Silvio Berlusconi aveva tra le mani un nome formidabile per il suo nuovo partito. “Forza patonza”. Un nome già ampiamente testato nelle settimane scorse tra i suoi potenziali elettori in forma sibillina e indiretta, come sempre si usa nel lavoro preparatorio delle agenzie pubblicitarie, quando fu diffusa la frase ormai celebre “la patonza deve girare”. Chiaro riferimento al bisogno di rinnovare la classe dirigente berlusconiana e di dare vita, dopo l’esperienza fallimentare del Popolo della libertà, ad una nuova aggregazione politica.
Non si capisce perché, disponendo di un marchio che già si era radicato nel linguaggio degli italiani e già faceva presagire grandi successi alle urne, il Cavaliere abbia repentinamente optato per una denominazione più ambigua e vaga come “Forza gnocca”, che dice e non dice e soprattutto non lascia intendere chiaramente gli orientamenti programmatici del partito nascente.
Che dovrebbe essere, secondo i rumor nel Palazzo e nei corridoi delle redazioni, il coronamento di un progetto antico: dare agli italiani che mai voteranno la sinistra, agli italiani moderati e benpensanti, una casa politica definitiva e sicura; e soprattutto permettere a Berlusconi di disporre di un partito per davvero modellato a sua immagine e somiglianza, che gli consenta finalmente di fare ciò che deve, dal momento che né Forza Italia né il Popolo della libertà sono stati – contrariamente a quel che si crede – strutture nella sua piena disponibilità. Lo abbiamo creduto, ma non era vero. In Forza Italia comandava Giancarlo Antonione. Nel Pdl, dettava legge Sandro Bondi. E l’uomo di Arcore era costretto a subire.
“Forza gnocca”, dunque. Che in realtà – come si sarà capito, ma di questi tempi è meglio precisarlo – non è un progetto serio, ma solo una battuta (o magari un desiderio mal represso e destinato a restare inevaso). Il che non toglie che, prescindendo dal possibile nome, un “cosa nuova” potrebbe sul serio nascere a breve: un partito di Berlusconi al 100%, del quale egli non solo avrebbe la proprietà esclusiva (come nel caso delle precedenti esperienze), ma che dovrebbe essere composto – al vertice come alla base – da berlusconiani senza macchia e senza paura, fedelissimi della prima ora e pretoriani dell’ultimo momento.
Il problema, visto che la notizia circola con insistenza, è a cosa serva un’ennesima sigla dopo che le altre, per convincimento del diretto interessato, sono divenute inservibili o hanno fatto cilecca. Si dice che il Cavaliere, in previsione di una sua caduta dalla guida del governo, voglia costruirsi una sorta di fortilizio tutto suo, grazie al quale continuare a contare sulla scena politica anche negli anni a venire: se il Terzo Polo pensa di condizionare tutti gli scenari a venire con appena il 10% del voti (stando ai sondaggi), Berlusconi che da solo varrebbe quasi il doppio dei consensi (sempre stando ai sondaggi) potrebbe a sua volta essere l’arbitro d’ogni futura partita politica.
Si dice altresì che una simile lista o partito – da affiancare eventualmente ad un Pdl a guida di Angelino Alfano – dovrebbe servire a potenziare l’offerta e la capacità attrattiva del centrodestra nella prospettiva delle prossime elezioni. La logica alla base di questa scelta sarebbe quella che ha guidato la politica italiana degli ultimi tre lustri: accorpare – sommandoli – sigle e simboli, dal momento che, direbbe Arbore se facesse il politologo, più siamo meglio vinciamo. Insomma, è preferibile un partito in più che un partito in meno.
Ma c’è un’altra possibile spiegazione, che è poi quella che si ricava dagli umori e dalle parole dei fedelissimi del berlusconismo, che non a caso mai hanno digerito il Pdl in condominio con Fini e una miriade di altri piccoli attori e che da tempo vanno chiedendo la nascita di un movimento o lista semplicemente denominato “Forza Silvio” – che poi è il nome più realistico e congruente della “cosa” nascente.
La loro idea è che il berlusconismo sia stata, nella sua fase germinale, una vera e propria rivoluzione: politica e di costume. Al dunque mancata o interrotta per colpa non del demiurgo e fondatore, ma di tutti coloro che dall’interno stesso del centrodestra – per il fatto di provenire da esperienze nel segno della “vecchia politica”: democristiani, socialisti, post-fascisti, liberali e repubblicani – si sono adoperati a vario titolo, nel corso degli anni, per spegnere lo slancio innovatore del Cavaliere, nella convinzione o speranza o illusione di farne un politico “normale” come loro.
Quando una rivoluzione sta per fallire, è regola storica antica, ai rivoluzionari non resta che tornare, almeno nelle intenzioni, alla purezza delle origini. Il che appunta spiega gli inviti rivolti al Cavaliere in questi giorni – ad esempio da Giuliano Ferrara – a riscoprire il se stesso di un tempo: volitivo, genialmente anarcoide, incurante verso burocrazie e poteri forti, capace di parlare direttamente al cuore del popolo, spiazzante ad ogni mossa. E a questo appunto dovrebbe servire il nuovo partito: a ricreare la magia che il Cavaliere sembra aver perso, liberandolo al tempo stesso dei pesi morti (si tratti pure di antichi sodali e amici come Tremonti).
Un gesto politico che per chi crede davvero che il berlusconismo sia stato un fermento rivoluzionario ha un senso logico ineluttabile, ma che visto dall’esterno – dopo quindici anni di annunci e promesse non mantenute – sa tanto di disperazione. Soprattutto un gesto che nulla c’entra con l’idea, pure più volte adombrata in questi anni, secondo la quale la vera eredità politica del Cavaliere sarebbe dovuta consistere nel lasciare un corpo organizzativo solido al vasto blocco sociale che, rimasto orfano della Dc e dei partiti laici con la fine traumatica della Prima Repubblica, si era aggregato intorno al suo nome nel corso degli anni. Prima s’era parlato di una partito liberale di massa, poi della “casa comune” dei moderati, poi ancora di una grande destra conservatrice come mai è esistita in Italia, infine della variante italiana del popolarismo italiano: qualcosa insomma che, creato da Berlusconi, potesse sopravvivergli e rendere finalmente stabile il sistema politico italiano.
Ciò di cui si parla in questi giorni – “Forza Silvio” o quel che altro si inventeranno i suoi consulenti – è invece altro: una ridotta politico-elettorale, l’ennesimo partito personale, una forza d’urto per garantire al Cavaliere il massimo della sopravvivenza, un gesto di bandiera. Nulla insomma che possa durare nel tempo, dare all’avventura berlusconiana un senso storico compiuto o servire all’Italia.