Trichet ha deciso, ma il rialzo dei tassi non convince tutti

Trichet ha deciso, ma il rialzo dei tassi non convince tutti

Jean-Claude Trichet affronterà l’inflazione, il suo spauracchio, giovedì prossimo. Il presidente della Banca centrale europea (Bce) ha deciso un mese fa di voler innalzare i tassi d’interesse. E lo farà. Un quarto di punto: questo l’aumento ampiamente previsto dai mercati finanziari. Un incremento simbolico, ma che segna un cambio di rotta lungo la crisi iniziata nell’agosto 2007. Non sono poche però le incognite sulla strada della ripresa economica.

Era il 13 maggio 2009 quando Trichet annunciò l’ennesimo taglio dei tassi d’interesse dopo il fallimento di Lehman Brothers, nel settembre 2008. Dal 3,75% del 15 ottobre, dopo un maxi taglio da quota 4,25%, è stato un crescendo dell’offerta di denaro. Sei le sforbiciate in sette mesi: mai la Bce aveva adottato una politica monetaria tanto aggressiva quanto permissiva. «Momenti straordinari hanno bisogno di misure straordinarie», si era giustificato Trichet nei confronti dei suoi delatori, che già vedevano i germi dell’inflazione nelle scelte del banchiere francese.

Quasi due anni dopo, arriva il rialzo. Simbolico, piccolo, ma pur sempre un rialzo. Trichet dice di aver paura dell’aumento generale dei prezzi, che in febbraio si è attestata al 2,6% su base annua. Sono altri però i problemi che non dovrebbero fargli dormire sonni sereni. «La nostra è un’inflazione importata dall’impennata dei prezzi delle materie prime», va ripetendo il banchiere centrale francese da mesi a questa parte. Eppure, considerando anche lo shock petrolifero del 2008, quando il greggio toccò quota 150 dollari al barile e non ci furono impatti sull’economia reale in Europa, è difficile immaginare uno scenario avverso per l’Eurozona.

Di contro, quello che preoccupa Trichet è l’attuale clima congiunturale. La ripresa sembra essersi manifestata con una certa intensità, sebbene sia ancora fragile e influenzabile da eventi esogeni come il terremoto in Giappone, specie in tre settori chiave come quello automobilistico, nucleare e tecnologico. Tuttavia, per il numero uno dell’Eurotower non sussistono più i «momenti straordinari» tali da giustificare le «misure straordinarie» del dopo Lehman Brothers. Ecco perché ha deciso di alzare i tassi. Ma cosa succederà?

Secondo Société Générale, la Bce potrebbe alzare i tassi fino al 2,5 per cento. Un report dello scorso 15 marzo prendeva in esame proprio l’idea di Trichet, cercando anche di analizzare l’andamento del costo del denaro. Il momento della chiusura dei rubinetti della liquidità è arrivato, ma c’è già chi si domanda se questa è la soluzione corretta. Il credit crunch, in una fase congiunturale debole e in evoluzione come questa, limiterà ulteriormente la capacità d’investimento delle imprese europee. Ma avrà anche una sensibile influenza sui bilanci familiari.

Oltre all’andamento al rialzo del costo della vita, i consumatori vedranno innalzarsi i tassi che regolano i loro rapporti con gli istituti di credito. I primi fra tutti a risentirne saranno i mutui a tasso variabile. Proprio a tal proposito gli analisti di Citigroup sconsigliano «un aumento dei tassi che potrebbe deprimere la crescita e penalizzare il risparmio privato delle famiglie europee». Come però ha ricordato più volte Jürgen Stark, membro del board della Bce, «è arrivato il tempo di porre fine alla liquidità a basso costo».

La crisi dei debiti sovrani morde ancora il cosiddetto Club Med, cioè Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna. L’Italia, per ora, è stata esclusa ufficialmente dai giochi per il default da Markit, storica società finanziaria. Certo, la strada è stata tracciata e con essa anche i paletti. Il nuovo Patto di stabilità sarà più rigoroso del precedente e se ci saranno problemi nell’Eurozona potrà intervenire l’European stability mechanism (Esm), il maxi fondo da 700 miliardi di euro approvato nel Consiglio europeo del 25-26 marzo scorso. Eppure, le incertezze sono ancora troppe.

Un innalzamento dei tassi, specie se nella misura stimata da SocGen, potrebbe incidere sulla crescita di quei Paesi più in difficoltà, come Portogallo, Grecia e Irlanda. La Germania spinge per un riequilibrio del rifinanziamento, forte della sua crescita al 3,6 per cento. Ma quello di Berlino sembra un atteggiamento egoista, oltre che superficiale. La crisi debitoria non è ancora conclusa e le esigenze di finanziamento primario dei Paesi sotto pressione sono ancora molto elevate. Giusto ieri il ministro greco delle Finanze, George Papaconstantinou, ha detto di sperare di «poter tornare sui mercati obbligazionari nel 2012». Troppo poco per dichiarare conclusa l’emergenza.

Nonostante le paure per la crescita e per l’epidemia dei conti pubblici, il timore di un’esplosione dell’inflazione è più elevato. Continua infatti ad aumentare la massa monetaria M3, un valore che raccoglie in sé tutta la moneta circolante, più i vari depositi presenti nell’Eurosistema. In febbraio questo coefficiente è aumentato del 2% su base mensile, dopo un gennaio in salita del’1,5% sempre rispetto al mese precedente. Allo stesso modo nel trimestre dicembre-febbraio l’M3 è crescita dell’1,7% nel confronto col trimestre precedente. Alla luce di questo, Trichet vuol evitare che l’incremento monetario possa trasformarsi in inflazione. Non è detto che basti agire sulla leva dei tassi. 

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