«È indispensabile fare i conti con la realtà per non precipitare nei burroni della demagogia», ha detto Nichi Vendola difendendo i profitti del “suo” Acquedotto Pugliese. Sono d’accordo: mi chiedo però dove stesse Vendola quando si discuteva di queste cose ai referendum dove lui ha predicato il contrario di quanto oggi pratica.
Premessa: in Italia si parla di profitto e di interesse come se fossero la stessa cosa, ma in realtà sono due cose diverse, tant’è che nei modelli economici standard i profitti sono nulli ma gli interessi sono sempre positivi: il 7% di cui si parlava ai referendum sono interessi, non profitti.
L’interesse è composto di due parti, la remunerazione dell’attesa e la remunerazione del rischio: un prestito a venti anni costa più di uno a due, e un prestito alla Grecia rende più di uno alla Germania. Questo ha un costo: più aumenta la durata dell’investimento, più tempo bisognerà attendere per poter riavere indietro i fondi investiti, e più si rischiano perdite.
Quando i risparmiatori forniscono fondi ad un’impresa, chiedono un rendimento, dato dall’interesse sul prestito. Tali interessi sono un costo reale per la produzione: senza una remunerazione per il capitale, infatti, i risparmiatori non presterebbero fondi, e non ci potrebbero essere investimenti. Dunque il costo di produzione deve includere gli interessi: il capitale investito in un acquedotto deve guadagnare un rendimento proporzionale alla durata e alla rischiosità dell’investimento. Voi investireste i soldi della vostra pensione a interessi zero? E se chiedete “profitti” sui vostri contributi previdenziali, perché chi acquista bond dell’Acquedotto Pugliese per finanziarne gli investimenti dovrebbe fare eccezione?
Per il debitore l’interesse è un costo, mentre per il creditore un ricavo. Il creditore ricava un reddito dal prestito perché anticipa i fondi, il debitore paga un costo per utilizzare i fondi anticipati. I soldi con cui vengono pagati gli interessi sono la remunerazione del capitale investito: sono la remunerazione necessaria per ottenere fondi. Altrimenti, niente manutenzione, e niente infrastrutture.
L’assessore alle Opere pubbliche Amati afferma: «In Puglia la remunerazione del capitale investito del 7% è un costo: quello che pagheremo ogni anno fino al 2018 sul bond in sterline pari al 6,92% contratto durante la gestione dell’era Fitto». E, aggiunge Vendola, «In Puglia in realtà non siamo di fronte alla scelta di abbassare la tariffa del 7% e di conseguenza gli investimenti perché quella remunerazione non è utilizzata, come dovrebbe, per gli stessi investimenti, ma rappresenta la copertura di un debito e quindi dal punto di vista finanziario un costo».
L’affermazione di Amati è lapalissiana: la remunerazione del capitale è un costo, cosa che chi ha fatto campagna per il Sì negava. L’affermazione di Vendola invece è un non-sense, perché i fondi ottenuti con il prestito servono proprio a finanziare gli investimenti. Si può discutere se tali fondi siano stati o meno saggiamente impiegati, ma se servono per investire occorre remunerarli, e cioè è un costo.
Si può discutere anche se il 7% di rendimento imposto per legge sia un rendimento alto o basso: i rendimenti deve deciderli il mercato, non il Governo (quel 7% era deciso dal CIPE). Il fatto che l’“Acquedotto Pugliese” sul mercato trovi fondi proprio ad un interesse prossimo al 7% mostra però che quella remunerazione ha senso. È grave che nel 2011 le conoscenze economiche degli italiani e della loro classe dirigente siano così scarse da dover discutere di cose così elementari e analizzare argomenti così stiracchiati.
*economista