La locomotiva corre sbuffando, e non solo per il vapore: i rapporti ferroviari tra Italia e Francia sono da lungi litigarelli assai. Il blocco di Ventimiglia di domenica scorsa ha precedenti illustri, per esempio nella linea ferroviaria Cuneo-Nizza-Ventimiglia (per l’appunto) che tra tira e molla, chiusure e riaperture (è rimasta inattiva dal 1945 al 1979, dopo che i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare gallerie e viadotti) è sintomatica di quanto Italia e Francia si sfidino da un secolo e mezzo a colpi di rotaia.
Camillo Benso, conte di Cavour, è un convinto assertore delle strade ferrate. Fa unire con i binari Torino e Genova, così dal 1858 per andare da una città all’altra di passa dalle venticinque ore in carrozza alle quattro in treno. Alla vigilia dell’unità d’Italia il Regno di Sardegna, con i suoi mille chilometri di binari, è lo stato più ferroviario della Penisola. Nel 1853 – Cavour è primo ministro del Regno sardo – si decide di unire i monti al mare: un po’ la villeggiatura si sta allargando dai nobili alla nuova borghesia urbana, un po’ è di moda tra i sovrani europei andarsene al mare in treno. L’idea è che Vittorio Emanuele II dopo aver cacciato i camosci in Savoia scenda a Cuneo e lì prenda il treno per andare a ritemprare le stanche membra nella più illustre città balneare sabauda: Nizza. E così si concepisce la ferrovia Cuneo-Nizza che passa per Briga e Tenda. La storia però assume spesso corsi imponderabili e dopo la Seconda guerra d’indipendenza, Solferino e San Martino e l’intervento delle truppe di Napoleone III, nel 1860 Nizza diventa francese. Veramente in base agli accordi di Plombières dovrebbero diventare francesi anche Briga e Tenda, solo che i piemontesi si rimangiano la parola data con la motivazione ufficiale che le località fanno parte delle tenute di caccia dei Savoia (non è vero niente: le bugie di Stato hanno una lunga tradizione). Parigi però ha la memoria lunga e si ricorderà di quella gabola ottantacinque anni più tardi.
Comunque, ora Nizza non è più savoiarda e come località d’arrivo si ripiega su quanto rimane al neonato regno d’Italia: Ventimiglia. Costruire una ferrovia in mezzo alle montagne non è uno scherzo da niente e questa linea finirà per essere una delle più ardite d’Europa. Si passa dallo zero sul livello del mare di Ventimiglia agli oltre mille metri del Col di Tenda, per poi ridiscendere verso Limone e Cuneo. Alla fine risulteranno costruite trenta gallerie e una quantità di ponti e viadotti.
I lavori cominciano davvero nel 1882 e nel 1891 entra in funzione la tratta fino a Limone Piemonte. Nel 1900 si raggiunge il confine, a Vievola, ma solo nel 1904 Italia e Francia si mettono d’accordo. Si decide di costruire un tronco che da Nizza si innesta sulla linea principale a Breglio (oggi Breil-sur-Roya). Si va avanti piano, quasi indietro, a causa delle grandi difficoltà tecniche e dei rapporti altalenanti tra Roma e Parigi (non dimentichiamoci che l’Italia è alleata di Germania e Austria-Ungheria e costruire una ferrovia che passa dal territorio francese a quello italiano significa offrire ai transalpini una comoda direttrice d’invasione). Comunque arriva la Prima guerra mondiale, i lavori naturalmente si interrompono, c’è altro a cui pensare, ma i rapporti con Parigi si rinsaldano e negli anni Venti si riprende a posare binari.
Ed eccoci arrivati al 30 ottobre 1928 quando i 96 chilometri di ferrovia, per il momento soprattutto in territorio italiano, vengono inaugurati. Si fanno le cose in grande: arrivano ministri, ambasciatori, generaloni, il treno francese parte da Nizza, quello italiano da Cuneo, si incontrano a Breglio e poi tutti a magnà nei locali della dogana di Limone: un banchetto per 450 e tutti contenti (qualche ora dopo se magna e se beve ancora, a Ventimiglia).
Che le cose siano state difficoltosette lo conferma il discorso del ministro francese dei Trasporti. André Tardieu afferma che il completamento dei lavori è stato ritardato di 37 anni «perché i due popoli non avevano confidenza l’uno nell’altro».
Mancano giusto dodici anni alla “pugnalata alle spalle” inferta da Mussolini alla Francia con l’aggressione del 1940. Il Corriere della Sera del 31 ottobre 1928 gronda di retorica: «La partenza del treno inaugurale viene salutata dalle ovazioni entusiastiche della folla accorsa da ogni parte della provincia e il convoglio procede quindi rapidamente verso la meta», scrive a pagina due. Comunque, negli anni Trenta la linea ferroviaria porta un notevole traffico turistico verso il Ponente ligure; c’è persino un treno internazionale che in dodici ore collega Berna a Ventimiglia.
La guerra interrompe di nuovo la linea e i tedeschi la mettono fuori uso. La nuova apertura avviene il 6 ottobre 1979, in un Piemonte che tanto allegro non può essere, visto che nello stesso giorno, prima le Br, e poi Prima linea, a distanza di quindici ore, gambizzano due dirigenti industriali. Il Corriere della Sera del giorno dopo scrive: «In un tripudio di sole, di colori, di canti, di suoni, di balli folcloristici e di applausi, si è inaugurata ieri la linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia, con la diramazione per Nizza». La differenza è che ora – dopo che Briga, Tenda e Breglio sono passati sotto Parigi – 47 dei 96 chilometri corrono in territorio francese. Oltretutto ai francesi di riaprire quella ferrovia non interessa un bel nulla, è soltanto un pallino del boss della Dc cuneese, Adolfo Sarti, che ci mette vent’anni a spuntarla sui colleghi di partito e di governo. Ne consegue che il mantenimento «sarà interamente a carico del bilancio delle Ferrovie italiane e la gestione purtroppo sarà sicuramente passiva», scrive il Corriere. Nessun Giulio Tremonti sedeva nel governo in cui Sarti era ministro per i Rapporti con il parlamento.
Oggi otto coppie di treni coprono ogni giorno la tratta tra Cuneo e Ventimiglia, mettendoci da un minino di un’ora e quaranta a un massimo di due ore e quattro minuti, in base alle fermate effettuate. La Cuneo-Ventimiglia rimane una delle ferrovie più spettacolari d’Europa: una gioia per gli occhi e un occhio della testa per il portafoglio.
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