«Tu lo sai cosa succederà, vero?». «Certamente, quelli se la sono cercata». «Sì, non possono certo dire che sono dei santi». Il riferimento è alla Grecia, ma non solo. La crisi europea dei debiti sovrani spaventa l’Europa e le sue banche, ma il suo destino è già tracciato. In molti la chiamano “Gipsi way“, la via degli zingari dell’euro, un simpatico acronimo che definisce la road map per i crolli nell’Eurozona: Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. «La Gipsi way si è innescata ed è un problema per tutti», mi dice un banchiere londinese. Difficile non credergli.
Roma, metà aprile, grande hotel a cinque stelle di Via Veneto. Federico Fellini nel narrare la Dolce Vita avrebbe dovuto vivere nei giorni nostri. Come mai? Perché il tasso di benessere che il capitalismo ha portato nel mondo, compresi eccessi sia di ricchezza sia di povertà, è qualcosa che cinquant’anni fa non si poteva immaginare. Certo, il boom economico era solido, ma solo oggi una persona può dire di essere fottutamente ricca. Con cosa? Con delle palesi dimostrazioni di potenza virile. Una di queste è l’apertura di una bottiglia di champagne Mumm da 22mila euro solo perché «si vive una volta sola e questa città mi fa impazzire». Impossibile non pensare immediatamente al Grande Gatsby, peccato che questo sia tutto vero.
Io arrivo in orario, alle 18:00, anche se sono già consapevole che sarò uno dei primi. Il taxi mi lascia di fronte, il personale dell’hotel mi apre la portiera perdendosi in riverenze nemmeno fossi un capo di Stato – non che mi dispiaccia – ed entro velocemente. Chiedo lumi per la festa privata e mi mandano sulla terrazza panoramica, una piccola gemma incastonata nel cuore di Roma. L’accoglienza è delle migliori. Di fronte ho Philip, pezzo da novanta della prima banca tedesca, e Magnus, svizzero di ferro che si occupa di regolamentazione finanziaria per il primo istituto di credito elvetico. Mi accolgono con grandi saluti e mi offrono subito da bere. Tanto per cambiare, c’è champagne, questa volta Mumm. Il problema è che non ho particolare voglia di bollicine francesi, quindi, cogliendo la presenza anche di un italianissimo prosecco di Valdobbiadene, chiedo quello. Philip mi guarda un po’ stranito, ma tant’è. Chiedo loro cosa ci sia da festeggiare e non ricevo la risposta che avrei immaginato: «C’è sempre un buon motivo per incontrarsi e fare quattro chiacchiere, no?». Non mi convince, ma non insisto. Butto giù il terzo calice di prosecco mentre mi accendo una sigaretta.
Finalmente, dopo mezz’ora, arriva del cibo. Si tratta di piccole tartine e altro finger food. La qualità non è eccelsa e molti se ne accorgono. Tuttavia, la terrazza panoramica ti permette di appagare qualsiasi voglia. Sotto i tuoi piedi c’è la Città eterna, Roma. E dato l’orario, scelto non a caso, il cielo esplode in un tramonto infuocato che sembra dipinto in presa diretta: una luce inimmaginabile per le altre città, soffocate dallo smog, ci fa pensare per un attimo. Mi avvicino alla persona che sembrava più rapita da quella tela tinteggiata solo con viola, rosso e giallo. Circa 45 anni, capelli brizzolati, fisico atletico, potrebbe essere il padre nella pubblicità della Mulino bianco. Ha un abito italiano, credo Brioni. Probabilmente è la prima volta che lo sfoggia, la lana Tasmanian ha un colore particolare quando non è mai stata indossata e il suo completo è fresco di stiratura, non ha nemmeno una piega, sintomo che non si è nemmeno seduto da quando si è vestito.
«Dicono che Roma sia la città della luce. Questo spettacolo non è male, vero?», gli chiedo. «Io sono sempre stato a Roma solo per lavoro e solo per pochissime ore. Non mai visto un cielo del genere, è eccezionale», mi risponde. Poi, si presenta: Andrew, vice presidente di una Sgr britannica, una della maggiori. Io lo conosco di fama, non propriamente positiva. Mi raccontarono che da giovane arrivò prestissimo in alto per via di un atteggiamento davvero troppo spregiudicato. A dirlo, una persona fidata, il mio amico Richard che mi accompagnò nel Gherkin a Londra. «Sai, sembra che solo la luce di Atene potrebbe competere con quella di Roma», dico. Andrew mi guarda, sorride e poi risponde: «Sì, ma quella è la luce del fuoco. Athens is burning». Io rido, anche perché tutti sappiamo cosa succederà. Chiedo a Andrew cosa ne pensa della situazione greca e la risposta è tranchant. «L’Europa ha solo buttato via dei soldi. Quei merdosi se la sono cercata e hanno peggiorato tutto. E ora? Si lamentano, vanno in piazza, cercano di chiedere la nostra elemosina, ma non hanno capito che ci hanno fatto entrare in una spirale di azzardo morale dalla quale non si esce», mi spiega.
Con la scusa di una sigaretta si avvicina anche un altra persona. È il direttore finanziario di una banca belga, una delle maggiori a livello europeo. Ci racconta un aneddoto sull’Europa. «Immaginatela come la torre di Babele: tante voci, troppe voci. Il problema è che però a comandare è solo la Germania, che fa il bello e il cattivo tempo», ci dice Marc, una persona anonima esteticamente se non fosse che le sue parole sono macigni e che al polso ha circa 150mila euro di Iwc. Marc racconta a denti stretti di essere stufo delle ingerenze tedesche, anche perché quando crollerà Atene il suo istituto di credito sarà molto esposto. Come lui, anche altre due banche teutoniche. «Ciò significa che, volente o nolente, la mia società dovrà necessariamente seguire lo schema dettato da Berlino, anche se non conviene», mi sottolinea guardandosi bene dal non farsi sentire dai colleghi. In effetti, il clima non è quello che c’era a Londra, nel Gherkin. No, qui l’aria è elettrica, si respira che c’è qualcosa che non va. E cerco di capirlo.
A giorni, riesco a cogliere, arriverà l’annuncio ufficioso della ristrutturazione del debito sovrano della Grecia e sono tutti in attesa di cosa succederà. Le operazioni di negoziazione fra Germania, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Atene sono andate a buon fine e si è definito in che modo l’Eurozona dovrà pagare il fallimento della Grecia. Marc, guardando il suo magnifico orologio, ironizza: «Pensa che quest’opera d’arte costa 150mila euro. E l’ultimo giocattolino che mi sono regalato, una Aston Martin Dbs, ne vale molti di più. Mi verrebbe voglia, ogni tanto, di donarli a Papandreou». L’obiettivo, infatti, è solo uno, evitare l’epidemia. «I giornalisti a volte esagerano, ma stavolta ci hanno azzeccato. Sai quanta merda greca hanno le banche tedesche?», spiega Marc. Lui è visibilmente preoccupato, ma interviene Marcus, che nel frattempo si è avvicinato a me, Andrew e Marc: «Dovete stare tutti tranquilli. Tutti noi siamo troppo grandi per fallire, non conviene a nessuno avere un altro terremoto dopo Lehman Brothers e dopo quello giapponese». Eppure, anche Lehman era troppo grande per fallire.
Qualcuno dice che il crac di Atene potrebbe costare 200 miliardi di euro, altri che potrebbe essere il primo tassello di un crollo dell’Eurozona. Mi stacco dal gruppetto e vado a procacciarmi altro prosecco inseguendo un cameriere. Incontro Philip, l’altro padrone di casa della serata. È il momento di chiedergli cosa ne pensa di questa crisi globale. «Non diciamoci cazzate, l’Europa non esiste più, l’euro neppure e nemmeno gli Stati Uniti stanno molto bene. Per non parlare poi della Cina», dice Philip. Gli chiedo cosa pensa che dovrebbe fare Bruxelles per risolvere la situazione. La risposta mi fa scorrere un brivido lungo tutto il corpo. «Prendere atto che il progetto comunitario di costruire una cosa farlocca su un sistema economico poteva essere buono per i primi anni, ma senza un coordinamento centrale serio, concreto e rigoroso, il destino è questo», dice. «E quindi?», gli chiedo io quasi sottovoce mentre mi accendo una sigaretta per tranquillizzare i nervi. «E quindi bye bye Europa. Per quel che ne so io la Germania vorrebbe uscire quanto prima dall’Eurozona, solo che sai bene quali sono gli ostacoli e poi…». Lo incalzo: «E poi cosa?». Lui tentenna, mi chiede una sigaretta, l’accende compulsivamente, poi mi guarda e dice: «E poi sarebbe la fine. Chi cazzo lo tira questo continente? La Francia, che è messa peggio di molti altri col debito pubblico e ha una burocrazia folle? Il Regno Unito, specie dopo che Cameron ha tagliato pure la carta igienica a Westminster? Gli scandinavi, che sono quattro gatti, tre abeti e un paio di renne?».
Sono passate due ore dall’inizio dell’aperitivo. E come sempre, fra un calice di champagne e una chiacchiera, arrivano delle ragazze. Questa volta sono una dozzina, nessuna delle quali pare oltre i 35 anni. Dimentichiamo i discorsi fatti finora per interloquire con loro. Io offro da bere a Martina, 24 anni dai capelli castani e dagli occhi verde smeraldo. Non è molto alta, ma riesce a dissimulare bene con un tacco dodici firmato Christian Louboutin, riconoscibile dalla suola rossa. Tornita in un abito che di primo acchito pare di Chanel, è sembrata la più indifesa. «Cosa ci fai qui?», le chiedo mentre le porgo un calice. «Guarda, mi hanno detto alcune amiche che c’era una festa, quindi perché non andarci? Poi non ero mai stata in questo albergo», mi dice. Facciamo amicizia, le spiego chi sono alcune persone, di cosa si stava parlando e lei mi interrompe: «Ottimo, io sto preparando la tesi in Bocconi proprio sulla Banca centrale europea, magari trovo qualcuno spunto interessante!». La mia risposta so che non le piacerà, ma è l’unica che mi viene: «Cara, non credo che qualcuno qui, almeno stasera, sia interessato alla tua tesi». La sua espressione vale mille parole.