I dubbi sull’esito della lunga trattativa tra il premier Silvio Berlusconi e la Lega si dissolvono in serata. Appena il sottosegretario Paolo Bonaiuti conferma che domani il Cavaliere sarà regolarmente a Bruxelles. In Europa il presidente del Consiglio presenterà il piano con cui il governo italiano intende uscire dalla crisi. Un programma, più che un provvedimento. Anche perché il lungo braccio di ferro con il Carroccio è ancora in corso. E il nodo delle pensioni è tutt’altro che risolto.
Dalle parti della maggioranza c’è chi tira un sospiro di sollievo. Gli alleati di governo sembrano aver finalmente trovato un’intesa. Per ora Berlusconi non si dimette, come pure qualcuno aveva ipotizzato a Montecitorio nel pomeriggio. Anzi, domani si presenterà come da programma al vertice europeo e consegnerà una lettera con il piano dei prossimi interventi. Non sarà possibile portare a Bruxelles un provvedimento già licenziato dal Consiglio dei ministri. Ma il Cavaliere giura – così riportano i suoi collaboratori – che una lettera di intenti sarà più che sufficiente per tranquillizzare i vertici comunitari .«Un documento – spiega il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto in serata – con i punti su cui lavora l’Italia sia dal punto di vista della spesa che della crescita».
Intanto a Roma prosegue la trattativa con la Lega. Un confronto iniziato in mattinata, quando il premier ha ricevuto in una lunga riunione a Palazzo Grazioli i vertici del Carroccio (escluso Umberto Bossi, avvistato da Giolitti, noto bar della Capitale, prima di raggiungere la Camera). Il rimpallo di proposte e richieste tra i due alleati prosegue per tutto il giorno. I leghisti si incontrano nel palazzo dei gruppi di Montecitorio. Berlusconi vede i suoi nella residenza di via del Plebiscito. Al centro della trattativa la riforma delle pensioni. Alla Camera si rincorrono le notizie. Qualche deputato si dice preoccupato («Stavolta il governo cade davvero» uno si lascia scappare in Transatlantico). Ma la maggior parte dei parlamentari si dice certa di una «schiarita».
L’impressione è che né Bossi né Berlusconi siano intenzionati a staccare la spina. Dopo aver rassicurato Europa e Quirinale, in caso di mancato accordo il premier rischia di giocarsi definitivamente la credibilità. Ma anche il leader del Carroccio ha capito che una spaccatura all’interno dell’esecutivo finirebbe con il danneggiare principalmente il suo partito. In caso di rottura, al momento l’ipotesi più probabile è quella di un esecutivo tecnico. Un governo di larghe intese con il compito di approvare la riforma elettorale. Le conseguenze per la Lega sono chiare a tutti: il partito sarebbe escluso dal governo, non tutelato dalla nuova legge. E allungando tempi del voto vedrebbe ulteriormente assottigliarsi il proprio elettorato. Senza contare che nel 2013 gli equilibri interni al Carroccio potrebbero cambiare radicalmente. A discapito di Bossi e dei suoi fedelissimi.
Ecco perché nonostante le dichiarazioni di fuoco rilasciate ai giornali (anche stamattina Bossi parlava di un forte «rischio crisi di governo»), alla fine dovrebbe prevalere l’istinto di autoconservazione. Pochi minuti fa, uscendo da Montecitorio, il leader della Lega ha spiegato: «Sono ancora pessimista, ma abbiamo trovato una strada. Adesso vediamo cosa dice l’Unione europea». Poco male se il documento che il premier presenterà domani non servirà a rassicurare Bruxelles. «Ma solo a posticipare la crisi di governo di qualche altra settimana», come confermava preoccupato un parlamentare berlusconiano.
Nel piano che gli alleati di governo sottoscriveranno ci saranno il pacchetto di liberalizzazioni e le dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico. E la riforma delle pensioni. La Lega ha accettato di discutere del tema, mettendo da parte le proprie pregiudiziali. Secondo le indiscrezioni che si rincorrono a Palazzo il Carroccio avrebbe approvato l’ipotesi di mettere mano alle 500mila baby pensioni e alle cosiddette “pensioni d’oro”. Al vaglio anche un adeguamento dell’età pensionabile alla vita media. «Dove Bossi sarà irremovibile – raccontava stasera uno degli uomini che sta seguendo da vicino la trattativa – sono le pensioni di anzianità». Ipotesi confermata in serata dallo stesso leader leghista. In Transatlantico i pareri sono discordi. C’è chi giura che la quadra sia stata trovata sulla reintroduzione dello scalone. La riforma voluta da Roberto Maroni nel 2004, quando era ministro del Welfare. Ma sui dettagli dell’operazione c’è ancora mistero.
E proprio il titolare del Viminale nelle ultime ore del pomeriggio diventa il protagonista delle indiscrezioni di Palazzo. Verso le 18 si concede una lunga chiacchierata in Transatlantico con il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Poco dopo bissa nel cortile di Montecitorio con il vicesegretario Enrico Letta. Un faccia a faccia cordiale – con annessa risata di Maroni – davanti agli sguardi incuriositi di giornalisti e addetti ai lavori.