Berlusconi geloso di Alfano: un sondaggio contro di lui

Berlusconi geloso di Alfano: un sondaggio contro di lui

Il voto di ieri è stata la punta del coltello che arriva agli organi vitali. L’uomo più esaltato, venerato, adorato e odiato della storia patria dell’ultimo ventennio, adesso è tragicamente solo, piegato su se stesso e sul rancore per chi lo tradisce senza nemmeno quel briciolo di pietà che si deve agli sconfitti. Si accaniscono sul corpo straziato dalle ferite avvoltoi d’ogni genere, persone che solo qualche lustro fa gli strisciavano intorno con aria servile, spolverando gli stivali del capo perché rilucessero senza pari. Adesso ne parlano come di un malato praticamente terminale, commissariato da Napolitano (nuovo leader anche di una certa destra), e chiuso in un mondo parallelo che non avrebbe più alcuna aderenza con la realtà.

C’è tutto un mondo, là fuori, che si agita per immaginarne la fine, c’è tutto un mondo, qui dentro, che ha aperto una religiosa collaborazione con il presidente della Repubblica per trovare la soluzione al Problema: come neutralizzare Silvio Berlusconi, metterlo a pensione, e aprire una fase nuova, emergenziale, ma controllata. Si lavora anche da destra alla bisogna, il Cavaliere ne è perfettamente consapevole, cosciente che per lui il resistere per il resistere è soltanto un marchingegno infantile che gli permetterà forse una qualche forma di sopravvivenza politica, ma che non aggiungerà praticamente nulla alla sua azione di governo.

È per questo che con molta discrezione e con pochissimi uomini fidati, il premier sta cercando di intercettare un percorso possibile, una terza via a una fine certa. Quando il sangue comincia a scorrere, Silvio Berlusconi riprende come per incanto la fisionomia di una compattezza antica, il riflesso immediato della battaglia, l’esigenza di abbandonare la nave ancora, se possibile, da capitano vincente. Impresa ardua, se non impossibile.

Oggi non può certo permettersi la conta degli infedeli, prenderebbe troppo tempo e la lista si farebbe infinita, per cui agisce come se la sua ultima azione fosse ancora una prima volta, come quando – pazzo lucido sconsigliato da tutti – decise di fondare un partito, che poi divenne il partito.

Incredibilmente, ben presto si è reso conto di un errore, di un suo errore, di una tragica sottovalutazione: la scelta di Alfano. E non tanto perché abbia sbagliato nella scelta dell’uomo politico, ma esattamente per il suo contrario. L’idea di trovarsi un (finto) delfino gli era balzata alla mente per tamponare quell’idea generale, secondo cui uno come Giulio Tremonti sarebbe stato l’ideale presidente del Consiglio in un’Europa inquieta. Cercando di evitare lo scontro diretto, che avrebbe prodotto una pericolosissima crisi di governo, il leader ha immaginato che la figura di un possibile successore, o anche solo di un designato, avrebbe spostato l’attenzione sul prescelto. Sul piano della comunicazione, una carta certamente ben giocata.

Solo che Alfano potrebbe trasformarsi nel figlio che uccide il padre. Che lo uccide in realtà senza averne vera consapevolezza, attraverso sia una sua crescita naturale, sia una considerazione esterna, con la “complicità” di quei soggetti politici che lo stanno identificando (anche strumentalmente) come il possibile scardinatore del sistema berlusconiano. Il giovane Angiolino, che al premier deve tutto, da una parte è visibilmente lusingato da tanta attenzione, ma dall’altra sente che questa confusione dei ruoli può rendere sempre più difficile e delicato il suo rapporto con il Cavaliere.

Adesso fatevi una domanda: come mai il premier non lo ha ancora liberato dall’incombenza del ministero? Doveva essere questione di ore e non pendevano palesi difficoltà. Invece niente, lo tiene incatenato alla Giustizia perché in questo modo Angiolino non può liberare tutte le sue energie come nuovo (e primo) segretario del partito.

Per tutto questo, Berlusconi ha fatto una cosa pazzesca, che solo un uomo geloso poteva immaginare. Geloso di un ragazzo di trent’anni meno, che non può meritare un sentimento così acceso. Il che denota la fragilità di un uomo che è arrivato ai settantacinque anni, provato, non più sicuro come un tempo. Ha commissionato segretamente un sondaggio, un pazzesco sondaggio: lui contro Alfano, un fighter senza pari contro un placido avvocato agrigentino!

Quando lo abbiamo raccontato a Maroni, il ministro ha sorriso amaro: «Non lo fa volare, è chiaro, ha quasi paura di qualcuno che possa succedergli. Non lo ha lasciato solo neanche con i coordinatori regionali, questo è proprio un segnale…». 

Quella di Berlusconi è un’iniziativa che nasce certamente da una sragionevolezza di fondo, ma che, se vogliamo, in qualche modo riporta anche a una certa umanità. Il sondaggio, imperniato sul gradimento personale, era presentato così: Berlusconi a capo di un nuovo partito, composto unicamente da under 40 e Alfano a capo del vecchio Pdl. Adesso votate! Lui contro il suo delfino, capite, apparentemente una cosa senza senso.

Il risultato finale? Non lo ha tranquillizzato fino in fondo. Berlusconi è sì risultato vincente – e non poteva essere diversamente – ma soltanto di sei punti sul giovane avversario. In qualche modo, il vecchio leader del Pdl si è reso conto, attraverso i numeri ai quali ha sempre dato credito, di avere coltivato in seno un possibile competitor. E anziché esserne lieto, avendolo scelto lui stesso, lo ha gettato ancora di più nella preoccupazione.

L’idea di un nuovo partito naturalmente resta ed è perfino rafforzata. Come detto, il leader si è ampiamente stancato delle facce vecchie, e vecchie d’anagrafe, per cui da grande vecchio vuole gestire il cambiamento, proponendo giovani uomini e donne capaci di catturare l’attenzione anche dei nuovi mezzi di comunicazione. Non è un caso che con qualche secolo di ritardo, ieri abbia parlato di internet come di un qualcosa di inevitabile. Citando inevitabilmente Obama.  

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