Nel cuore del Mugello la Tav si è portata via l’acqua

Nel cuore del Mugello la Tav si è portata via l’acqua

Le autobotti sono andate via. Non c’è più bisogno di andare con le taniche nella piazza del paese per prender l’acqua da bere. Restano le pompe. Chilometri di tubi che attraversano i boschi per spingere da valle fino a qualche metro più su i timidi rivoli idrici residui. Così funziona a Scarperia, da qualche anno. E non solo lì: sono stati privati dell’acqua i comuni che si approvviggionavano ai bacini del Santerno, della Sieve e dell’Arno. Nella zona di Paterno, a ridosso di Vaglia, si sono seccati il fiume Carza, il torrente Carzola, il Fosso Ceretana, la sorgente Sala, quelle di Case Carzola di Sopra, due pozzi in località Casaccia, il pozzo Cerreto Maggio 1, l’acquedotto privato di Ceppeto-Starniano che copriva i bisogni di 135 famiglie, regolarmente autorizzato. I tre ettari coltivati a mais del signor Antonio, ad esempio, erano naturalmente irrigati, grazie all’ottima qualità del terreno. Oggi l’agricoltore deve pagare per ottenere quella stessa acqua che una volta sgorgava senza ostacoli.

Siamo nel cuore del Mugello. Quella verde zona famosa per i motociclisti e per gli appassionati di escursioni e buona cucina. Ma anche per aver ospitato la più grande e complessa opera pubblica realizzata in Italia dal dopoguerra. Il sottoattraversamento ferroviario dell’Alta Velocità. Quei 73 chilometri di binari tracciati sotto gli Appennini che collegano la Toscana all’Emilia Romagna e il Nord con il Sud Italia. Un progetto iniziato nel 1992, diventato pienamente operativo nel 2009 e che ha lasciato sul terreno uno strascico di devastazione ambientale oggi all’esame di ben due processi.

È gente paziente, quella che abita da queste parti. Ti accolgono con l’immancabile caffè e tozzetti fatti in casa. Siamo a Firenzuola, in corrispondenza di una delle finestre della galleria, quella chiamata Rovigo: qui la falda acquifera si è abbassata di 13 metri rispetto a prima dell’opera e alcune piccole sorgenti sono scomparse. C’è chi andava a pesca e ora assiste allo scorrere di fiumiciattoli torbidi senza più vita animale. Chi ha comprato casa da queste parti scegliendo l’eden che doveva essere e invece è circondato dal cemento.

Sono pazienti, dicevamo, gli abitanti del Mugello. E si stanno abituando al loro paradiso perduto in attesa della fine dei processi. Ma la giustizia sa essere molto lenta: la prima udienza dell’appello, prevista per il 16 marzo è slittata al 21 aprile. E su tutto incombe la prescrizione, soprattutto con l’entrata in vigore del processo breve. Il 3 marzo 2009, dopo 100 udienze e quando l’opera non era stata ancora ultimata, il primo grado del processo penale si è concluso con la condanna di 27 persone per reati ambientali, pene comprese fra 5 anni di reclusione e 3 mesi di arresto. Tredici dei 27 condannati sono dirigenti, ingegneri e tecnici del Consorzio Cavet, il general contractor dell’opera, il cui capofila era Impregilo. Secondo le accuse, a causa dei lavori in galleria e della intercettazione «selvaggia» delle acque di falda, si sono seccati 57 km di fiumi, la portata di altri 24 km di corsi d’acqua si è drasticamente ridotta, sono state prosciugate 37 sorgenti e 5 acquedotti. In tutto, come ha sostenuto la procura di Firenze in una requisitoria da 200 pagine, danni per 741 milioni di euro.

La sentenza di condanna non ha però reso giustizia del disastro ambientale arrecato al Mugello, un disastro ambientale per il quale la procura contestava il danneggiamento aggravato, un reato volontario. Il giudice ha ritenuto invece che questi gravissimi danni siano stati causati da negligenza o imperizia, cioè siano colposi, e il codice penale non prevede il reato di danneggiamento colposo. Da questa accusa, perciò, tutti gli imputati sono stati assolti. Ma come abbiamo potuto toccare con mano, i danni sono permanenti. A Castelvecchio, la falda è stata abbassata di 50 metri, la sorgente che alimentava l’acquedotto locale si è prosciugata e per anni è stato necessario far arrivare l’acqua con le autobotti.

«Accadeva che scavando si intercettavano le falde, spesso la stessa galleria veniva inondata tanto che gli operai dovevano scappare, poi si tappava la falla, ma intanto il bacino era stato prosciugato. Alla gente veniva raccontato che entro cinque anni tutto sarebbe tornato come prima, e la gente ci ha creduto, ed ha aspettato, ma sono passati più di dieci anni, e nulla è più come prima». A parlare è Girolamo Dell’Olio, che con la sua associazione Idra è non solo la memoria storica, l’archivio vivente di quanto è accaduto, ma è anche il raccordo tra avvocati, magistrati, cittadini del Mugello, tecnici, geologi, ingegneri e periti che si occupano ancora oggi della vicenda. Sul sito dell’associazione è possibile leggere tutta la requisitoria dei pm Gianni Tei e Giulio Monferini: testimonianze e descrizioni più avvincenti di un romanzo. Peccato però che sia tutto vero.
Oltre al procedimento penale, la Tav è sotto accusa anche dalla magistratura contabile.

Nel progetto dell’Alta velocità sulla linea ferroviaria Firenze-Bologna, la Corte dei Conti della Toscana ha rilevato «lacune procedurali e decisionali da parte di organi statali e regionali che hanno operato sottovalutando le conseguenze idrogeologiche”. Quindi a fronte dell’entità del danno rilevato in sede penale di 750 milioni di euro fino al 2005 la magistratura contabile ha quantificato un danno ulteriore di 14 milioni di euro. L’inchiesta è stata lunga e laboriosa, dovuta anche alla mole di materiale da visionare. «È noto – scrive il procuratore capo Mondera Oranges – che la realizzazione di queste gallerie ha quasi del tutto privato il territorio interessato della risorsa idrica, scomparsa o precipitata a profondità tali che la rendono di fatto inutilizzabile».

Sotto accusa sono tutti gli amministratori responsabili di quei dieci anni di progettazione e lavori, in primis gli ex governatori Vannino Chiti e Claudio Martini, gli altri componenti delle giunte regionali delle due legislature dal 1990 al 2000, un dirigente regionale, due funzionari ministeriali per la valutazione di impatto ambientale. Martini è chiamato in causa quale assessore al diritto alla salute dell’epoca. La regione, quindi, parte lesa nel processo penale, diventa corresponsabile in quello contabile: «Come si fa a essere danneggiati e danneggiatori allo stesso tempo?» chiede Martini. «Facile – ribatte dell’Olio – alla regione Toscana, in quanto territorio, è stato riconosciuto il risarcimento del danno ambientale nel primo grado del procedimento penale. Però i governatori, coloro che all’epoca erano responsabili dei controlli, dell’osservatorio di impatto ambientale e che per anni hanno sottovalutato le conseguenze degli scavi, nonostante i danni fossero già verificati, ecco quegli amministratori sono imputati nel procedimento della Corte dei Conti».

L’udienza del 16 marzo è stata rinviata a dicembre. Sarà un anno impegnativo per la Tav, lo ha detto il procuratore toscano in apertura dell’anno giudiziario: «Quest’anno sarà caratterizzato dalla vicenda del sottoattraversamento Tav». Riferendosi anche agli scavi per il nodo di Firenze che entreranno nel vivo a gennaio e che sono già da tempo al centro di proteste.  

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