Nelle democrazie rappresentative i criteri di rappresentazione sono definiti dalla legge elettorale. Ogni democrazia ha sviluppato la propria, rifacendosi ai principi che più considerava imprescindibili. Semplificando molto si potrebbe dire che la ricerca della stabilità ha ispirato i sistemi a vocazione maggioritaria, la volontà di conservare il rapporto tra voti ed eletti quelli a vocazione proporzionale, mentre i sistemi misti hanno considerato le lezioni d’entrambi.
L’Italia ha introdotto un inedito principio guida: limitare il più possibile la scelta degli elettori. Rifacendosi alla legge elettorale della Toscana (votata da Pd e Pdl), l’ex ministro Calderoli ha progettato un sistema che fa a meno delle preferenze. Diviene allora legittimo chiedersi: ma una democrazia rappresentativa che impedisce agli elettori di scegliere, che cosa potrà mai rappresentare? La risposta è eloquente: le gerarchie di partito. Se la democrazia rappresentativa è di per sé una forma indiretta, quella italiana lo è al quadrato: una catapulta che proietta in parlamento più gli organigrammi dei partiti (con giochi di potere annessi e connessi) che la volontà degli elettori.
Ci sarebbe però un’altra domanda da porsi, ben più complessa. Il novecento è stato il secolo che ha definitivamente messo in crisi il concetto di rappresentazione: così nell’arte come nella scienza e in filosofia. Che sia giunta l’ora della politica? Il porcellum sarebbe allora il primo sintomo di una progressiva de-rappresentazione della dimensione politica, e “la casta” l’emblema di una democrazia deformata e deformante, in cui i rappresentanti rappresentano solo loro stessi.
Il fatto che i mercati oggi ci costringano a un governo tecnico, capace fin che si vuole, ma pur sempre caduto dal cielo, pare un ulteriore passo in questa direzione. Per la finanza i tempi della democrazia rappresentativa sono troppo lunghi, le sue decisioni troppo mediate, il suo sistema di pesi e contrappesi troppo incerto. L’esecutivo Monti incarna, invece, proprio quel decisionismo tecnico che i mercati esigono in cambio della fiducia. Oggi un Primo Ministro ha bisogno di due fiducie: quella del parlamento, necessaria ma non sufficiente, e quella dei mercati, di fatto la più importante. Anzi, è evidente che Monti ha potuto ottenere la prima perché godeva già della seconda.
Si sottolinea spesso quanto la democrazia sia sempre più inadeguata alla finanza, dimenticandosi quanto sia altrettanto legittimo sottolineare il contrario, cioè quanto i mercati finanziari stiano diventando sempre meno adeguati alla democrazia. Dall’inizio della crisi del 2009, il G20 ha disatteso ogni annuncio di riforma dei mercati, mentre la finanza sembra non aver perso occasione per condizionare i governi, costringendo alle dimissioni, più o meno indirettamente, ben cinque primi ministri europei in un anno.
Per anni si è sostenuto che il capitalismo propiziasse la democratizzazione del sistema politico. Tesi forse un po’ romantica, che paesi come Singapore e la Cina – realtà capitalistiche consolidate, in cui non si ha traccia di governi democratici – oggi confutano con forza. Anzi, le due tigri asiatiche sembrano corroborare la tesi opposta: il capitalismo senza democrazia funziona anche meglio. La deriva de-rappresentante della democrazia italiana sarebbe quindi, sotto certi aspetti, una sorta d’avanguardia che esacerba in anteprima occidentale le tensioni di un’epoca segnata da indomiti mercati e pavide democrazie.
Dopotutto i “buoni propositi” con cui si è venduto il porcellum erano la governabilità, la compattezza degli schieramenti e la lealtà (!) dei rappresentati.
Sollecitare il parlamento a varare una nuova legge elettorale, ricordandosi del milione di firme che la invocano, sarebbe un importante gesto da parte del nuovo Premier. Significherebbe innanzitutto ritornare a una democrazia pienamente rappresentativa. In secondo luogo, significherebbe riaffermare il primato della politica sulla finanza. Infine, significherebbe ricondurre i singoli candidati al giudizio degli elettori, smantellando quello strambo ascensore che per troppo tempo ha condotto l’incompetenza al potere.
*PhD Student Université Jean-Moulin Lyon 3/Università degli Studi di Milano