Scoop del Senato Usa: «C’è stata la crisi»

Scoop del Senato Usa: «C’è stata la crisi»

«Anatomia di un collasso finanziario». Così si chiama l’ultima relazione prodotta dal Senato statunitense in merito alla crisi subprime nata nel corso del 2007 con il crollo di Bear Stearns e che ha raggiunto il suo apice con il fallimento di Lehman Brothers. La Commissione permanente d’indagine guidata dal senatore democratico Carl Levin ha preso in esame tutte le fattispecie che hanno causato e amplificato la bolla immobiliare americana. Nelle 639 pagine che compongono il documento ci sono però anche svariate raccomandazioni per evitare nuovi focolai di crisi. Non è detto che servano. Sono infatti sempre più le entità Too-big-to-fail, troppo grandi per fallire. Anche dopo il giro di vite dei regolatori statunitensi.

Mutui suprime. Per evitare un nuovo terremoto finanziario, Levin ha pensato a 19 consigli tali da limitare la nascita di bolle. Si è partiti proprio da dove è nata l’attuale crisi, i subprime. Questi mutui, rilasciati a soggetti con una storia creditizia poco virtuosa, non dovranno più essere erogati. L’authority di vigilanza dovrà limitare l’accensione di mutui ipotecari con un rating troppo basso. L’esatto contrario di quanto successo finora. Per i mutui ad alto rischio attualmente attivi, cambiano le modalità di cartolarizzazione. In ogni prodotto costruito su subprime, questi non potranno superare il 5% della composizione finale, al fine di non accentuare gli squilibri dello strumento finale. Non potranno quindi più esistere Collateralized debt obligation (Cdo), cioè obbligazioni strutturate su pacchetti di mutui ipotecari, con una percentuale di subprime superiore al 5 per cento. Allo stesso modo, Levin raccomanda ai regolatori federali sul sistema bancario, cioè la Federal Reserve, di vigilare e tutelare i dollari dei contribuenti dagli atteggiamenti spregiudicati delle banche che utilizzano ampiamente la finanza strutturata.

Non dovranno esistere più situazioni in cui il capitale di base viene utilizzato per il proprietary trading, cioè investimenti in nome e per conto della banca. In questo caso le critiche di Levin son state rivolte a Goldman Sachs, la regina di Wall Street, che nel corso del 2008 ha perso oltre 15 miliardi di dollari proprio a causa del proprietary trading. Per scongiurare lo scenario appena descritto, il Senato ha chiesto alle banche statunitensi di dotarsi di un fondo di ammortamento per i prestiti più rischiosi. Analogamente, ogni istituto deve avere un ragionevole rapporto fra le sue attività più aggressive e quelle più prudenti nel proprio portafoglio d’investimento.

Asset tossici. La Commissione ha poi passato al vaglio la questione della regolamentazione finanziaria. Sono infatti troppe le interconnessioni fra i regolatori, un elemento considerato poco utile alla vigilanza da Levin. Ecco quindi che sarà smantellato l’ufficio di supervisione sulle casse di risparmio, cioè l’Office of thrift supervision (Ots), il cui compito sarà assunto dall’Office of comptroller of the currency (Occ), cioè il watchdog sulle banche nazionali ed estere operanti negli Usa. Levin chiede poi di rafforzare la struttura di controllo delle lacune bancarie, anche sotto il profilo della governance interna e non solamente dal punto di vista finanziario. A ruota la Commissione chiede di rivedere la struttura dei rating Camels, ovvero quelli volti a giudicare la forza strutturale di una banca su una scala decrescente da 1 a 5 in base al grado di solidità. «Finora questi giudizi sono stati drogati dagli stessi istituti di credito, che hanno fornito dati contraffatti sulla redditività e sulle attività ponderate al rischio», ha fatto notare Levin. Infine, il Consiglio di vigilanza sulla stabilità finanziaria (Financial Stability Oversight Council) dovrà valutare l’impatto di ogni singola pratica di prestito ad alto rischio o cartolarizzazione al fine di evitare squilibri sistemici negli Usa.

Agenzie di rating. Il Senato ha poi guardato ai giudizi interbancari. Il rating che veniva dato da una banca all’altra, ma soprattutto dalle tre agenzie di rating Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. Sarà compito della Securities and exchange commission (Sec), la Consob americana, valutare l’operato delle società che emettono i giudizi, le stesse che danno il voto ai prodotti finanziari a rischio come il Cdo Abacus 2007-AC1 costruito da Goldman Sachs insieme con il gestore di fondi hedge John Paulson e con al suo interno svariati titoli tossici. Ma la Sec dovrà anche aiutare gli investitori quando questi saranno sul punto di acquistare uno strumento. Sarà compito dell’authority di controllare che non ci siano rischi occulti, ma nemmeno conflitti d’interesse fra controllante e controllato. Le agenzie di rating dovranno inoltre essere in grado di riconoscere per tempo, e senza mistificazioni, il rischio intrinseco di un prodotto finanziario, prima che questo sia emesso sul mercato. A esso dovranno essere attribuiti giudizi più trasparenti di quelli attuali. Non è detto però che possa bastare questo per placare la dipendenza dai rating che hanno le istituzione finanziarie statunitensi e degli investitori.

Derivati. Le raccomandazioni più concrete e forti arrivano nei confronti della finanza strutturata. Il presidente della Commissione ha chiesto ai regolatori di attuare un programma di revisione su ogni transazione su strumenti finanziari strutturati. Questi significa che, oltre ai Cdo, saranno sottoposti a controlli i Credit default swap (Cds), i derivati che proteggono dal rischio di fallimento di un asset, gli Asset-backed securities (Abs), obbligazioni costruite su crediti cartolarizzati, e e Residential mortgage-backed securities (Rmbs), cioè degli Abs basati su mutui residenziali. Tutti questi strumenti, abitualmente utilizzati dai desk di proprietary trading delle banche, saranno più negoziabili in conto proprio. Niente più quindi la triade di fuoco, così è chiamato il terzetto del prop trading di Goldman Sachs. La più importante è Goldman Sachs Principal Strategies (Gsps), già in via di dismissione. Ora la palma dei più aggressivi la detiene Global Macro Proprietary Trading Desk, una divisione fra New York, Londra e Singapore che agisce come un fondo hedge global macro, investendo in qualsiasi genere di attività, dai bond alle materie prime. Infine, un’unità minore chiamata Special Situations Group agisce per Goldman Sachs negli investimenti più particolari, compresi quelli con Stati sovrani.

Sfogliando il documento emergono due principali lacune. La prima riguarda le attività bancarie. Proibire il prop trading non significa annullare il rischio sistemico. Gli istituti di credito sono globalizzati e hanno la possibilità di operare dove la legislazione è più favorevole. La prima conseguenza alla chiusura delle unità di prop trading, com’è già successo con Goldman Sachs, sarà la nascita di fondi satellite in Asia, dove la normativa è più permissiva con questo genere di attività. Negli ultimi mesi, del resto, sono sempre più le banche che hanno deciso di aprire o potenziare i propri uffici a Shanghai o a Hong Kong. Con buona pace dei regolatori statunitensi.

La seconda riguarda le interconnessioni fra banche. Il collasso di Lehman Brothers ha rischiato, per qualche giorno, di fare crollare l’intero sistema globale del credito. Se non fosse intervenuta la Federal Reserve come prestatore di ultima istanza nei confronti delle banche di Wall Street, il crac Lehman avrebbe bloccato la liquidità interbancaria, innescando una sequela di insolvenze. Il documento di Levin non tocca l’argomento dei rapporti fra banche di rilevanza sistemica, ma si limita a specificare che il Too-big-to-fail è da sconsigliare. Come dire, meglio nascondere la polvere sotto il tappeto, piuttosto che ramazzarla via del tutto. Così facendo, tuttavia, i rischi non vengono annullati, ma trasferiti. E le possibilità di un nuovo collasso finanziario aumentano.

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