Io africanista in nave da Tunisi a Palermo con gli immigrati

Io africanista in nave da Tunisi a Palermo con gli immigrati

TUNISI/PALERMO – Della rivoluzione tunisina non si sta discutendo molto in Italia, mentre per molto tempo l’attenzione si è concentrata sui migranti tunisini illegali e, a seconda dei punti di vista, sui problemi legati alla loro accoglienza o derivanti dalla loro “invasione”. In ogni caso raramente ci si interroga sulle ragioni che stanno dietro a ogni partenza.

Ore 23 circa porto di Tunis Marine, imbarco per il traghetto che collega la capitale nordafricana a Palermo. Nella promiscuità di persone e mezzi che si accalcano all’entrata della stiva, l’occhio cade con sorpresa su alcuni ragazzini, quindici, sedici anni al massimo, sporchi, impauriti, inginocchio con le mani incrociate sulla nuca, mentre un nugolo di poliziotti li insulta e in poco tempo li fa salire su un mezzo della polizia che li porterà in carcere.

Sollevando lo sguardo ci si accorge che, durante i controlli delle forze dell’ordine sui rimorchi in fase di imbarco, persone sbucano dal tetto dei mezzi o se ne escono da sotto il carrello delle ruote. La scena, non certo inusuale, ha però dell’inverosimile per l’indifferenza generale nella quale tutto avviene, mentre turisti e pendolari salgono sulla nave o addirittura altri tunisini, quelli con carte e biglietto in regola, ridono divertiti dei loro connazionali che in un certo senso se la sarebbero meritata per aver cercato di prendere una scorciatoia ed espatriare illegalmente.

Ore 12 circa del mattino seguente, il traghetto attracca al porto del capoluogo siciliano e si ripete una scena molto simile: un ragazzo scoperto in cima alla motrice di un autoarticolato viene fatto scendere questa volta dalla polizia italiana. Gli italiani si allontanano distrattamente, mentre di nuovo altri tunisini se la ridono. L’unica differenza è probabilmente che il Cpt italiano è meno peggio delle prigioni tunisine.

Cosa resta della Primavera Araba?

Giovani come questi hanno con buona probabilità lasciato qualche campagna dell’entroterra rurale della Tunisia dove il solo lavoro disponibile è quello di manovale nei campi e la paga è di circa 350 dinari tunisini al mese, circa 170 euro, una miseria con la quale è difficile sfamarsi. Allora la prima destinazione sono le grandi città della Tunisia e soprattutto la capitale. Una volta arrivati a Tunisi a molti non resta che prendere atto del fatto che il lavoro non c’è neppure per chi in città vive da sempre, figuriamoci per i nuovi arrivati. Ci si accampa allora in una delle tante periferie degradate della città, vivendo di espedienti e di 70 dinari tunisini, circa 35 euro, che è il sussidio mensile che il governo provvisorio tunisino ha deciso poche giorni fa di riconoscere ai connazionali più indigenti. È in una situazione simile a questa che si diventa facilmente simpatizzanti per Ennahdha, il partito islamico tunisino, che “offre” il suo aiuto per integrare il misero aiuto offerto dalle istituzioni statali a chi non ha di che vivere.

A chi non si rassegna al destino non resta che tentare la carta della migrazione illegale verso quell’Europa che vista in televisione spesso appare meglio di quel che realmente è o può offrire. Chi scappa dalla Tunisia fugge dalla miseria, ma noi di quella miseria ci campiamo sia grazie a chi lavora illegalmente nel nostro paese, producendo beni e servizi che altrimenti non potremmo permetterci o dovremmo pagare di più, sia grazie a chi lavora legalmente e contribuisce con i suoi contributi previdenziali a pagare le pensioni dei nostri anziani. A giudicare dall’indifferenza con cui guardiamo quegli stessi tunisini o, peggio, riusciamo a trasformarli in una sorta di summa delle peggiori qualità, dalla prepotenza all’ignoranza, passando per il pressappochismo, vien da pensare che sia più semplice e rassicurante non interrogarsi sulle regioni delle partenze di migliaia di migranti dai loro paesi verso il nostro.

*Docente in Storia dell’Africa, Università di Pavia

Arrivo al porto di Palermo