La calma dei giapponesi ha molto da insegnarci

La calma dei giapponesi ha molto da insegnarci

Tutto è possibile, naturalmente, e in caso contrario siamo pronti a fare ammenda, ma sospettiamo che non si ritroverà, tra i reperti di questo terremoto giapponese, un’intercettazione simile a quella che vide come protagonisti Francesco De Vito Piscicelli e il cognato Gagliardi, due che faticheremmo a definire imprenditori e le cui parole, riferite al sisma aquilano appena accaduto, sono scolpite nella nostra storia patria.
GAGLIARDI: «Oh… occupati di ’sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito… non è che c’è un terremoto a giorno…»
PISCICELLI: «…no…lo so… (ride)»
G.: «così per dire, per carità, poveracci…»
P.: «…va buò ciao»
G.: «…o no?»
P.: «eh certo… io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto»
G.: «…io pure…va buò…ciao».

Sempre per ragionare sulle differenze, si può tentare un primo parallelo umano tra ciò che è successo in Giappone e i nostri drammi. E qui è necessario introdurre l’elemento reazione, ciò che distingue persone, popoli, nazioni diverse nei momenti di assoluta disperazione. Come potrete notare nei filmati che via via ingrossano la Rete, il Giappone è decisamente un’anima divisa in due: da una parte appare in tutta la sua grandezza la portata “fisica” del flagello, un elemento di suggestione che appartiene totalmente alla natura e alla sua forza distruttrice. Dall’altra, emerge con nettezza una disciplina interiore degli umani, che costituisce la vera fonte di equilibrio di un intero Paese.
In un filmato, all’interno di un supermercato, quel minuto interminabile di un flagello che si abbatte senza pietà, è vissuto dagli impiegati e dai clienti quasi come una rappresentazione teatrale. C’è un attimo, appena un attimo in cui la botta è così tremenda da produrre uno smarrimento collettivo. Ma dura poco, pochissimo, e in brevissimo tempo il personale riprende un contegno sociale straordinario, e soprattutto l’orgoglio e la necessità di un’appartenenza professionale. I commessi ritornano tra gli scaffali e in quell’inferno cominciano a riposizionare bottiglie e scatolette.

Negli uffici non accade molto di diverso, gli impiegati sono certamente sorpresi da un accadimento così potente, ma non mostrano la disperazione che è più cara a certi occidentali, piuttosto sembrano brevemente interrogarsi sul da farsi per poi, magari, scendere in strada con caschetto e valigetta. Questa scorta di equilibrio naturalmente non è casuale, ma sarebbe un tragico errore attribuirla soltanto alla storia antica di un Paese che sul rispetto e la disciplina ha fondato buona parte del suo costume. In questo caso c’è ben altro: c’è la programmazione, c’è il sacro rispetto per la natura e ciò che rappresenta, c’è l’idea – basica e radicale – che la modernità è esattamente al servizio della sicurezza e dell’incolumità dei cittadini (anche nel caso di un terremoto, strano vero?). Da tutto questo nasce un certo sentimento nobile e raro, che anche in un’occasione come questa possiamo legittimamente chiamare calma.
Di fronte a una tragedia del genere, vissuta in questo modo, noi italiani abbiamo forse qualcosa da imparare. E’ un’occasione importante, non buttiamola via.  

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