Gerd Müller, l’uomo che ha dato il suo nome al gol

Gerd Müller, l’uomo che ha dato il suo nome al gol

La maglia 13 che si gira veloce, e insacca da dentro l’area. È Gerd Müller che segna il gol che chiude la finale del Mondiale 1974 con l’Olanda di Johan Cruijff, quella del calcio totale. Titolo per la Germania Ovest (grazie a un rigore regalato) e sipario sulla carriera in nazionale di Der Bomber, il suo soprannome.

Era il 68esimo gol di Müller con la maglia della Germania, da sommare ai quasi quattrocento con la maglia del Bayern Monaco, club di cui è – tuttora – un simbolo vivente. Era in campo anche quattro anni prima, nella “partita del Secolo” Italia – Germania 4 a 3, quella in cui Brera commentava crudelmente uno dei suoi due gol: «Seeler stacca da sinistra e rispedisce a destra: Muller dà una incornatina che Albertosi segue tranquillo: sul palo è Rivera (ma sì, ma sì): il quale sembra si scansi». Era uno dei suoi dieci gol del Mondiale, un record.

Gerd Müller durante una partita con la Germania Est
Ora ci si occupa di lui per un fatto di cronaca. È uscito alle tre di mattina dall’albergo e ha vagato, in stato confusionale per quindici ore a Trento, dove il Bayern Monaco Under 23 è in ritiro. La squadra che ha portato in alto e che lo aveva riaccolto, nel 1992. Dirigente, uno di quegli incarichi che tengono compagnia a un calciatore a fine carriera. Una carriera che per Müller era finita in America, in quel campionato strano dove giocavano Pelé, Beckenbauer, Cruijff e Giorgio Chinaglia. Forse per rinviare il momento in cui avrebbe dovuto pensare al dopo calcio.

Finito il ricco contratto negli Stati Uniti, per Müller iniziano dieci anni di buio. «Ho rovinato la mia vita», ha detto poi. Un oblio e un rapporto tormentato con l’alcol. Tornato in Germania nel 1984 «Ero a Monaco, ma non sapevo cosa fare. Quando non hai un lavoro, la giornata è lunga». Giornate in cui anche la moglie lo vedeva scivolare, fino a chiedere il divorzio. Nel 1991, dopo una partita di beneficenza, Sepp Maier, il portierone, si accorse dell’entità dei problemi. «Era chiaro che fosse un alcolista, cosa che negava». E così, la consapevolezza che Müller «aveva bisogno di aiuto. E di un obiettivo nella vita». E così entra in scena Uli Hoeness.

Anno 1979, all’epoca del suo trasferimento negli Usa. A sinistra, George Best
L’allenatore del Bayern gli offrì aiuto, obbligandolo a un percorso di disintossicazione. Dopo diversi tentativi non riusciti, Müller si riprese, e tornò ad avere un ruolo nella squadra bavarese. All’inizio aveva il compito di trovare sponsor, poi divenne osservatore e assistente di campo. Nel 1995-1996 guida la seconda squadra del Bayern nel campionato regionale, e diventa poi accompagnatore della prima squadra. «Non c’è niente di meglio che stare al Bayern», ha detto Müller, una volta che ha ripreso la sua vita in biancorosso.

Helmut Schoen, ct della Germania campione del mondo, una volta ha detto di lui che è «uno che segna gol “piccoli”». Questo perché Müller è stato il più grande attaccante d’area della storia del calcio, dal baricentro basso e dalla rapidità impressionante. Uno che ha sempre segnato: di destro, sinistro e di testa, e ha segnato tantissimo. A Nördlingen, da dove è nato il 3 novembre 1945, lo stadio porta il suo nome. Nel luglio 2008 ci è tornato accompagnando il Bayern, riempiendo le tribune con diecimila persone: «Una cosa bellissima», aveva detto.