Anche gli inglesi si fanno tentare dal proporzionale

Anche gli inglesi si fanno tentare dal proporzionale

Più trascorrono le ore, più ci si avvicina al fatidico giorno, più sale la tensione nel governo britannico. Il 5 maggio 2011 potrebbe rivelarsi la data in grado di cambiare il corso della politica d’Oltremanica, con gli elettori chiamati non solo a votare per le elezioni amministrative, che pronosticano un successo laburista, ma soprattutto per il referendum sul sistema elettorale. Sul piatto c’è potenzialmente il passaggio da un maggioritario secco uninominale, che in Gran Bretagna viene identificato con l’espressione “first pass the post”, a un assaggio di proporzionale, con l’introduzione dell’Alternative vote.

Il segretario all’Energia, il liberaldemocratico Chris Huhne, è stato solo l’ultimo in ordine di tempo ad attaccare il Primo ministro conservatore David Cameron, colpevole agli occhi di Huhne di essersi apertamente schierato per il no, quando gli accordi tra Tories e Lib Dem prevedevano che tanto Cameron quanto la sua spalla destra, George Osborne, mantenessero un basso profilo nel corso della campagna referendaria. Secondo un sondaggio pubblicato lunedì dal Daily Mail, le intenzioni di voto sono cambiate sensibilmente dallo scorso 18 febbraio, quando Cameron si è espresso senza mezzi termini contro il nuovo modello sponsorizzato dal partito di Nick Clegg e che già viene usato in Gran Bretagna per eleggere il leader laburista e liberal, in Australia per la House of Rappresentatives e in Irlanda per il presidente della repubblica.

Il sistema è più semplice di quanto possa sembrare e parte del presupposto tuttora in atto che in ogni collegio ci sia un candidato per partito. Ciascun elettore invece di tracciare una X sulla scheda per indicare il candidato prescelto, stila una classifica di preferenza segnando con il numero 1 la prima scelta, con il numero 2 la seconda e così via, finché meglio crede, sulla base delle scelte a disposizione. Se un candidato riceve la maggioranza di voti (50+1) di prima preferenza, viene eletto. Altrimenti si elimina l’ultimo candidato, quello che ha totalizzato il minor numero di prime preferenze, e le sue seconde preferenze si distribuiscono sugli altri candidati. Se nemmeno le seconde preferenze del candidato eliminato sono sufficienti, si procede alla distribuzione delle terze preferenze e così via. Il procedimento finisce quando un candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti.

È evidente come il proporzionale rappresenti un capitolo totalmente diverso rispetto al maggioritario per cui “il primo si prende tutto” e che da sempre accompagna la politica inglese. In particolare – e non è un caso che Nick Clegg e i suoi abbiano imposto il referendum come condizione per aiutare Cameron a formare una maggioranza parlamentare dopo il risultato di un anno fa – consentirebbe ai partiti minori di farsi spazio in un agone dominato dai laburisti e dai conservatori. 

D’altronde, l’Alternative vote è un vecchio pallino per i liberaldemocratici: un argomento che immancabilmente torna a farsi sentire quando le maggioranze si rivolgono a loro per avere un ulteriore appoggio alla House of Commons. Anche Tony Blair durante il suo primo mandato (1997-2001) aprì apparentemente le porte ad una riforma elettorale, incaricando Lord Roy Jenkins di guidare una commissione che ben presto finì in un vicolo cieco, con buona pace dei liberaldemocratici per un attimo avevano respirato profumo di vittoria.

E poi c’è il precedente del 1931. Anni difficili, con la crisi del 1929 che ha investito le diverse economie, una situazione internazionale instabile e che da lì a poco vedrà l’imporsi del nazismo in Germania dopo il fascismo in Italia e il comunismo in Unione sovietica. E con alcuni governi che non dispongono dei numeri necessari per considerarsi stabili, tra cui quello di Londra. Primo ministro è il laburista Ramsay McDonald che dal ’29 al ’31 chiede e ottiene l’appoggio dei Lib Dem guidati da David Lloyd George che dal 1916 al 1922 aveva guidato a sua volta un governo di coalizione.

Lo storico Peter Clarke, ripercorrendo quegli anni nel libro “Hope and Glory”, li pone in un capitolo dal titolo inequivocabile: «Economic blizzard», bufera economica. In un esecutivo senza una chiara strategia, McDonald riuscì a strappare l’appoggio di Lloyd George garantendogli l’introduzione della Electoral Reform Bill, che inizialmente mise a tacere i malumori all’interno del partito liberaldemocratico per un’alleanza che non era vista di buon occhio. Uno status quo che durò fino all’estate del ’31, quando la legge venne stralciata dalla House of Lords, aprendo una nuova stagione che culminò con il formarsi del primo governo nazionale che includeva laburisti, conservatori e le due anime liberaldemocratiche (Liberal Party e Liberal Nationals).

Appunti di storia da tenere sottomano dopo il fatidico 5 maggio, visto che in una nazione dove i precedenti e le tradizioni hanno un loro perché nella stesura delle leggi, il passato potrebbe ritornare.  

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