L’idea è quella di un’azione militare continua, come quella che nel 1999 la Nato condusse contro Milosevic, con il risultato di indebolirlo politicamente e alla fine farlo cadere. Gli alleati Nato hanno infatti convenuto di estendere la campagna militare in Libia fino alla fine di settembre. Gli ambasciatori dei Paesi dell’Alleanza hanno deciso di prolungare la missione ‘Unified Portector’ di altri 90 giorni, come ha detto il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen, a margine del Consiglio del Nord Atlantico. Le operazioni militari in Libia sarebbero dovute terminare il prossimo 27 giugno. Una scadenza evidentemente reputata ora non sufficiente a sbarazzarsi di Gheddafi.
Il problema è che Gheddafi non è Milosevic, la Libia non è la Serbia e il contesto di allora molto differente da quello attuale. Pare molto probabile che alla fine Gheddafi sarà sconfitto. Le forze in campo sono naturalmente diseguali. Tuttavia come si vincerà sarà determinante per la stabilità futura del paese. Se ci sono ancora adesso serbi che rimpiangono Mladic e Milosevic possiamo comprendere come in futuro molti libici potranno rimpiangere Gheddafi che ha regnato sul paese per più di 40 anni distribuendo i dividendi dei proventi del petrolio. Gli abitanti della Tripolitania andrebbero rassicurati sul loro futuro coinvolgimento nella gestione del paese post-Gheddafi.
I bombardamenti Nato sembrano oggi puntare a due obiettivi: da un lato all’eliminazione fisica del Colonnello, dall’altro alla sua mortificazione politica. Una strategia appunto già usata con Milosevic: si punta a indebolire il suo “inner circle”, costringendolo alla vita nei bunker e a poche sporadiche apparizioni, erodendo il suo consenso tra civili e militari. Pochi giorni fa un centinaio di ufficiali delle forze fedeli a Gheddafi hanno disertato e sono passati con i rivoltosi. Una mossa che va iscritta con merito – finalmente – all’azione dei servizi segreti italiani. Intanto francesi e inglesi hanno deciso di utilizzare anche gli elicotteri: maggiore possibilità di colpire i nemici nascosti nei centri urbani, ma anche maggior possibilità di perdite umane. Frattini è volato a Bengasi, ha riaperto il consolato italiano e ha annunciato finanziamenti ai ribelli (di ENI e Unicredit), anche se ancora non è chiaro di che cifre si stia parlando.
Permangono i dubbi: la stretta cerchia di Gheddafi è composta da uomini che hanno legami familiari e clanistici con il rais. Non era così per Milosevic. I libici hanno esercitato nel corso degli anni delle sanzioni internazionali una straordinaria capacità di resistenza. I bombardamenti potrebbero anche rafforzare anziché indebolire questa resistenza. Gheddafi nutre ancora la speranza di cavarsela. La visita del presidente sudafricano Zuma gli ha offerto una nuova sponda: non ha chiesto il suo esilio, ma un cessate il fuoco che consentirebbe al rais di rimanere in sella, seppure su di un paese dimezzato. Nell’ultima settimana la coalizione internazionale pare aver guadagnato il supporto della Russia (in cambio della salvaguardia degli interessi di Gazprom in Libia?), ma la maggior parte dei BRICs rimane decisamente contraria, Cina prima fra tutti. Zuma inoltre se l’è presa con la Nato, i cui continui bombardamenti a suo dire vanificherebbero ogni sforzo negoziale.
E con la Nato potrebbe cominciare a prendersela anche il mondo arabo. La situazione è complessa: molti paesi arabi hanno visto di buon occhio un intervento contro il nemico Gheddafi, tuttavia una presenza occidentale militare così costante nell’area non è affatto gradita. Ora anche Al Jazeera, che ha giocato un ruolo decisivo nell’accendere la rivolta nelle sue fasi iniziali, pare aver abbandonato la linea anti-gheddafiana senza se e senza ma. Pochi giorni fa ha mostrato un video in sui si vedono sei uomini armati, apparentemente occidentali (secondo alcune fonti britannici) insieme ai ribelli libici nei pressi di Misurata accusando la Nato di aver già messo “boots on the ground” in Libia nel silenzio generale. Un pessimo segnale.
* Ricercatore ISPI