C’è un’Italia peggiore che ogni lunedì si raduna fuori dal Palazzo di Giustizia di Milano, destinato purtroppo a tornare il luogo simbolo che fu. È l’Italia cieca dei tifosi, che magari ingenuamente, magari in modo becero, credono di poter identificare i destini del proprio Paese con quelli di Silvio Berlusconi. È l’Italia di vecchi pensionati che urlano ad altri vecchi pensionati di farsi curare, di matrone che espongono generose scollature e nient’altro di sé, se non la totale adesione a quell’uomo (sessualmente) così “pulito”, di infaticabili urlatori di rancorosi slogan contro il Cavaliere, di servitori blasonati che scodellano pre-comizietti, come quei cantantelli che intrattengono prima del concerto della rockstar, di poveri reggitori di telecamere accese sul nulla. Questa Italia non chiede niente, non sollecita, è solo e semplicemente a disposizione. Importa poco la divisione del chi è contro e chi a favore, e non è fuori da un Palazzo di Giustizia che si possono fare certi conti. Fuori da un luogo così, semmai i conti si regolano, illudendosi che lo sfogo sia comunque una rappresentazione del libero pensiero. Nessuno a cui venga in mente: ma le mie azioni sono forse mosse da qualcuno?
A ben guardare, la drammaturgia di questi lunedì risponde a una regia anche abbastanza precisa. Da una parte c’è un’intera organizzazione che si muove, e che nel corso degli anni ha imparato le tecniche degli avversari politici. Per cui i banchetti, i megafoni, i pullman, i panini al sacco, sono ormai parte integrante di una rivincita piccolo borghese che non ha mai amato la piazza, ma che ora trova anche un certo gusto a frequentarla. Dall’altra, ci si impicca alla vecchia, cara contestazione, in fondo mai passata veramente di moda, replicandone le stanche liturgie, buone per tutte le stagioni politiche. Ma di vero spontaneismo neppure l’ombra. E in fondo, poi, il Cavaliere si presta perfettamente a essere contestato alla maniera antica, senza la minima ricerca di una modernità, basta urlargli che ci ruba la democrazia e la coscienza è moderatamente salva. Chissà se senza nemici Berlusconi morirebbe d’inedia, forse è un interrogativo pretestuoso, eppure qualche tentativo andrebbe fatto per depotenziare il suo ossessivo armamentario composto sostanzialmente da comunisti e toghe rosse. Berlusconi senza nemici, ma solo con fieri avversari, ridurrebbe a stanche litanie le sue furiose invettive. Vi sembra poco?
In queste ore, qualche ingenuo ha seguito perfino la rotta tracciata da Giuliano Ferrara, che dalle colonne del Giornale si è sognato un passo indietro del Cav., adducendo stanchezza del medesimo per le lotte interne al Pdl che avrebbero sfibrato anche uno di tempra come lui. Interprete ufficiale dei sogni berlusconiani, il direttore del Foglio conduce il suo miglior sodale a una fine dolce e lieta, circondato dai nipotini e dall’allegra (nuova) brigata di Pato e Barbara. Questo, che è il sogno autentico di Ferrara, per Berlusconi non è neppure un lontano desiderio. Chi dell’individuo ha una conoscenza più antica, ne rammenta l’attitudine a non privilegiare mai una condizione di tranquillità, quel defilarsi che magari converrebbe, ma che ha poco a che fare con un carattere estremo, sempre e comunque votato allo scontro. Chi ha conosciuto bene Berlusconi, sa altrettanto bene della sua cattiveria e del suo cinismo (guardate anche alla sua vita professionale, non solo politica).
Abbiamo parlato, sin qui, di un’Italia peggiore che ogni lunedì si raduna davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. Un’Italia peggiore ne presupporrebbe una migliore, eguale e contraria nelle intenzioni e negli slanci. Ma questo Paese in gran parte non c’è, non si vede, non si avverte neppure all’orizzonte. Per cui, ogni maledetto lunedì va drammaticamente in scena quell’Italia normale, normalissima che conosciamo.