguardato le iniziative volte ad anticipare il ciclo economico, come l’internazionalizzazione delle attività commerciali e di produzione, la tutela ambientale o l’incremento delle dotazioni di information technology. Insomma, non si è ancora pronti a puntare sul mercato del futuro, né adeguati agli sviluppi che le normative europee già disegnano per i canoni di produzione, né tantomeno si sono ridefinite le strategie aziendali su cui è bene puntare: lo hanno fatto appena il 13% delle imprese.

Per tutte le altre, risultano inutili i tradizionali interventi salva-imprese proposti dalle istituzioni. Lo dicono gli stessi imprenditori intervistati. Le politiche sul territorio? Le aziende non si fidano, hanno un atteggiamento tiepido, in molti casi le ritengono espressione della moda del momento (la sostenibilità ambientale, soprattutto) e, in molti altri, sono influenzate negativamente da una generale sfiducia nei confronti delle istituzioni.  Perché hanno visto quanto costituire reti e aggregazioni di impresa – la risposta alla crisi più quotata dalle istituzioni in questa regione – sia difficile e poco efficace. Affidarsi alla collaborazione con gli enti sul territorio? Peggio che andar di notte. Secondo la ricerca, le aziende si sentono sole e non adeguatamente supportate dalle amministrazioni, ad esempio nell’innovazione tecnologica delle loro attività. Particolarmente deludente appare il ruolo degli enti pubblici e delle università nel favorire il processo di adozione tecnologica.

Ma è anche un problema di mentalità quello rilevato da Microsoft e Net Consulting. Ancora oggi gli strumenti informatici sono visti dai manager come semplice completamento dei canali tradizionali, per cui anche la formazione del personale è scarsa, non la fa ben il 41% delle imprese. In sostanza, la tecnologia si usa per gestire le relazioni con i clienti, i rapporti coi fornitori, per la gestione amministrativa e finanziaria. Ci si è aperti all’uso delle email, ma il fax continua ad avere un peso rilevante soprattutto per la trasmissione di ordini e fatture.

Mancano tutte le dotazioni applicative più evolute. È solo nelle grandi aziende che sono scomparsi, ad esempio, i grandi server che amministrano gli interi sistemi gestionali, sostituiti dall’affitto di servizi on demand. Sono rari gli archivi documentali digitalizzati, che pure farebbero risparmiare denaro contante in carta e in costi di gestione dei magazzini. Men che meno si usa il voip per le comunicazioni telefoniche. C’è ancora un atteggiamento fortemente attendista sulla possibile adozione di modelli di servizi on demand, su cui pure altrove si registrano risparmi notevoli. In Emilia-Romagna lo usano solo il 2,5% delle imprese. E appena il 6% dichiara di conoscerne l’esistenza.

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