Quando il gioco si fa duro, meglio tornare alla prima Repubblica. Non l’aveva detta proprio così John Belushi, e del resto Giorgio Napolitano in tanti modi può essere descritto, ma non certo come un blues brother. Oggi il presidente della Repubblica che si definì atarassico è sceso in campo. Come solo chi sa di politica può fare. Alla faccia di chi lo accusava di scarso coraggio. Tempismo, audacia e sorpresa. Il Quirinale ha mosso. Mario Monti senatore a vita. Chi doveva capire, ha capito. Il segnale è arrivato. La strada è segnata.
Giorgio Napolitano, l’uomo che da capogruppo del Pds alla Camera nel lontano 1994 pronunciò un criticatissimo discorso aperturista nei confronti del nuovo presidente del Consiglio, oggi ne dichiara la fine politica. All’epoca Eugenio Scalfari storse il naso, e non poco. Stasera quasi esulta in tv. Bisogna saper aspettare nella vita.
Se l’8 novembre può passare alla storia, o agli archivi, come il giorno in cui Berlusconi si è reso conto di non avere più la maggioranza in Parlamento, il 9 sarà ricordato come quello della restaurazione. Del ritorno a quel che c’era prima. Prima di quel video entrato nelle case degli italiani tra l’ilarità generale, con un imprenditore milanese che dichiarava il proprio amore per l’Italia. Era il 1994. Diciassette anni dopo, quasi diciotto, quel Paese sta morendo soffocato dal “troppo amore” dell’industriale delle tv. E poco importa se all’epoca l’entità della crisi era data da inflazione, deficit e tasso di disoccupazione; oggi la nuova unità di misura dello smottamento si chiama spread. Ma la sostanza resta quella.
E quando lo spread continuava a segnare rosso, nonostante le dimissioni già annunciate da Silvio Berlusconi, allora la prima repubblica si è presa la scena e ha fatto capire di che pasta è fatta. Il gioco è finito: il paese ha bisogno di un governo di transizione e vi facciamo anche capire anche chi sarà a guidarlo. Astenersi perditempo.
Il Rubicone è segnato. Basta poco per rendersene conto. Basta dare uno sguardo a tutti coloro che invece vogliono andare al voto subito: la Lega, Di Pietro, il Fatto quotidiano (sì, un giornale, ma di fatto una forza politica), e Berlusconi, che però all’ultimo fa finta di aver cambiato idea, tanto sa di aver perso. Seconda repubblica, seconda repubblica pura. Lega e Di Pietro ne sono stati i fondatori.
Dall’altra parte, invece, eredi di un partito che si chiamava Democrazia cristiana e di un altro che andava alla voce partito comunista italiano. E in mezzo qualche convertito: nella prima repubblica magari era un reietto fascista, oggi vi può rientrare da uomo di stato. Resta un problema di numeri, certo. Al Senato è più difficile che alla Camera. Se ne occuperà chi dovrà tradurre in pratica il grande progetto. Roba da geometri e manovali. I grandi architetti hanno tracciato le loro linee, il progetto si staglia nitido all’orizzonte. Il tempo delle olgettine e delle corna in pubblico è finito, e magari anche quello dei fastidiosi e volgari battibecchi in tv. Ah, quanta nostalgia di Jader Jacobelli e delle frecciate dispensate con stile e sobrietà.
Avete avuto la vostra chance, cari parvenu: diciassette anni posson bastare. La prima repubblica è tornata. E ora morire democristiani può essere considerato un obiettivo.