“Jobs l’artista ha seguaci pronti al dogma”

"Jobs l'artista ha seguaci pronti al dogma"

«Steve Jobs, sia chiaro, non è un normale tecnologo. Lo si può definire piuttosto un artista. Le sue creazioni, infatti, ispirano ed emozionano. E i suoi sostenitori sono dei veri e propri seguaci, pronti a recepire i suoi messaggi come un dogma». Dodici ore dopo il comunicato in cui la Apple annuncia la morte del suo fondatore, Luca De Biase, giornalista, scrittore e blogger, ne parla ancora al presente. De Biase è un profondo conoscitore della Rete (di recente è stato invitato a parlarne a Boston al MediaLab del Mit), di Jobs e dell’importanza del suo personaggio. Non a caso ha scritto la prefazione dell’edizione italiana del libro “Steve Jobs – L’uomo che ha inventato il futuro” di Jay Eliot, assistente del genio di Cupertino nella prima parte degli anni ’80. Raggiunto al telefono ovviamente non è sorpreso dalla forza mediatica che la notizia sta suscitando nel mondo. 

«Era scontato. Jobs sa emozionare, la sua aura va ben al di là del suo ruolo lavorativo. Nell’epitaffio digitale dedicatogli dall’azienda viene definito un visionario: sono d’accordo. Jobs è in grado di vedere nel futuro dell’innovazione, assistendo a quello che accade da una prospettiva superiore. È per questo che è sempre stato un passo avanti agli altri». Nella sua biografia c’è il fulcro del suo personaggio. L’adozione, l’allontanamento dall’azienda, la rinascita, la malattia, sono tutti elementi poetici che lo rendono un personaggio immortale. Il discorso pronunciato a Stanford resta il suo apice e condensa perfettamente il suo spirito. «Quello fu un momento incredibile. È lì che il grande pubblico è venuto a conoscenza del suo lato profetico. Jobs, cui da poco era stato diagnosticato il cancro, si era permesso di riflettere a mente lucida sulla morte: “è la più grande invenzione della vita”, disse. Aveva ragione».

Difficile trovare una figura di eguale importanza negli ultimi anni, impossibile trovarla in quel campo. Fortemente accentratrice – per molti fu “un dittatore” – ed allo stesso tempo in grado di donare tanto in termini di idee e innovazione. «È sempre stato lui a dettare le regole. È per questa ragione che a molti non è mai andato giù, a cominciare dai sostenitori dell’open source» continua De Biase. «Jobs fu al centro di battaglie accese, ma sempre combattute con rispetto da entrambi i fronti. Anche Bill Gates ha dovuto penare per anni nel confronto con Jobs, non riusciva a farselo andare giù. Poi ha dovuto arrendersi all’evidenza e riconoscerne il genio».

Nel 2004, l’anno in cui gli venne diagnosticato il cancro, Jobs avrebbe potuto lasciare tutto, passare il testimone, dedicarsi ad altro. «Lo avremmo fatto tutti, lui no. La consapevolezza della malattia lo ha concentrato ancora di più sulla propria creazione, facendogli tralasciare altre cose cui avrebbe potuto dedicarsi. In quel momento, il suo obiettivo diventa portare a compimento la sua opera. Così fa, creando quello che io ho definito l’I-team, cioè una squadra perfetta di lavoro in grado di portare avanti la sua filosofia e il suo genio anche dopo di lui. È in questo che Jobs diventa super-io: pur senza passare il testimone, crea il superamento di sé stesso». Ne parla ancora al presente, Luca de Biase. In un certo senso è inevitabile, e probabilmente è giusto così.

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