Per l’America di Obama sarà la lunga notte del debito

Per l’America di Obama sarà la lunga notte del debito

Cinquemila chilometri di distanza e un solo problema: il debito. Mentre a Bruxelles è in corso il summit dei capi di Stato e di Governo dell’Eurozona che dovrebbe portare a nuove misure di contenimento dell’effetto-contagio nella crisi dei debiti sovrani, a Washington permane un’impasse in stile europeo sull’innalzamento del tetto al debito federale.

Poche ore fa, un’indiscrezione apparsa sul sito del New York Times lasciava presagire la definizione di un accordo tra democratici e repubblicani, ma dalla Casa Bianca, contattata dall’emittente finanziaria Cnbc, è arrivata una secca smentita. Il principale quotidiano della Grande Mela, intorno alle 12 ora americana, aveva riportato alcune voci riferite al portavoce dei Repubblicani presso la Casa Bianca, John Bohemer, in merito a un presunto accordo con il presidente Obama, che hanno provocato un moderato rialzo nelle quotazioni dei listini americani. 

Nulla più che una speranza. Lo stesso New York Times, in un secondo momento, ha parzialmente ritrattato, riportando le parole prima del portavoce di Bohener, «non c’è nessun progresso significativo nelle trattative», e poi del responsabile dei rapporti con la Stampa della Casa Bianca, Jay Carney, che ha ribadito «non c’è ancora nessun accordo», sebbene «il piano di taglio del deficit da 4 trilioni di dollari sia ancora sul tavolo».

Tra i Repubblicani sembra circolare un’altra ipotesi “all’europea”: un innalzamento temporaneo del tetto al debito per il tempo necessario ad approntare le riforme strutturali per tagliare la spesa statunitense. I Repubblicani, infatti, non hanno mai digerito la politica di spesa pubblica adottata dall’amministrazione Obama, dalla rivoluzione Medicare e nell’assistenza sociale gratuita, principi che esulano dal refrain «no taxation without representation». E gli scettici amano ripetere che con un tasso di disoccupazione simile all’attuale, 9%, nessun presidente Usa nella storia è stato mai riconfermato. Nell’ultima settimana, il barometro delle richieste di sussidi di disoccupazione, diffuso oggi, ha toccato quota 418mila, con un aumento di 10mila domande rispetto alla settimana precedente, ma in diminuzione mese su mese, in termini assoluti. Uno scenario a luci e ombre a cui ha contribuito il maxi salvataggio di Wall Street, costato alle casse pubbliche Usa 5.000 miliardi di dollari. 

Certo è che il tempo stringe. Il termine ultimo per l’approvazione di un innalzamento del debito, o la sua eliminazione, è fissato al 2 agosto, tra una decina di giorni. Tuttavia, le tempistiche legislative impongono la presentazione di una proposta al Congresso entro domani. In caso contrario, il rischio di default, con l’attuale tetto a 14.300 miliardi di dollari, potrebbe diventare pericolosamente vicino.

Un’eventualità che la Federal Reserve non esclude. Come ha spiegato alla Reuters il presidente della Fed di Philadelphia, Charles Plossner, nelle scorse settimane lo staff di Ben Bernanke sta lavorando a stretto contatto con lo staff di Tim Geithner al Tesoro per prepararsi al peggio. 

In mattinata (ora italiana, quindi prima dell’apertura di Wall Street) l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha diramato una nota che stimava la probabilità di un declassamento del Paese da tripla A, il massimo dei voti, a doppia A al 50% entro i primi di agosto. Gli ottimisti, forti delle 74 volte in cui, dagli anni ’60 a oggi, è stato innalzato il tetto al debito americano, sostengono che entro domani l’accordo si farà. I pessimisti, invece, puntano l’attenzione sulle conseguenze globali di un credit event in salsa statunitense. Tra questi, figura la Cina, il grande compratore del titoli di debito americano. Le ultime stime del Tesoro americano parlano di 1.152 miliardi di dollari di Treasuries nelle mani delle banche del Dragone.  

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