Tremonti non taglia gli sprechi degli appalti locali

Tremonti non taglia gli sprechi degli appalti locali

Non è necessario essere un genio della creatività fiscale e finanziaria per sapere che se compri all’ingrosso risparmi. Lo sanno da sempre le massaie di tutto il mondo: per una cassa di pomodori strappi un prezzo che il fruttivendolo non ti farebbe per un solo chilo. Lo sanno le imprese: soprattutto le Pmi, che per questa ragione si associano in consorzi di acquisti. Da quasi vent’anni si vanno diffondendo i Gas, i gruppi di acquisto solidali: più famiglie comprano insieme prodotti alimentari all’ingrosso e poi se li ripartiscono.

Più è alto l’ammontare da spendere, più alto è lo sconto che si può riuscire a strappare. E quello che vale per i singoli, le famiglie, le imprese, ovviamente vale o dovrebbe valere anche per le Amministrazioni pubbliche (Ap). Qui, la cifra messa sul piatto per i cosiddetti consumi intermedi – beni e servizi impiegati nello svolgimento dell’attività – è colossale. Nel 2010 sono stati spesi 137 miliardi di euro, più o meno in linea (+0,6%) con l’anno precendente, ma ben di più rispetto al 2004 (+21%). Con un potere di spesa in quest’ordine di grandezza, di forza contrattuale da mettere sul tavolo ce ne sarebbe in abbondanza.

Peccato che sia spalmata su oltre 13mila “stazioni appaltanti”– le amministrazioni centrali, locali e gli altri soggetti che affidano appalti pubblici di lavori, forniture, servizi – stando al censimento condotto dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. All’interno delle amministrazioni gli uffici che hanno il potere di sottoscrivere un ordinativo sono molti di più, in quanto all’interno di ogni singolo ente possono esserci più soggetti che hanno il potere di firmare un ordine: non meno di 76mila, e la stima è per difetto. Persi in questi infiniti rivoli – ministeri, regioni, assessorati, comuni, province, università, aziende sanitarie, etc – gli acquisti di beni e servizi finiscono per essere effettuati a prezzi spesso superiori a quelli che potrebbe spuntare un’impresa di media dimensione, sicuramente peggiori di quelli che si potrebbero ottenere con un meccanismo centralizzato.

Il bello è che questo meccanismo esiste, e si chiama Consip: è società pubblica nata nel 1997 per gestire i servizi informatici del ministero del Tesoro e poi di tutti gli enti centrali dello Stato. Nel 2000 è stata individuata come struttura di servizio ad hoc per il «Programma di razionalizzazione degli acquisti nella Pubblica amministrazione». Ma come sempre, quando la volontà politica è debole, anche le migliori intuizioni fanno poca strada o procedono molto lentamente. E nemmeno la manovra in discussione in Parlamento in questi giorni cambia granché le cose.

Nel 2010 la Consip aveva in essere convenzioni con fornitori su otto aree merceologiche definite (arredi, macchine per l’ufficio e prodotti hardware e software, noleggio e acquisto di autoveicoli, carburante per autotrazione, buoni pasto, telefonia fissa, telefonia mobile, apparati e servizi di trasmissione dati), più energia e combustibile per riscaldamento. Per queste voci, tutte le amministrazioni pubbliche spendono effettivamente 12.760 milioni di euro. Con le convenzioni stipulate, si può arrivare a risparmiare ben 2.424 milioni (19% di ribasso rispetto alla media nazionale). Meglio: si potrebbe, se si volesse. La cifra indica, cioè, il risparmio ottenibile da tutte le amministrazioni pubbliche, a partità di quantità di beni e servizi, servendosi delle convenzioni Consip già attive. Il risparmio effettivo e certificato è minore.

L’obbligo di servirsi di questa procedura, infatti, vale solo per le amministrazioni centrali dello Stato. Morale: gli acquisti effettivamente realizzati (il “transato in convenzione”) sono appena 2.042 milioni, con un risparmio diretto di 527 milioni. Accanto a questo risparmio, andrebbe aggiunto l’effetto benchmark sulle altre amministrazioni, che devono utilizzare i parametri delle convenzioni Consip qualora decidano di provvedere in proprio: un risparmio che viene stimato a 1.827 milioni. Sempre che nelle decine di migliaia di “punti ordinativi” non si sia inventato qualche espediente (del genere: “più alto livello qualitativo”) per giustificare il prezzo più alto pagato. Fatte queste premesse, si stima che il risparmio potenziale su tutti i beni oggetto di convenzione sia stato di 2,424 miliardi. Anche il Mepa (Mercato elettronico della Pubblica amministrazione) stenta a decollare davvero: sulla piattaforma elettronica per gestire gli acquisti al di sotto della soglia di rilievo comunitario (133mila euro per gli enti centrali, 206 mila per gli altri) sono stati transati 254 milioni, in crescita del 10% rispetto al 2009. Ancora davvero poco per fare la differenza.

Si può anche azzardare qualche proiezione sull’intera spesa pubblica in beni e servizi: ipotizzando un ribasso dei costi unitari analoga a quella del 2010 (19%) sulla parte della spesa non coperta da convenzioni (124,3 miliardi) si potrebbero arrivare a un risparmio massimo di 23,6 miliardi. Mezza manovra correttiva. Vero è che, rilevano gli esperti del settore, è impossibile che con le convenzioni si riesca a dare una risposta al 100% della spesa: ci sarà sempre qualcosa – banalmente, un prodotto nuovo appena immesso sul mercato – non compreso nel catalogo Consip. Di sicuro, quest’ultima, che da maggio è guidata dall’amministratore delegato Domenico Casalino, 49 anni – in precedenza vicepresidente della società, una carriera al Tesoro e da ultimo all’Enav – potrebbe fare molto di più.

Le convenzioni coprono infatti meno di un decimo di tutti i consumi delle Ap. Nel 2006 erano al 12,4 per cento: col tempo non si migliora. Ma va anche detto, però, che fra il 2008 e il 2010 le redini della gestione erano in mano all’amministratore delegato Danilo Broggi e all’allora presidente Giovanni Catanzaro, nisseno di Mazzarino, già amministratore della Sai della famiglia Ligresti e tuttora consigliere di Finmeccanica. Considerato un fedelissimo del ministro della Difesa Ignazio La Russa, Catanzaro è stato costretto a concludere il suo mandato in Consip a maggio dopo le accuse di conflitto di interesse sollevate dalla Lega Nord per il suo contemporaneo (e ultradecennale) incarico di amministratore delegato di Lombardia Informatica. Catanzaro ha tolto il disturbo, ma si è tenuto stretto la poltrona nella holding regionale che gestisce gli acquisti It della Regione Lombardia.

Non c’è però da illudersi troppo sui risultati che potrà consegnare il nuovo vertice. Senza un obbligo di legge stringente, è difficile che cambino le abitudini di Regioni, Province e Comuni e di tutte le migliaia di enti che nel loro insieme fanno la Pubblica amministrazione. Nella manovra correttiva di agosto non c’è nulla, in quella di luglio qualche cenno che non sconvolge certo le pratiche consolidate di un sistema che è consustanziale alla discrezionalità del potere politico a ogni livello di governo. Regioni, Province e Comuni sono attentissimi a difendere la loro “autonomia”: si garantisce così una rendita di posizione a qualche fornitore del posto, o comunque amico, e si crea un debito di riconoscenza verso i politici locali, che torna poi buono in campagna elettorale, e sempre che lo scambio non finisca su terreni meno limpidi.

Questo è un campo su cui il ministro Giulio Tremonti ha preferito glissare o essere molto cauto: anche nei periodi in cui le sue parole venivano prese per oro colato dentro il governo Berlusconi. Con la manovra del 2008 è stato introdotto l’obbligo di servirsi delle convenzioni Consip per gli acquisti di energia e combustibile per il riscaldamento; obbligo esteso, decreto ministeriale del 17 febbraio 2009, a otto categorie merceologiche. Ma solo per gli enti centrali, per gli altri valgono come parametro di riferimento. Dopodiché, la voglia di risparmi si è infiacchita, e nel 2010 il paniere è stato confermato ma non allargato. La Lega, ma non solo, ha fatto capire che non gradiva, e la spinta propulsiva di Tremonti si è esaurita. 

Ma, piaccia o no ai politici locali che al Nord, al Centro o al Sud sulla scelta dei fornitori prosperano, è sul territorio che bisogna arrivare per dare una sforbiciata alla spesa: risparmiando sul prezzo, non necessariamente sulla quantità. L’estensione del meccanismo delle convenzioni e l’obbligatarietà del  ricorso al Mercato elettronico della Pubblica amministrazione sono perciò due passaggi necessari. Non vale qui l’obiezione federalista: la Finanziaria per il 2007 ha previsto la creazione di un sistema a rete per rendere più efficienti le centrali regionali di acquisto. Finora, hanno aderito solo sette Regioni e quattro grandi Comuni (Genova, Roma, Milano, Verona); i risultati sono ancora modesti. Nemmeno vale la mozione a difesa delle piccole imprese: sulla piattaforma elettronica sono già attivi 3.685 fornitori, di cui il 98% Pmi, fra queste il 63% sono micro-imprese. Non ci sono scuse, insomma, per rinunciare ai risparmi ottenibili con il coinvolgimento obbligato di Regioni, Province e Comuni. I tre quarti dei volumi di spesa pubblica in beni e servizi vengono da lì. Eppure il ministro fa finta di niente: più facile aumentare la tasse.

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