Un mondo governato dal caos. Questo potrebbe essere il modo con cui i libri di storia economica ricorderanno gli anni dal 2007 in poi. Sono sempre più infatti i casi in cui l’imprevedibile (o l’inimmaginabile) si avvera: mutui subprime, Lehman Brothers, crisi europea, default americano. Eventi tanto lontani dalla realtà per i quali non si sa come gestirli. Eppure, il passato ci ha mostrato ben più di una volta che proprio il caos, l’impossibile, ha spinto più in là i limiti dell’uomo, portandolo alla sua evoluzione. Dal crollo dell’Impero Romano, arrivando alla crisi europea dei debiti sovrani, la storia del mondo è costellata da avvenimenti tanto aleatori in teoria quanto virulenti in pratica.
Dalla primavera del 2007 a oggi, la letteratura economica si è fatta carico di una mole di lavoro impressionante. Sono usciti saggi sull’esplosione del mercato immobiliare statunitense, sul troppo lassismo nell’erogazione del credito anche a chi non ne doveva avere, su come la finanza si sia spinta ben oltre le proprie possibilità. Sono stati pochi, invece, i saggi su come sia mutata la percezione del mondo, economico e non. Uno di questi è il sempiterno Il cigno nero di Nassim Nicholas Taleb, in cui si descrivono proprio quei fenomeni ritenuti talmente improbabili che rendono rovinoso il loro scatenarsi.
«I consumatori americani potrebbero beneficiarne se le finanziarie offrissero maggiori alternative rispetto ai tradizionali mutui a tasso fisso». Con queste parole, pronunciate nel febbraio 2004, l’allora governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan, diede il via alla girandola che lentamente creò la più grande bolla statunitense degli ultimi 50 anni, quella immobiliare. Le società finanziarie, sicure di avere l’appoggio delle istituzioni monetarie, iniziarono a spingere sull’acceleratore dei mutui a tasso variabile, lasciando poi all’ingegneria finanziaria e all’euforia degli investitori il compito di alimentare la bolla stessa. Nel giugno 2005, sempre Greenspan, tranquillizzò il mondo economico: «Anche se un bolla immobiliare di scala nazionale non sembra probabile, sembra che ci siano al minimo segni di “schiuma” in alcuni mercati locali dove i prezzi degli immobili hanno raggiunto livelli insostenibili». Due anni dopo, il crollo. Come uno tsunami, la caduta dei prezzi delle case e l’aumento delle insolvenze creditizie si abbattono sui bilanci delle banche di Wall Street. Queste si accorgono che tutto ciò in cui credevano fino a quel momento era del tutto sbagliato. Ma non solo. Solo dopo molto ci fu la piena ammissione di quello che era successo nel mondo del credito. Troppo facile ricevere denaro, troppo pochi i controlli, troppo elevato il leverage utilizzato dalle banche.
E poi c’è stato Lehman Brothers. Il fallimento della quarta banca di Wall Street non era immaginabile. Il suo amministratore delegato, Dick Fuld, era quanto di più si avvicinava nella vita reale al personaggio immaginario di Gordon Gekko. Arcigno, senza scrupoli, godereccio, spocchioso: il Gorilla (così era soprannominato) di Wall Street era il perfetto banchiere newyorkese. E Lehman era una creatura meravigliosamente integrata con quel mondo. Too big to fail, troppo grande per fallire: ecco come era definita. Non era così. Ma ancora più imprevedibili sono stati gli effetti di quel crollo, che ha avuto ripercussioni che ancora oggi i gestori di hedge fund ricordano con terrore. «Nessuno di noi vuole una seconda Lehman», continuano a ripetere le stesse persone oggi, con l’Europa sull’orlo del precipizio.
L’imprevedibilità colpisce anche il Vecchio continente. Fino a pochi anni fa l’Irlanda era una degli esempi più floridi dell’efficienza dell’eurozona. Era soprannominata Tigre celtica per la sua forza economica, il suo sistema di tassazione era considerato all’avanguardia e tutte le società guardavano a Dublino per aprire un ufficio lì. In pochi anni, complice la crisi finanziaria nata negli Stati Uniti, tutto si è disgregato sotto i colpi del deficit eccessivo, creatosi dopo gli aiuti di Stato al sistema bancario. Eppure, nessuno ci avrebbe creduto.
Allo stesso modo, gli osservatori internazionali non avrebbero immaginato l’attuale assetto dell’Unione europea. La Grecia nel dicembre 2009 comunicava al mondo di aver dei problemi nella gestione del debito pubblico. A un anno e otto mesi di distanza, si sta discutendo in che modo si potrà evitare un pieno collasso di un’Ue sempre più condizionata da Francia e Germania. Certo, ora le solite Cassandre del giorno dopo potranno dire che loro avevano previsto tutto, ma è solo supponenza. Governare i processi economici, tenendo conto di tutte le variabili esogene al problema principale, è qualcosa di faticoso, oltreché appannaggio di pochi esperti. Ciò che sarà dopo Grecia, Irlanda e Portogallo lo possiamo solo immaginare, non gestire. Ma per prepararsi al contraccolpo della crisi dell’eurodebito occorre prendere consapevolezza che si devono avallare tutte le possibilità, anche le più impopolari o recondite. In altre parole, non bisogna fermarsi solo alle due facce della medaglia, si deve guardare anche alla terza, quella ritenuta più improbabile.
Adesso, parallelamente alla sofferenza europea, il mondo si deve confrontare con quella statunitense. La battaglia per l’innalzamento del tetto del debito, il cosiddetto debt ceiling, poteva essere gestita in modo migliore dal presidente Barack Obama. Gli stimoli economici che hanno fatto seguito all’esplosione della peggiore crisi economica dal 1929 dovevano per forza generare degli effetti collaterali. E in questo caso, sono stati danni. La crescita non solo continua a essere stantia, ma ora l’America rischia di capitolare sotto i colpi degli stalli nelle trattative sull’innalzamento del debt ceiling.
Quale sarà il prossimo evento imprevedibile? In molti guardano alla Cina. La potenza di fuoco di Pechino da anni sta aumentando sempre più. Dopo essere diventata la seconda economia globale, battendo pure il Giappone, ha nel mirino gli Stati Uniti. Ma la bolla immobiliare e la politica di deficit spending al fine di aumentare esponenzialmente la crescita sta cominciando a vacillare. Eppure, analisti ed economisti continuano a rimarcare il fatto che la solidità cinese è una certezza. Esattamente come per i subprime, o per la forza intrinseca dell’Unione europea, o alla robustezza economico-finanziaria degli Usa.
Governare il caos per minimizzare i rischi, cercando di sfruttare al meglio gli squilibri per crescere. Questo concetto, ripreso da diversi gestori di fondi hedge, non deve essere dimenticato quando si parla del presente e del futuro della storia economica. Crisi come quella del 1929, dei titoli tecnologici del 2000 o dei subprime del 2007 hanno tutte un minimo comun denominatore: la sottovalutazione dei rischi. L’uomo, in quanto individuo fallibile, volubile e presuntuoso, ritiene di avere tutti gli elementi per arrivare alla conoscenza. Ma non è così. L’esperienza passata, troppo spesso dimenticata, ci insegna che gli errori si ripetono. Dalla bolla dei tulipani alla crisi dell’eurodebito, la storia ci ha dimostrato che l’imprevedibilità degli eventi non si può controllare. Al massimo, si possono gestire le conseguenze. Non è detto però che lo si faccia nel modo giusto.