«Temo che Gheddafi non cadrà così presto»

«Temo che Gheddafi non cadrà così presto»

Lo spauracchio delle dittature di mezzo mondo è un tranquillo studioso americano di 83 anni. Si chiama Gene Sharp, vive a Boston (ma è nato in Ohio) e per hobby coltiva orchidee. Candidato al Nobel per la pace nel 2009, celebrato da testate come il New York Times, Sharp è il massimo teorico vivente della political defiance, cioè la lotta nonviolenta con scopi politici contro una dittatura.

A dispetto dell’età, Sharp è impegnatissimo, e continua a dirigere l’Albert Einstein Institution, organizzazione che ha fondato nel 1983. Definito il Carl Von Clausewitz della guerra nonviolenta (etichetta che dice di apprezzare), Sharp è autore di testi tradotti in svariate lingue, incluso il lituano, il giapponese, il tibetano, l’arabo e il kirghiso. Il suo libro più famoso è senza dubbio From Dictatorship to Democracy, manualetto sull’uso dell’azione nonviolenta così efficace che in Birmania anche solo possederlo è un reato punito con sette anni di galera.

«Per me è un grande onore essere bandito dai dittatori – confessa a Linkiesta Sharp, che spiega – Scrissi From Dictatorship to Democracy su richiesta di un democratico birmano in esilio». Alla base delle teorie di Sharp un assunto: combattere i dittatori con la violenza è controproducente, perché significa giocare al gioco che conoscono meglio. Conviene invece cercare di batterli con le armi della protesta, della non-cooperazione, del pensiero strategico. Senza mai perdersi d’animo, perché «nonostante l’apparente forza, ogni dittatura ha punti deboli, difetti organizzativi, conflitti interni».

Tutto quello che non comporta spargimenti di sangue è lecito: dagli scioperi di massa alle veglie di preghiera, dai picchetti agli “spogliarelli di protesta”. Sharp si definisce un “trans-partisan”, dal momento che il suo lavoro è sempre stato «a disposizione di chiunque volesse esaminarlo». In effetti sono in molti ad aver letto (o scaricato via internet) i suoi libri: per esempio i dissidenti serbi che hanno rovesciato Slobodan Milosevic; gli autori della Rivoluzione arancione in Ucraina; e i gruppi egiziani e tunisini che recentemente hanno fatto crollare regimi considerati indistruttibili.

Dottor Sharp, qual è la sua opinione sugli avvenimenti in Egitto e Tunisia?
«Penso che le rivoluzioni in Egitto e Tunisia siano state straordinarie. Quella egiziana è stata particolarmente disciplinata. La gente che vi ha preso parte ha affermato che non aveva più paura del regime. In entrambi i Paesi i rivoluzionari sono riusciti a mantenere una buona disciplina nonviolenta, e questo è stato molto importante. Ora bisogna vedere se in Egitto la rivoluzione continuerà, o se si cercherà di instaurare una nuova dittatura, militare».

In effetti sembra che il vero potere, in Egitto, non lo abbiano tanto i rivoluzionari di Piazza Tahir quanto i generali. È possibile che l’Egitto diventi un’autocrazia militare?
«È alquanto possibile. Quando si abbatte una dittatura c’è spesso un periodo di confusione, e tale confusione può condurre a una nuova dittatura, militare o di altro genere. Si tratta davvero di una fase estremamente delicata. Dal sito della nostra organizzazione si può scaricare una guida su come prevenire tutto ciò: si chiama The Anti-Coup, è uno studio molto dettagliato scritto da me e Bruce Jenkins».

In Libia le cose sono andate in modo diverso. Quale è la sua opinione sull’intervento militare della coalizione guidata dalla Francia?
«L’intervento militare straniero è stato preceduto, a mio parere, da un cambiamento di rilievo. Ho sentito, ma non ne ho avuto conferme, che un importante ufficiale dell’esercito libico ha disertato, e unendosi ai ranghi dell’opposizione senza aderire alla pratica della nonviolenza, ha dato l’avvio alla rivoluzione violenta contro Gheddafi. Si è trattato appunto di un cambiamento di rilievo, che ha condotto all’intervento militare straniero. Non è così che questo tipo di lotta dovrebbe funzionare. L’azione militare di quell’ufficiale dell’esercito ha tolto ai libici la possibilità di vincere a modo loro».

Quali potranno essere i prossimi sviluppi?
«Se i rivoluzionari avessero mantenuto una disciplina nonviolenta, verosimilmente il regime di Gheddafi, dopo gravi brutalità, sarebbe caduto nel giro di due mesi (nel caso tunisino ed egiziano c’è voluto meno di un mese). Passando alla violenza, le forze anti-Gheddafi hanno scelto il mezzo meglio padroneggiato dal regime. Si sono trovate così troppo deboli per sconfiggerlo da sole. Dopo le aspre minacce di Gheddafi, il limitato intervento delle forze aeree straniere le ha aiutate sufficientemente da impedire la loro imminente sconfitta. Al momento non è chiaro se le forze anti-Gheddafi riusciranno a prendere Tripoli e a rimuovere il regime. Alcuni commentatori americani pensano che Gheddafi governerà per altri mesi, forse perfino anni. Come minimo non è probabile una rapida fine del suo regime».

Cinque anni fa un cablo dell’ambasciata americana a Damasco notava che i dissidenti siriani si addestravano alla lotta nonviolenta leggendo i suoi libri. Sta seguendo gli eventi in Siria?
«Ciò che ho visto alla televisione sulla Siria è abbastanza sorprendente, perché quando, vari anni fa, esaminammo la situazione siriana, pensammo che un simile sviluppo fosse davvero improbabile, e che comunque avrebbe richiesto molto, molto più tempo. E invece i dissidenti siriani hanno davvero destabilizzato il dittatoriale regime siriano. È un risultato alquanto stupefacente, ma bisogna vedere come finirà tutto quanto».

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