Negli Usa torna la paura per le banche

Negli Usa torna la paura per le banche

Per gli Stati Uniti la crisi non è finita anche se Wall Street continua a registrare risultati positivi: l’indice Dow Jones è tornato sopra quota 12mila punti per la prima volta dall’ottobre 2008 e il trend dell’S&P 500 è altrettanto vigoroso. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha in mente da settimane di riproporre gli stress test alle banche statunitensi, dopo quelli effettuati quasi due anni fa. L’input arriva dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e non è la prima volta che ciò accade. Già nello scorso luglio l’istituzione di Washington aveva condotto una serie di prove di sostenibilità agli shock che avevano evidenziato un’esposizione di circa 76 miliardi di dollari degli istituti di credito americani al mercato immobiliare. Ma ora le sofferenze potrebbero essere di più.

Gli stress test del 2009, condotti per analizzare la solidità dei 19 principali istituti di credito statunitensi, furono un successo. La Federal reserve chiese a dieci banche di ricapitalizzarsi e sull’onda di ciò Wall Street iniziò un trend positivo che ancora oggi dura. Eppure, i problemi non sono finiti. A quasi due anni, il Tesoro vuole fare nuove prove di resistenza, più approfondite. A spingere, oltre al Fmi, ci sono anche alcune banche europee, come Ubs. In una nota della scorsa settimana il colosso elvetico ha posto la sua attenzione su Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, considerate «istituti con diversi squilibri al proprio interno». La raccomandazione della banca guidata da Oswald Grübel è quella di «stressare nuovamente il sistema bancario americano anche alla luce del mutamento congiunturale avvenuto dopo il primo test». A gettare benzina sul fuoco ha provveduto Nomura: «È possibile che le svalutazioni bancarie negli Stati Uniti possano aumentare del 13% su base annua nel 2011 a causa dell’atteso calo dei prezzi delle abitazioni». Attualmente, secondo l’American bankers association (Aba), la lobby dei banchieri, le sofferenze ammontano a 190 miliardi di dollari. Di questo, oltre la metà impattano sulle prime dieci banche del Paese.

Il motivo delle preoccupazioni di Geithner va cercata nella performance del mercato immobiliare. L’indice Case/Shiller, che registra l’andamento dei prezzi delle abitazioni, in novembre è calato dell’1,6% su base annua, a fronte di una flessione attesa dell’1,4 per cento. Non si è quindi placata la discesa dei prezzi, che dal luglio 2010 è ricominciata con vigore. Inoltre, secondo le statistiche di RealtyTrac, stanno aumentando i pignoramenti. Nel corso degli ultimi 12 mesi gli immobili pignorati sono stati 2,87 milioni, il 2% in più sul 2009 e il 23% in più sul 2008. Le previsioni per il 2011 non sono buone. La società di analisi statunitensi prevede un incremento del 20% dei pignoramenti. Colpa dell’indebitamento del settore privato, che non accenna a tornare su livelli accettabili. A tal proposito lo studio indipendente londinese Preqin ha pubblicato in dicembre un report in cui ha reso noto che «nel 2010 i debiti dei cittadini americani sono aumentati del 25% rispetto l’anno precedente».

La prima conseguenza negativa è sul mercato immobiliare. «I pagamenti delle rate dei mutui continuano a contrarsi ed è presumibile che questa tendenza si consolidi fino al primo trimestre 2012», continua Preqin. Giocoforza, a essere più esposte sono le banche che hanno concesso i prestiti, che vedono venir meno sempre più flussi di cassa. Fra queste, secondo gli ultimi dati statistici dell’Aba troviamo Bank of America e Citigroup, i due giganti su cui Ubs ha mosso dubbi.

Non c’è solamente la salute di Wall Street che impensierisce Geithner. Il maggiore cruccio verte sullo stock del debito pubblico americano, prossimo al limite fissato dal Congresso, 14.290 miliardi di dollari. Al World economic forum di Davos il segretario del Tesoro ha fatto notare che il tetto massimo del debito sarà raggiunto fra il 5 aprile e il 31 maggio. L’urgenza è quindi quella di innalzare tale parametro. «Se così non fosse una volta raggiunto il limite consentito gli Usa avranno solo otto settimane prima di entrare in una crisi di liquidità», ha detto Geithner. Se così fosse, per gli Stati Uniti si aprirebbe la strada che porta alla dichiarazione d’insolvenza.

Il quadro generale dell’economia statunitense è ancora dominato dall’incertezza. Il presidente della Fed Ben Bernanke, parlando al National press club di Washington, ha usato l’arma dell’ottimismo per tranquillizzare gli investitori. Il numero uno della banca centrale americana ha ricordato che la politica monetaria espansiva, il cosiddetto Quantitative easing 2, non si fermerà a breve. Ma ha sottolineato anche che non mancherà il supporto finanziario al sistema bancario «se fosse necessario». C’è da sperare che queste parole non rappresentino il preludio a nuovi bailout.