La scuola del Pdl si apre col funerale del berlusconismo

La scuola del Pdl si apre col funerale del berlusconismo

Requiem per il berlusconismo. Mentre il Paese archivia la seconda Repubblica, il Pdl celebra il fenomeno politico dell’ultimo ventennio. Ed è con un funerale – rigorosamente laico – che questa sera i fedelissimi del Cavaliere hanno dato l’addio a una delle vicende più discusse della recente storia italiana. Un estremo saluto, nell’incrollabile speranza della futura resurrezione.

Sfondo delle esequie del fenomeno è la scuola di formazione politica del Popolo della libertà. Al via oggi a Roma. Una ventina di incontri per formare amministratori e dirigenti pubblici, ma anche giovani elettori e semplici militanti. La prima lezione del piano didattico è dedicata al berlusconismo. Una celebrazione amara. Poco prima di salire in cattedra il direttore del Foglio Giuliano Ferrara – uno dei principali oratori – non si presenta all’incontro. Sostituito all’ultimo da un altro “libero servo” del Cavaliere – così si definirono in un recente incontro – il direttore del Tempo Mario Sechi.

A ricordare quello che anche gli organizzatori ammettono essere stato “un fenomeno sociale e di costume” sono in tanti. I posti della sala conferenze di Montecitorio, a Palazzo Marini, sono tutti occupati. Nel tardo pomeriggio, a mezz’ora dall’inizio della lezione, fuori dall’ingresso c’è addirittura la fila. Militanti, elettori, qualche curioso. Di giornalisti nemmeno l’ombra. È la seconda nota dolente della serata. Mentre va in scena la celebrazione del berlusconismo, la politica è altrove. A poche centinaia di metri da qui. A Palazzo Chigi il governo Monti si è appena riunito per ratificare le nomine dei nuovi sottosegretari.

Fuori dalla sala conferenze c’è qualche giovane. Non troppi. L’età media di gran parte dei presenti è quella della pensione. “Effettivamente ci aspettavamo un po’ più di ragazzi” raccontano due ventenni in fila. Abiti all’ultima moda, trucco curato, raccontano di essere le collaboratrici di un deputato del Pdl. “A dirla tutta – si confidano – eravamo qui anche l’anno scorso, per la prima edizione della scuola. E anche allora era pieno di anziani”.

Fabrizio Cicchitto apre i lavori. Il capogruppo del Pdl alla Camera si lascia andare a una lunga ricostruzione. È la genesi del berlusconismo. Un fenomeno nato in un preciso contesto storico: Tangentopoli. Un evento “potenzialmente eversivo, chiaro uso politico della giustizia”. Una sorta di colpo di Stato bianco in cui la magistratura “ha spazzato via i cinque grandi partiti che per anni avevano tenuto l’Italia al riparo dal comunismo”. E il cui obiettivo – rovinato dalla discesa in campo del Cavaliere – era quello di preparare la conquista del potere da parte del Pds.

Cicchitto viene interrotto. Una delegazione dei commessi di Palazzo Marini entra per consegnare un comunicato. È una rappresentanza dei trecento impiegati che nelle prossime settimane perderanno il posto di lavoro.. Vogliono parlare con lui. “E vabbè – sbotta il capogruppo del Pdl – dopo ci parleremo”.

Quando racconta la nascita del Popolo della libertà, Cicchitto tradisce un’insospettabile moderazione. Segno, forse, di un tentativo di riconciliazione con i vecchi alleati. Gianfranco Fini non è più il traditore. “Si era pentito – spiega il dirigente berlusconiano – Lui, sempre abituato a presiedere il partito, da presidente della Camera non poteva seguire la politica”. E quella che il Cavaliere ha sempre bollato come l’insignificante fuoriuscita di pochi elementi diventa, nelle parole di Cicchitto, “la scissione di una parte del Pdl”. In fondo alla sala qualcuno armeggia con il telefono cellulare. Almeno un paio tra i presenti sonnecchiano.

Di tutt’altro tenore l’intervento di Sechi. Appena prende la parola, il giornalista strappa subito un applauso convinto alla platea. “Non stiamo mica celebrando un’uscita – spiega – questo è chiaro. Gli uomini passano, ma le idee restano”. I berluscones si scaldano. Il Cavaliere? “Un gigante, un outsider straordinario del sistema, uno straordinario innovatore del costume politico, uno che sapeva capire gli italiani”. Per Sechi l’origine del fenomeno politico di Silvio Berlusconi è molto semplice. “Nel 1994 c’è il famoso discorso “l’Italia è il Paese che amo”. Tutti ridono. Poi si vota e non ride più nessuno”.

Di fronte a tanti complimenti forse si imbarazzerebbe persino l’assente protagonista della serata. Il direttore del Tempo elenca le grandi innovazioni del berlusconismo. L’uso dei sondaggi in politica, il bipolarismo, l’alternanza, l’intuizione del partito unico. Sechi riesuma persino il contratto con gli italiani siglato nel 2001 dal salotto tv di Bruno Vespa. “Prima di Berlusconi non esisteva un programma elettorale. Si votava senza sapere cosa avrebbero fatto i partiti”.

I presenti apprezzano. Partecipano, ridono, battono le mani. Ma l’applauso più fragoroso se lo prende l’ex alleato del Cavaliere. “Certo – spiega Sechi – fondare il partito unico con Gianfranco Fini non è stata poi una grande idea. Ma nessuno poteva sapere cosa girava tra i neuroni del presidente della Camera”. La moderazione di Cicchitto è scomparsa. “Ma come si fa ad avere l’obiettivo politico di diventare il numero due di Casini?”. Ironico e sferzante, in perfetto stile berlusconiano. E giù risate.

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