Quasi dieci anni fa esatti (era il 15 giugno) se ne andava di nuovo da Milano. Scriveva Alberto Costa sul Corriere dell’addio di Leonardo: «Ieri s’è commosso di nuovo. Presentandosi a Milanello ha infatti trovato tutti ma proprio tutti (compagni di squadra, tecnici, massaggiatori, giardinieri, cuochi, camerieri, impiegati) vestiti con una maglietta bianca: sul davanti la scritta “Grazie Leo” e il numero 18, sulla schiena un semplice arrivederci».
Leonardo Nascimento de Araújo, nella sua carriera di ala, dirigente e allenatore,ha salutato parecchie volte. È anche tornato, come al Milan, da giocatore fra l’ottobre 2002 e il marzo 2003 dopo le quattro stagioni in rossonero dal 1997 al 2001. Ha giocato anche in Giappone e nel Psg con cui ha perso una finale contro il Barça (gol di Ronaldo su rigore). Maglia numero 18 al Milan, oggi finita misteriosamente sulle spalle di Marek Jankulovski, «l’unico per cui abbia pianto quando ha smesso come calciatore», diceva di lui Adriano Galliani battezzandolo allenatore il 2 giugno del 2009 a San Siro. A lui era toccata la pesante eredità di Carlo Ancelotti, nell’anno in cui aveva smesso di giocare anche Paolo Maldini e, all’Artemio Franchi, Kakà giocava la sua ultima partita in rossonero. Dopo quel pomeriggio di Firenze, è iniziata la sua terza carriera.
Smesso di giocare, Leonardo era diventato dirigente del Milan e, molto vicino ad Adriano Galliani, aveva curato i trasferimenti di Kakà, Pato e Thiago Silva, fra i giocatori migliori del passato recente e presente rossonero. Nel dicembre 2008, dichiarava: «Il mio rapporto con il Milan mi fa pensare a tante cose, e se un giorno diventerò allenatore lo farò solo per il Milan o la nazionale brasiliana». Da allenatore del Milan ha curato la fase di transizione del post-Ancelotti, cercato di moderare le passioni presidenziali per Ronaldinho e “varato” il 4-2-fantasia, il modulo nato per incrociare il gioco d’attacco con la rosa dei rossoneri, fatta di molti reduci dell’era Ancelotti e pochi giovani. Pirlo-Ambrosini in mezzo al campo, Seedorf trequarti e in attacco, Ronaldinho (alternativamente fermo o al piccolo trotto), Borriello e Pato. Score finale: Milan terzo, dodici punti dietro a Inter e Roma.
In mezzo un rosario di schermaglie con Berlusconi, mai amato. Nel febbraio 2010, gli attriti diventano pubblici. L’ex presidente e patron del Milan, durante una cena a Palazzo Grazioli dice: «Questo Milan è una gran bella squadra. Se la facessero giocar bene…». Due giorni dopo Leo risponde, sul punto. «Se il presidente vuole che mi metta da parte, basta una sua parola». Ad aprile il brasiliano fa capire che il suo tempo sulla panchina del Milan sta finendo: «Non so cosa abbia detto, ma a prescindere da ciò non posso negare che il nostro rapporto è difficile. Siamo diversi, forse incompatibili». Finirà da lì a poco, con una notizia data da Sportmediaset, prima smentita e poi confermata di lì a poco nei fatti.
Passata l’estate, esce un’intervista sulla Gazzetta dello Sport. Due pagine dove Leonardo dice più di una cosa di rilievo. La prima: «A un certo punto dei 13 anni rossoneri ho pensato che il Milan fosse la mia eternità. Invece ho chiuso. Quest’anno mi servirà per cambiare pelle, per vedere le cose con occhi neutri. Non da milanista». Del suo “esonero”, «sono io che ho deciso di andarmene, io ho rinunciato a un anno di contratto per lasciarci nel migliore dei modi. Me ne sono andato per ragioni di incompatibilità di carattere e di stile. Sono tutte cose che ho detto anche a lui. A Narciso tutto quello che non è specchio non piace». Nell’intervista c’è più di un accenno al suo possibile futuro all’Inter. Di Massimo Moratti dice: «Ci conosciamo da anni. Incontri sempre affettuosi e disinteressati. In nessun’altra lingua esiste un concetto nitido come il vostro mai dire mai…».
Il mai finisce il 29 dicembre 2010, quando appare sul sito ufficiale dell’Inter il più classico dei comunicati di benvenuto al nuovo allenatore. Chiusa la rapida e poco felice parentesi di Rafa Benitez sulla panchina dei nerazzurri (valsa pur sempre una coppa Intercontinentale) è quindi Leonardo il nuovo allenatore dell’Inter. Alla prima conferenza stampa, presente Moratti, il brasiliano dice: «Sarò sincero, ho sempre cercato di essere una persona libera, con la mia identità». Guida l’Inter a una rimonta che porta la squadra a meno due dal Milan, alla vigilia del derby. La curva del Milan gli dedica un ingeneroso “Giuda Interista” e la partita finisce 3 a 0 per i rossoneri. Berlusconi, dopo la partita dice: «Spero che resti a lungo all’Inter». I nerazzurri perdono malamente anche la Champions League uscendo male con lo Shalke 04 e, nel giro di pochi giorni, tutto sembra incrinarsi fra Leonardo e il popolo nerazzurro. Chiuderà la sua esperienza in panchina con 22 vittorie, 3 pareggi e 7 sconfitte.
C’è ancora il tempo perché Gattuso, festeggiando lo scudetto del Milan, canti «Leonardo uomo di merda» a Roma, dopo l’ultima di campionato. La fine delle esperienze milanesi del brasiliano arriva per sua volontà, tentato da altre esperienze. Moratti ammette, il 16 giugno: «Mi sembra che abbia ambizioni di altro tipo, non di fare l’allenatore e io ho bisogno di questo, non di un direttore generale». Leonardo infatti andrà al Psg, dove aveva giocato, per guidare la società. Questo perché la Qatar Sports Investments del principe del Qatar Tamim Bin Hamad Al-Thani ha rilevato il 70 percento delle quote del club rossoblu. Una ex-grande, quest’anno quarta in Ligue 1, la Serie A francese. Si vedrà come sarà il suo ritorno a Parigi, e chi lo seguirà, così come resta ancora da capire chi sarà il suo successore sulla panchina dell’Inter.