Una piccola nuvola di polvere bianca, a ogni atterraggio, a ogni contatto del carrello sull’asfalto. Poco più di uno sbuffo. Ma uno sbuffo che contiene amianto, che si solleva da terra, rimanendo per qualche secondo intorno alla fusoliera e quindi alle scalette di discesa dove equipaggio e passeggeri s’incamminano.
Sotto il carrello l’amianto è stato utilizzato per ridurre le vibrazioni e lo sprigionamento di calore rispetto alla fusoliera. Quelle odiose vibrazioni successive al decollo potevano causare problemi alla cabina di pilotaggio. Con uno strato di amianto queste problematiche diventano invece marginali. Dal 1992 l’elemento è stato posto fuorilegge in Italia. Ma almeno fino al 2005 è stato utilizzato sia sugli aerei dell’Alitalia (in particolare gli Md80) che negli hangar dei principali aeroporti, gestiti dalla società Atitech, che adesso si trova a fronteggiare centinaia di cause in altrettanti tribunali italiani.
È scritto, nero su bianco, nella perizia redatta dall’ingegner Giuseppe Sala, ordinario di tecnologie e materiali aeronautici presso il politecnico di Milano. E la perizia è allegata a una sentenza che farà da precedente per tutte le persone in attesa del riconoscimento dell’avvenuta esposizione. «Solo le fibre inglobate nei ferodi degli impianti frenanti sono funzionalmente destinate a erodersi e liberarsi nell’atmosfera circostante». Sono queste le parole chiave contenute nella perizia tecnica, e che sono sufficienti a gettare un’inquietante ombra su tutto il settore del traffico aereo. La perizia è allegata agli atti della causa di lavoro dell’ex pilota Silvano Della Pietra, assistito dall’avvocato Ezio Bonanni che, con tutto l’Osservatorio nazionale sull’amianto, sta seguendo da vicino decine di cause di ex lavoratori del settore, dediti alle più svariate mansioni: dal personale a bordo ai tecnici a terra, ai magazzinieri addetti ai rifornimenti dei vari pezzi meccanici, ai piloti che hanno vissuto migliaia di ore nelle cabine dei velivoli respirando un microclima inquinato. Da Napoli a Roma, nei tribunali giacciono perizie e testimoniante. Alcune cause sono già in appello, altre ancora sono in fase istruttoria.
«Un documento redatto in data 31 marzo 2004 – si legge nella relazione – dalla Pratt&Whitney (duopolista, insieme alla General Electric per la produzione dei motori a getto nei veicoli commerciali), relativo al motore JT8D, elenca 469 componenti di amianto in ciascun motore. Un ulteriore documento, redatto dalla McDonnell Douglas in data 22 ottobre 1992 elenca invece 1105 elementi contenenti amianto nei velivoli DC-8, DC-9, e MD-80. (…) Solo le fibre inglobate nei ferodi degli impianti frenanti sono funzionalmente destinate a erodersi e liberarsi nell’atmosfera circostante». Per cui «all’interno della fusoliera passeggeri e della cabina di pilotaggio è possibile che si instauri un microclima inquinato da fibre di amianto in quanto il ricambio d’aria è garantito: 1) da aria proveniente dall’esterno, potenzialmente contaminata da fibre di amianto che si liberano al momento della frenatura; 2) da aria riciclata, la quale può essere inquinata da amianto ceduto da tubazioni, condotti e guarnizioni dell’impianto di pressurizzazione e condizionamento».
È un documento bomba quello contenuto nella causa Della Pietra, ne è consapevole l’avvocato Ezio Bonanni: «Certo che lo è. Dimostra che almeno fino a metà 2005, e quindi più di dieci anni dopo la legge che ne ha stabilito la messa al bando, l’amianto era usato nei velivoli, nell’intero settore aeronautico». Come nel caso di Aldo Converso: l’ex impiegato Atitech (la società che per conto di Alitalia effettua la manutenzioni in alcuni aeroporti tra i quali Capodichino, a Napoli) che nel novembre 2005, ad appena 58 anni, si è ammalato di mesotelioma pleurico e soltanto un anno dopo, nel 2006, è deceduto. C’è voluta una grande forza d’animo affinchè il figlio Paolo affrontasse la questione e decidesse di mettersi in gioco, dopo la morte del padre, per ottenere giustizia. Paolo Converso sta seguendo la causa del padre, ma da poche settimane può finalmente festeggiare: il giudice del tribunale di Napoli ha stabilito che la Atitech dovrà risarcire completamente al 100% il danno biologico per la morte di suo padre. Certo, è il primo grado. Al quale seguirà senz’altro l’appello. Ma per ora può segnare un punto a suo favore.
Il signor Converso era addetto agli acquisti di pezzi di ricambio contenenti amianto, talvolta ispezionandoli di persona presso il magazzino e in alcuni casi ha effettuato turni di otto ore, senza mai essere protetto da misure precauzionali. A testimonianza di ciò l’avvocato adduce molti colleghi di lavoro, anche loro presenti in quello stesso ambiente, anche loro respiravano quell’aria. E adesso, dopo la morte del collega, sono preoccupati, perché quella sorte potrebbe capitare anche a loro. Quella di Napoli è la prima causa vinta in questo settore. I giornali non ne hanno parlato, ma il collegamento viene automatico: se i ferodi dei freni sprigionavano amianto, se quell’aria veniva riciclata, in fase di atterraggio, per i condizionamenti interni degli aerei, se i passeggeri e l’equipaggio sulla scaletta respiravano quelle polveri, allora siamo tutti coinvolti nella vicenda?
Abbiamo sentito Alitalia che ha rassicurato: «non si utilizza più l’amianto da anni. Tutte le parti sono state sostituite. Certo, per avere informazioni più precise su quegli anni occorrerebbe sentire i tecnici della vecchia società. Noi oggi siamo Cai, e il personale della vecchia Alitalia per buona parte non lavora più con noi». A ritroso, abbiamo cercato di ricostruire la catena di comando della vecchia società messa in liquidazione. Ma nessuno è riuscito a darci un nome, come se quei registri si fossero dileguati nel nulla. «Quello che conta è quanto scritto nella perizia – sostiene Bonanni – fino al 2005 su alcuni velivoli c’era ancora amianto. La procedura di bonifica e sostituzione era molto costosa, ma bisognava farla. Ora non ci fermeremo e chiederemo giustizia».
E sarà un incoraggiamento per tutte quelle persone impegnate in una battaglia legale che va avanti da mesi, a volte da anni. E in alcuni casi con andamenti incerti. Come ad esempio gli assistenti di volo, che stanno cercando di ottenere giustizia nei tribunali di Roma, dove per ora hanno incassato solo rinvii e in alcuni casi bocciature, almeno in primo grado.