No Tav, torna la tensione. Ma la ditta dei lavori è fallita

No Tav, torna la tensione. Ma la ditta dei lavori è fallita

TORINO – Vacanze prescritte per i No Tav. Anche lontano dai riflettori, la mobilitazione del movimento contro il treno superveloce continua. «Fermarlo si può» ripetono ostinatamente a ogni iniziativa. Sugli alberi o digiunando, bloccando il Tgv o l’autostrada del Frejus, manifestando a Torino o, in Val di Susa, di nuovo davanti alle reti del cantiere del tunnel geognostico – ancora agli albori – dove anche oggi è risalita la tensione con la polizia. Spintoni, manganelli, lacrimogeni, una ragazza è salita sul braccio meccanico di una ruspa, bloccando i lavori di allargamento della recinzione del cantiere. Un altro No Tav è stato fermato. I carabinieri lamentano un ferito a un braccio.

Più si risale la valle, più la presenza delle forze dell’ordine diventa visibile: l’ingresso del cantiere che i No Tav chiamano “fortino” ha un severo check-point all’inizio della strada dei vigneti dell’Avanà. Ma delle trivelle della cooperativa romagnola Cmc di Ravenna, detentrice del maxi-appalto (140 milioni di euro) per la realizzazione della galleria, non c’è traccia. Fino a mezzogiorno del 2 agosto, la recinzione dell’area era a carico della Italcoge, poi è intervenuto il Tribunale di Torino e ha dichiarato fallita la società segusina. Una batosta per i 60 lavoratori – che avevano già allestito 400 metri di recinzione – non per colpa dei No Tav, ma, secondo la sentenza del Tribunale fallimentare, di un debito erariale compreso tra i 4 e i 5 milioni di euro e del mancato pagamento di rate a Equitalia per saldarlo.

All’Italcoge, nonostante navigasse in cattive acque finanziarie, era stata assegnata a maggio con trattativa privata da Ltf (Lyon Turin Ferroviaire, la società italo-francese costituita per la realizzazione della linea) la preparazione del cantiere della Maddalena, tra cui un chilometro e 800 metri di recinzione. Dopo lo sgombero del presidio No Tav del 27 giugno scorso erano partiti i lavori.

Nella notte del 24 luglio, pochi giorni prima della decisione del giudice Bruno Conca, l’azienda era stata, invece, vittima di un misterioso attentato: sconosciuti erano entrati nel piazzale e avevano incendiato alcuni mezzi. La mattina, gli sguardi di accusa erano stati rivolti ai No Tav, che avevano subito respinto l’allusione riferita a un gesto semmai ricollegabile agli attentati incendiari subiti dai presidi del movimento. Era riapparsa nelle risposte del leader Alberto Perino la parola «mafia», non estranea alla valle: Bardonecchia, nel 1995, fu il primo comune nel Nord sciolto per ’ndrangheta.

Il 2 agosto è arrivata la sentenza. Il giudice ha respinto il tentativo di inglobare la Italcoge in una società immobiliare della famiglia titolare, i fratelli Lazzaro, perché la prima aveva un capitale sociale di un milione di euro mentre la seconda di solo 20 mila euro. Fusione difesa dai legali del gruppo, secondo cui la ditta Invest avrebbe avuto un patrimonio pari a cinque milioni di euro utile per la ricapitalizzazione. Niet del tribunale: «Non avrebbe sottratto – si legge nella sentenza – né la Italcoge né il subentrante all’attuale stato di insolvenza». Per il giudice «l’incapacità di adempiere regolarmente ai debiti scaduti emerge dallo stesso naufragio delle trattative che avrebbero dovuto condurre alla stipula di un accordo di ristrutturazione».

Il cantiere si è fermato per meno di 48 ore, ma è stato un duro colpo di immagine per il sistema Tav. Ltf ha presto incaricato un’altra ditta di Susa, la Martina, per completare i lavori. «Non ci sarà alcun effetto sulla continuità» aveva dichiarato a caldo il presidente dell’Osservatorio Torino-Lione, Mario Virano. Ma i lavori sembrano proseguire non così spediti. Attualmente si è entrati nella seconda fase preliminare del cantiere con lo sbancamento e livellamento dei terreni, in vista dello scavo della galleria del cunicolo esplorativo.

Lavori che i No Tav vogliono bloccare. Il pacifista Turi Vaccaro è sceso dall’albero, su cui è rimasto per alcuni giorni, solo dopo l’arrivo di don Ciotti (il pino è stato poi tagliato dalle forze dell’ordine). E prima dei nuovi incidenti di oggi, mercoledì 17 agosto i manifestanti, dopo aver bloccato la notte prima l’A32, hanno fermato il Tgv Parigi-Milano delle 20,50 alla stazione di Avigliana, sventolando le bandiere bianche e rosse dalla banchina. Immediate le critiche politiche sulle azioni: «La Valle di Susa sta diventando impraticabile perché poche decine di facinorosi stanno trasformando la protesta contro l’alta velocità in un’aggressione alla libera circolazione delle persone», ha detto il deputato del Pd Stefano Esposito, da sempre Sì Tav, auspicando «adeguata e rigorosa risposta da parte dell’autorità giudiziaria».

Una cosa è certa, in Val di Susa l’autunno sarà caldo. Intanto, la protesta scende anche a Torino, con un presidio a oltranza davanti alla sede della Regione Piemonte, in piazza Castello, dove a inizio settembre potranno stabilirsi gli indignados torinesi.

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