Per gli investigatori milanesi quel giudice della sezione “Misure di prevenzione” del Tribunale di Reggio Calabria avrebbe aiutato le cosche. Un magistrato che in carriera ha sequestrato alla mafia calabrese beni per un miliardo di euro, ma che a quanto risulta alla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, avrebbe commesso reati di corruzione e di favoreggiamento personale di uno degli esponenti del clan Lampada, con l’aggravante, si legge nel capo d’imputazione «di agevolare le attività della ‘ndrangheta».
Così questa mattina alle prime luci dell’alba è finito in manette Vincenzo Giglio, 51enne, che oltre al ruolo di presidente della sezione “Misure di Prevenzione” del Tribunale di Reggio Calabria era presidente di Corte d’Assise e docente di diritto penale alla scuola di specializzazione per le professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università statale Mediterranea di Reggio Calabria.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e dai sostituti Paolo Storari e Alessandra Dolci ha portato anche all’arresto del consigliere regionale calabrese Francesco Morelli, eletto nella stessa lista del Pdl che appoggiava il presidente Giuseppe Scopelliti e l’avvocato penalista Vincenzo Minasi (accusato di concorso esterno in associazione mafiosa), legale di Maria Valle, figlia di Francesco Valle, patriarca della medesima famiglia di ‘ndrangheta attiva in Lombardia fin dagli anni ’80. Maria Valle è coniugata proprio con Francesco Lampada, socio d’affari con quel Paolo Martino cugino del potentissimo boss Paolo De Stefano e imparentato con i Tegano, in pratica il gotha della ‘ndrangheta. Martino era anche solito frequentare imprenditori e politici per cui si faceva da tramite per rastrellare voti e organizzare serate anche con vip sfruttando il contatto con Lele Mora.
Nell’indagine denominata “Redux-Caposaldo”, portata a termine lo scorso marzo, e di cui ricorrono i nomi in tante delle operazioni Antimafia della Dda milanese, si rese ancor più chiara l’ingerenza dei clan sui locali della movida milanese, sugli appalti (arrivò addirittura il commissariamento del ramo milanese della ditta di trasporti Tnt, revocato poche settimane fa) e la scoperta di alcune riunioni dei malavitosi nei locali dell’ospedale Galeazzi. Anche se questi arresti si possono definire un completamento dell’operazione in cui è rimasto coinvolto lo stesso clan Valle nel luglio 2010, pochi giorni prima della maxi-operazione “Infinito” che ha portato all’arresto di più di 300 persone sempre sull’asse Reggio Calabria-Milano. Operazione, quella che portò in manette il clan Valle in cui si parlava di Expo, di aziende e di competizioni elettorali, che riprendono attualità nell’ordinanza dei pm milanesi. Francesco Morelli era invece consigliere regionale di maggioranza, una candidatura, quella di Morelli, fortemente sponsorizzata anche dal sindaco di Roma Gianni Alemanno che ne aveva sostenuto la campagna elettorale. Morelli è il secondo consigliere regionale calabrese arrestato per mafia in un anno, dopo l’elezione del presidente Scopelliti, che in questi giorni ha avuto il suo da fare nell’apostrofare come “cialtroni facenti parte di una cricca” i giornalisti Fierro, Ruotolo e Galullo di Fatto Quotidiano, La Stampa e Il Sole 24 Ore, a causa delle loro inchieste sulla regione.
L’operazione è in corso, e in queste ore la polizia si trova ancora al palazzo della Regione Calabria. Per corruzione è finito in manette anche il maresciallo capo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli. Sono in corso perquisizioni anche negli uffici Giancarlo Giusti, giudice presso il tribunale di Palmi, mentre sono state fermati anche tre presunti affiliati alle cosche calabresi, Gesuele Misale, Alfonso Rinaldi e Domenico Nasso
È la seconda volta in 15 anni che Ilda Boccassini chiede e ottiene gli arresti di un alto magistrato operante in altre città, il precedente si riferisce al 1996 nel caso Sme/Ariosto e Imi-Sir. Quello del giudice Giglio è un arresto che farà discutere e riflettere, soprattutto perché dalla Sezione Misure di Prevenzione passano le richieste di sequestro beni e l’applicazione delle misure patrimoniali preventive, cioè nei confronti dei soggetti indiziati.
Un operazione non di grandi numeri, i fermi sono una decina, ma che stando alle voci a caldo degli inquirenti «in Calabria non dimenticheremo facilmente».