Il caso Fassina è solo l’inizio della grande guerra nel Pd

Il caso Fassina è solo l’inizio della grande guerra nel Pd

È scoppiata prima del tempo la grande guerra nel Pd. Il “caso Fassina” ha colto tutti di sorpresa anche chi aveva immaginato che con il governo Monti sarebbero aumentate le difficoltà di Bersani di tenere unito il suo partito. La “guerra preventiva” l’hanno dichiarata i liberal contraddicendo con la loro iniziativa la propria denominazione. Infatti Enzo Bianco, ex prestigioso sindaco di Catania e ex ministro degli Interni, ha chiesto al segretario del partito l’estromissione del responsabile economico accusandolo di aver commesso il reato di opinione di dichiararsi contrario alle dichiarazioni degli eurocrati e di essersi mostrato esigente verso il governo da poco in carica. L’iniziativa di Bianco ha colto di sorpresa Bersani e finora non ha trovato molti seguaci anche fra i settori più critici del giovane dirigente del Pd. Ma siamo appena agli inizi.

Stefano Fassina, con il dalemiano Matteo Orfini, rappresenta l’area di sinistra del partito. La sua linea è di impronta socialdemocratica, si colloca fra i dirigenti del partito più sensibili alle ragioni del sindacato. Nasce nella scuderia di Visco e Bersani, è molto preparato, ha un’aria testarda e una scarsa inclinazione ai compromessi. Non ride mai. Fra i giovani dirigenti del Pd è quello che si è messo più in luce anche perché ha scelto di coprire un’area, la sinistra interna, scarsamente presidiata. I suoi avversari lo ritengono un nostalgico. Lui, per capirci, è tutto il contrario di Renzi: non sfonda in tv, non ammalia con frasi ad effetto, ha una faccia tremendamente preoccupata. Eppure Fassina rappresenta una doppia risorsa per il Pd perché da un lato tiene viva l’opzione di sinistra, dall’altro lascia intravvedere che nel partito si può uscire dagli scontri sui vecchi nomi. L’esistenza di Fassina, insomma, segna l’inizio della fine della stagione delle liti fra D’Alema e Veltroni.

L’esistenza di Fassina, inoltre, ripropone il tema originario del Pd: cioè la sua natura e la sua mission. Bianco e gli altri pensano che debba essere un partito liberale, collocato al centro, che abbia al suo interno una sinistra pressochè decorativa. Gli altri, fra cui molti dalemiani, invece immaginano uno scenario del tutto opposto, cioè un partito di sinistra che ospita una corrente di centro. È il famoso amalgama malriuscito di dalemiana memoria. Dov’è la novità di queste ore? La novità è che l’iniziativa di Enzo Bianco lascia intravvedere uno svolgimento della battaglia interna che potrà avere sviluppi più accesi. Lo scontro fra chi considera il governo Monti il governo del Pd e quelli che lo immaginano come il governo-amico ha come posta in gioco la segreteria di Bersani e forse la stessa esistenza del Pd.

I liberal vogliono portare la tensione interna fino a dimostrare l’incompatibilità fra le due anime per spingere la parte più governativa e liberale a contendere la guida del partito a Bersani, e la stessa investitura a candidato premier, non rinunciando all’idea estrema di uscire dal Pd. Sicuramente in questa area si collocano i veltroniani e i seguaci di Renzi oltre che buona parte degli ex popolari. Dentro questa area, ma con istinti meno bellicosi, c’è ormai Enrico Letta che ha sciolto l’antico sodalizio con Bersani. Dal lato opposto c’è tutto il resto del partito (anche la sinistra interna è, ormai, un amalgama malriuscito) che deve fare i conti con ciò che resta del dalemismo e con l’irrisolta posizione dell’antico leader che non ha nascosto il suo appoggio a Monti ma vede anche le insidie per l’insediamento sociale del proprio partito.

In questo scontro si vedrà la forza del segretario del Pd. Bersani scegliendo Monti invece del voto anticipato è stato generoso ma si è cacciato in un bel guaio interno. Se riuscirà a tenere insieme il suo partito sarà inattaccabile, altrimenti dovrà passare la mano a un giovane leone, ad esempio Zingaretti. Quel che appare chiaro, almeno appare chiaro a me, è che i suoi guai non verranno da quella sinistra interna che si pone il problema dell’equità dei sacrifici e della tenuta dell’elettorato più popolare, ma dalla destra che ha appena cominciato ad affilare le armi anche perché vede affollarsi l’area di centro dello schieramento politico e teme di arrivare troppo tardi a rappresentare il polo moderatamente di sinistra per cui ha lavorato. Il buon Fassina resisterà a lungo fra gli obiettivi del tiro delle artiglierie liberal-liberiste del Pd. Non sembra però che la prospettiva lo spaventi. Alle armi, allora.

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