Spagna addio, i cervelli italiani fuggono anche da lì

Spagna addio, i cervelli italiani fuggono anche da lì

MADRID – Adiós Spagna. Gli italiani costretti ad andare via anche dal sogno spagnolo? Stando ai dati del Rapporto sull’Immigrazione parrebbe proprio di sì. Nel primo semestre dell’anno, infatti, la presenza di italiani, solo nella Regione di Madrid, è diminuita quasi del 10% (-9,23% da gennaio 2011). Passati dalla sorprendente cifra di crica 30mila presenze a 27mila. Non c’è nazionalità straniera residente nella capitale spagnola che abbia fatto peggio, ci hanno seguito nel contro-esodo solo i polacchi, che lasciano la patria di accoglienza per un 8%. Mentre cresce la presenza di cinesi e paraguaiani. 

Che succede? La crisi economica, si dirà, che se è globale porta i “cervelli in fuga” a pensare di rientrare a casa, di tornare all’ovile. D’altra parte ad attrarre italiani, sudamericani, a parte gli africani in fuga da guerre e povertà, verso la Spagna del boom economico e del lavoro “facile” era anche “lo stato di benessere” che regnava qui fino a due anni fa. Per non parlare del cosiddetto welfare: rimborso degli affitti per i giovani sotto i 30 anni, sgravi fiscali su tutti i fronti, iva tra le più basse d’Europa, un clima giovane dettato dall’ansia di crescita. Sistema università e accesso alle libere professioni davvero alla portata di tutti. “Sono arrivato in Spagna nel 2006, in un momento decisamente frizzante per la società spagnola”, racconta L., quello che si definirebbe “cervello in fuga” arrivato dall’Italia all’età di 27 anni.

“A Madrid sembrava che chiunque arrivasse trovasse subito lavoro e anche se gli stipendi non sono mai stati alti, l’atmosfera e la vitalità compensavano”, spiega. “La pensavano così in tanti, tedeschi, francesi e inglesi, che preferivano lavorare qui, anche se guadagnando meno, e i sempre più numerosi italiani, che preferivano lavorare e basta”. Che significa? “Per un italiano – sostiene L. – la grande sorpresa era conoscere gente davvero giovane con incarichi importanti. Neolaureati (di 24 anni), avvocati, geologi o giornalisti. E per di più pagati regolarmente, senza trucchi e senza stage”. Un paradiso, per gli italiani abituati, già prima della crisi al lavoro vero mai. “Insomma – sintetizza L. – un po’ come Londra, con stipendi mediterranei, però con il sole e un modo più umano di affrontare la vita”. 

E adesso? “Da tre anni la situazione è completamente diversa – spiega. Lavoro all’università dove ho visto ridursi i finanziamenti e chiudere corsi e dipartimenti. Diversi amici, ingegneri e architetti, soprattutto, fanno lavori sottoqualificati, o cercano all’estero”. Ma L., per ora non pensa di tornare a casa. “Devo dire che l’atmosfera continua ad essere buona, nonostante tutto, sebbene ci sia la sensazione che il peggio debba ancora arrivare”. Dal “ben vivere” degli italiani a Madrid è stata colpita anche C, 29 anni che dopo essersi messa a studiare la lingua, attratta “per caso” da un’opportunità professionale, l’ha presa al volo “per cambiare un po’ tipo di lavoro” e che in Spagna si è trasferita solo da poco, passando da account in un’agenzia pubblicitaria di Milano a Seo Sem per una delle aziende leader in Spagna nel settore immobiliare.

“Un lavoro un po’ diverso – spiega C. – ma alla fine per la prima volta mi hanno offerto in prospettiva un contratto con tutti i crismi e di lavorare in una azienda grande”. Lo rifaresti? “Dopo un mese e mezzo ti dico che lo rifarei, mi sembra ci sia più rispetto per le persone, la società pensa di più, in Italia abbiamo smesso di fare a livello di società e cittadinanza tante cose, e l’economia va male ovunque…. per cui….”. Quello che vale per i giovani che in Spagna trovavano e trovano ancora terreno fertile, non vale per gli adulti, strutturati e con un’attività commerciale avviata, che qui avevano trovato l’America. A. a giugno scorso ha chiuso il suo ristorante siciliano, “il più frequentato del quartiere” in una zona dove i ristoranti italiani ce ne sono ad ogni angolo. Dopo 40 anni di vita all’estero, molti dei quali trascorsi nella taverna siciliana a Madrid, A. ha riempito gli scatoloni dei prodotti tipici del Belpaese ed è tornato a Roma.

“Non posso vedere il ristorante vuoto, la gente non ha più soldi da spendere in pranzi di un certo livello”, ci raccontava prima dell’estate. “Una volta tutto questo era sempre pieno”, spiegava indicando i tavoli quasi vuoti del suo locale. “Ho bottiglie di vino, di aceto balsamico, insomma, quei prodotti che fino all’anno scorso ancora andavano a ruba, in vetrina a prendere polvere. Li rimetto nelle scatole e li rimando a Roma. Andrò lì ad aprire un nuovo ristorante, almeno tra parenti, amici e conoscenti, il locale non sarà mai vuoto. E poi – in Italia la crisi è già passata, è stata lieve, non come qui”. Percezioni diverse in momenti diversi. Del crollo delle presenze straniere in Spagna c’è chi accusa la politica poco lungimirante del governo Zapatero per aver promesso e non mantenuto il livello di benessere che faceva del Paese iberico il piccolo gioiello d’Europa; chi attribuisce questo declino alla congiuntura economica nera, chi torna a casa, chi resta a Madrid e chi arriva. Comun denominatore è la sensazione che la Spagna non sia più il Paese di qualche anno fa.

Resta da capire come andrà a finire e se davvero sarà in grado di  uguagliare l’Italia, o invece di preservare almeno quell’atmosfera di cui parlano i “giovani cervelli in fuga”.

La fotografia di questo articolo è di Mina Bulic

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