“Io primo ministro, sono un uomo mediocre e salverò il Giappone”

"Io primo ministro, sono un uomo mediocre e salverò il Giappone"

A vederlo così, sembra un grigio burocrate. Del resto è uno che, durante la campagna interna al partito per succedere a Naoto Kan, ex-primo ministro giapponese, si è definito, unico al mondo,«uomo della mediocrità». Insolito anche per un Paese che fa della modestia uno stile di vita. Si tratta di Yoshihiko Noda, 54 anni, da due settimane primo ministro del Giappone, il sesto in cinque anni, e il terzo del Partito Democratico (minshutō), al potere dal 2009. Di fronte a sé ha una missione impossibile, cioè salvare il Paese dal dissesto finanziario e far ripartire l’economia nelle aree colpite dal terremoto di marzo.

Parlando di sé, ha sempre cercato di tenere un profilo basso, a volte bassissimo. Le sue politiche saranno «ragionevoli» e «realistiche», ha detto, riferendosi a una fitta serie di questioni. E ancora: «con me al potere, avendo quest’aspetto, dubito che la popolarità del partito balzerà in alto», avrebbe detto prima del voto. Non sbaglia: in un sondaggio del quotidiano Yumiuri Shimbun pubblicato a fine agosto, i cittadini giapponesi – che non avevano voce in capitolo nel voto – gli avrebbero dato il 9 per cento delle preferenze, a fronte del 48% di Seiji Maehara, l’ex ministro degli esteri. Però ha vinto lui. E lunedì 29 agosto, ha detto in un discorso al partito: «non sarò un pesce rosso in una veste scarlatta, ma un’anguilla in acque fangose».

Una metafora forse bizzarra che però contiene un riferimento letterario a un autore giapponese. Il senso, però, è chiaro: con la sua scarsa apparenza, lavorerà per il bene del Giappone, badando al sodo. Della sua caparbietà Noda ha sempre fatto un vanto, forse l’unico, nella vita. Per ventiquattro anni, sostiene, si sarebbe presentato ogni mattina nelle stazioni dei treni per parlare con gli utenti, nella zona del suo distretto, poco lontano da Tokio. Un tenace, insomma. Però, sotto questa coltre di bonarietà, Noda nasconde un animo combattivo. Il primo ministro è un esperto di arti marziali, con una cintura nera in judo e un livello avanzato nel wrestling. Nato a Funabashi, a nord ovest di Tokio, è figlio di un soldato di carriera nelle forze di difesa dell’esercito giapponese. La sua famiglia non aveva, a differenza di quasi tutti i membri più importanti della politica nipponica, alcun collegamento con il Nagatachō, il distretto di Tokio dove ha sede il Parlamento e che costituisce il centro del potere politico del Giappone. Tutt’altro: i suoi genitori erano così poveri, aveva ricordato, che non poterono neppure pagargli il ricevimento delle nozze.

Studia economia alla Waseda University e poi entra nel prestigioso Istituto Matsushita per il Governo e l’Amministrazione, che incuba i leader politici del Giappone. Nel frattempo, preparandosi alla discesa nell’arena politica, lavorava come lettore del gas nella sua zona, per conoscere, di persona, i suoi futuri elettori. Nel 1987, a 29 anni, viene eletto nell’Assemblea della Prefettura di Chiba, dove si trova la sua città natale. Nel 1993 entra nel Parlamento come rappresentante del Nuovo Partito Giapponese, una forza politica di ispirazione liberale che dura due anni, dal 1992 al 1994. Da qui trae le radici il Partito Democratico giapponese, cui approda anche Noda, con il ruolo di capo delle relazioni con il Parlamento e dell’ufficio per le relazioni pubbliche. E, dopo la vittoria alle elezioni del 2009, diventa vice Ministro delle Finanze. Non male per il figlio di un soldato: passo dopo passo, si avvicina al vertice. Nel 2010 viene nominato, dal primo ministro Naoto Kan, Ministro delle Finanze. E nell’agosto del 2011 l’incoronazione a primo ministro.

Sembra la fine, ed è solo l’inizio. Di fronte a sé, Noda, il modesto, ha idee molto precise. Sulla politica estera, vuole consolidare il legame con gli Stati Uniti, e riprendere il confronto con la Cina, la cui crescita è vista in modo preoccupante. Di fronte a questa minaccia, Noda vuole rinforzare l’esercito, per dare al Giappone un ruolo internazionale più rilevante, anche a costo di cambiare la costituzione. Sulla politica economica interna, sono attese le sue riforme, che dovranno andare a colpire il debito pubblico, con tutta probabilità alzando le tasse. Ma la rivoluzione di quest’uomo grigio è verde.

Come già aveva voluto il suo predecessore, il Giappone dovrà abbandonare l’energia atomica. È stato il punto principale nel suo discorso di insediamento. «Irrealistico», sostiene, sarebbe costruire nuovi reattori, alla luce di quanto accaduto a Fukushima. O anche solo estendere la vita di quelli già esistenti. «Impossibile, però, ridurre a zero la nostra dipendenza già da subito». Il processo di abbandono del nucleare sarà graduale, ma è certo. Per la zona di Fukushima, i reattori saranno riattivati, nel tentativo di ripristinare il benessere economico dell’area. Il problema, però, sarà sostituire quel 29% dell’energia elettrica prodotta dal nucleare, in un Paese con 18 centrali elettronucleari, per un totale di 51 reattori. E questo sarà l’ennesimo dei problemi di Noda.

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