ISTANBUL – La Turchia vive l’ennesimo braccio di ferro fra governo e militari, da sempre baluardo dello Stato moderno e laico fondato da Mustafa Kemal Ataturk, ma per sapere come andrà a finire bisognerà aspettare fino a giovedì.
Il teatro di questo ennesimo conflitto è lo Yas, il Consiglio Militare Supremo, che si tiene ogni anno e durante il quale vengono discusse e approvate le nomine alle più alte cariche dell’esercito e che, secondo alcuni quotidiani, il premier Erdogan sta cercando di decidere da solo, a costo di dare adito a chi lo accusa di voler accentrare tutto il potere nelle sue mani. Un’interpretazione che però, alla luce delle notizie che arrivano in queste ore, potrebbe risultare parziale.
La riunione arriva dopo le dimissioni a sorpresa di venerdì scorso dello Stato Maggiore turco, che ha chiesto in blocco di poter andare in pensione, disertando automaticamente lo Yas. Una decisione forte, senza precedenti, che secondo molti può essere identificata come l’ultimo colpo di coda di una forza che ha giocato un ruolo determinante nella storia recente della Turchia e che con il premier Erdogan non è mai stata in buoni rapporti. Le dimissioni sono state l’atto estremo di protesta contro la carcerazione di alcuni militari accusati di colpo di Stato, e il rifiuto da parte del premier di promuovere alcuni ufficiali dell’esercito che si trovano attualmente in attesa di giudizio.
Oggi tutte le principali testate riportavano la foto del premier a capotavola da solo, quando invece per protocollo dovrebbe essere alla destra del Capo di Stato Maggiore. In realtà Erdogan ieri ha avuto un lungo incontro con Necdet Ozel, Capo di Stato Maggiore attuale, eletto venerdì scorso dopo che Isik Kosaner ha presentato la sua domanda di pensionamento insieme con altri quattro generali di corpo di armata, lasciando così vacante tutto lo Stato Maggiore.
Il clima nel Paese è teso, le due parti stanno cercando di mediare e quale sarà il risultato di questo vertice lo si potrà dire solo giovedì, alla pubblicazione delle nuove nomine. Sono due I punti su cui si cerca un compromesso e su cui Erdogan sembra non essere disposto a cedere. Il primo è il nuovo comandante delle Forze di Terra, che, come da tradizione sarà anche il candidato alla successione allo Stato Maggiore, nel 2015. Il secondo riguarda 14 generali in attesa di giudizio e che il governo vorrebbe mandare in pensione, accusati di tentanto colpo di Stato e di affiliazione all’ organizzazione segreta Ergenekon, una sorta di Gladio turca, sulla quale una parte del Paese però nutre dei dubbi.
La questione è delicata. Tutti i generali che potrebbero ricoprire il ruolo di capo delle forze di terra non sono in buoni rapporti con l’esecutivo. Il premier Erdogan ha due strade: cercare un compromesso o forzare la situazione, nominando un candidato che non diventi un interlocutore insidioso in futuro. E secondo una parte di stampa turca avrebbe tutto il diritto di farlo. I quotidiani Vatan e Haberturk infatti hanno sottolineato questo bilanciamento dei poteri all’interno del Consiglio Militare Supremo, dove l’esercito ha sempre preteso di voler decidere tutto da solo, assorbendo anche la parte che spetta al primo ministro. Dall’altra parte, I quotidiani più di opposizione sottolineano la criticità della situazione e lo strapotere che il premier assumerebbe se riuscisse a mettere le mani anche sui posti chiave dell’esercito.
Il punto è sempre quello. C’è chi pensa che la Turchia stia vivendo una nuova era, più democratica e fondata non solo sulla dottrina del kemalismo e che in uno stato democratico i militari debbano avere un ruolo dietro le quinte e non più preponderante nella vita del Paese. C’è chi invece, pur ritenendo tutto questo necessario, pensa che Recep Tayyip Erdogan sia la persona meno indicata per portare avanti questo processo. Ma il 49,97% dei turchi lo scorso 12 giugno ha democraticamente deciso di dargli fiducia, se ha abbia fatto bene lo dirà il tempo. Da giovedì in compenso si potrà almeno intuire se il premier voglia somigliare a uno statista o a un sultano e se i militari potranno essere ancora considerati i guardiani di quello stato laico a cui tutto il Medioriente guarda come modello.