Saras, dopo cinque anni piccoli azionisti ancora al buio

Saras, dopo cinque anni piccoli azionisti ancora al buio

Alla vigilia dei risultati relativi ai primi nove mesi dell’anno, i piccoli azionisti di Saras sono ancora nel limbo. Cinque anni dopo lo sbarco in Piazza Affari della società petrolifera della famiglia Moratti, i risparmiatori si ritrovano in portafoglio un titolo che è stato collocato a 6 euro, ma oggi ha chiuso le contrattazioni a 1,001 euro (-0,6%). Detta altrimenti: se nella primavera 2006 l’investimento valeva 100, nell’autunno 2011 vale 16, che significa -83,4 per cento. Un esercizio puramente teorico, perché fin dal primo minuto delle contrattazioni non raggiunse mai i 6 euro. Da allora i sottoscrittori dell’Ipo sono scivolati in un baratro che, complice la crisi del debito pubblico italiano, sembra senza fondo.

Lo scorso 16 febbraio il pm milanese Luigi Orsi ha chiesto l’archiviazione del procedimento nei confronti di nove manager del pool di banche internazionali, da Morgan Stanley a Jp Morgan fino a Caboto (gruppo Intesa), indagati per falso in prospetto e aggiotaggio nell’ambito della quotazione di Saras. In base ai rilievi della pubblica accusa, infatti, non sarebbe stato possibile risalire al soggetto che, in ultima istanza, è penalmente responsabile di aver immatricolato Saras ad un valore nettamente superiore alle valutazioni di mercato. In altre parole, chi è stato l’uomo decisivo nel dolo. Come raccontano le cronache finanziarie dell’epca, i fratelli Moratti guadagnarono 1,6 miliardi di euro, mentre il pool di banche consulenti dell’operazione ricavarono 42 milioni di euro in commissioni. Eccessivo (circa il 30% in più del valore indicato dal consulente della Procura che si è occupato della perizia tecnica) il prezzo di collocamento a 6 euro per azione, tanto che il 18 maggio 2006, giorno dell’offerta, il titolo lasciò sul terreno il 13,3%, chiudendo la seduta a 5 euro e 20 centesimi. 

Tre giorni fa, la banca svizzera Ubs ha diffuso un report in cui giudica Saras “sell”, cioè “da vendere”, con un prezzo obiettivo pari a 0,85 euro per azione, ritenendola «un candidato per operazioni di fusione ed acquisizione», data la contrazione dei margini di raffinazione sui 300 milioni di barili al giorno, che ne fanno la nona compagnia europea. Eccessivo, per l’istituto elvetico, il consensus degli analisti sul margine operativo lordo (Ebitda) 2011 a quota 286 milioni di euro e un utile per azione (Eps) a 0,04 euro, a cui Ubs contrappone un Ebitda a 226 milioni di euro e Eps negativo a -0,02 euro. Ubs rivela che Saras ha bruciato 625 miliardi di cassa dal 2008 a oggi, 150 milioni dei quali ascrivibili a Sarroch e 42 milioni per l’acquisto di 81 stazioni di servizio di Erg in Spagna. Al 30 giugno Saras presentava ricavi pari a 5,3 miliardi di euro, +31% rispetto al primo semestre del 2010, e perdite nette adjusted a quota 4,9 milioni di euro, in miglioramento rispetto ai 27,4 milioni del primo semestre del 2010, oltre a investimenti per 59,3 milioni di euro, in linea con il piano industriale. Il titolo viene scambiato sul mercato con un multiplo tra capitalizzazione di borsa e margine operativo lordo (Ev/Ebitda) pari a 6,1 volte, in linea con il settore europeo, mentre il multiplo calcolato di Ubs è 4,3 volte. 

Nei giorni immediatamente precedenti allo sbarco in Borsa dei Moratti, 78.759 risparmiatori sottoscrissero un numero di azioni per complessivi 414 milioni di euro. Per loro l’unica possibilità per ottenere giustizia è costituirsi parte civile. «Abbiamo presentato al Gip opposizione alla richiesta di archiviazione, che però è stata respinta. Ora è allo studio una causa civile che non sarebbe però rivolta nei confronti di Saras, ma dei soggetti che l’hanno accompagnata alla quotazione», dice a Linkiesta il penalista Fabio Belloni – famoso per far parte del collegio difensivo di Calisto Tanzi nel processo Parmalat – legale del Siti, sigla sindacale a tutela del risparmio guidata da Domenico Bacci, per una decina d’anni procuratore alle grida (rappresentante degli agenti di cambio quando il prezzo si formava “gridando”) nella vecchia Piazza Affari non ancora informatizzata. «Da febbraio abbiamo raccolto un migliaio di risparmiatori che hanno comprato le azioni Saras all’interno del collocamento, che quindi hanno dieci anni prima della prescrizione civile. I nostri avvocati sono al lavoro per partire con la causa civile il prima possibile», dice Bacci.

Piccolo particolare: nel luglio 2010 il Siti invia una mail a tutti i piccoli risparmiatori chiedendo di «usufruire della iniziativa di tutela collettiva prestata dal Siti ai propri associati ai fini del risarcimento del danno». In cambio di una quota pari a 103,29 euro fino ad un controvalore di 10mila euro in azioni Saras sottoscritte, oltre al 15% dell’eventuale pro soluto in caso di esito positivo del procedimento. Sui forum finanziari alcuni utenti si sono chiesti come mai il Siti avesse avuto accesso ai loro indirizzi mail, ma sul punto Bacci replica prontamente: «escludo categoricamente che siano state inviate mail non sollecitate non solo in relazione alla Saras, ma anche in relazione a qualunque altra vicenda». 

Il Siti non è l’unico ad essersi mosso per tempo. Nel giugno 210 l’Adusbef aveva dato mandato all’avv. Marisa Costelli di preparare un atto di costituzione di parte civile al processo, sia per chiamare le banche ad un congruo risarcimento dei danni degli azionisti Saras frodati e truffati con il concorso del pool di banche, che per chiamare in giudizio la Consob. All’epoca, nel gennaio 2007, il regolatore aveva infatti deciso di non dare seguito agli esposti di alcuni risparmiatori scottati. Anche su questo fronte, tuttavia, le bocce sono ancora ferme. 

«Non mi ha mai contattato nessuno, né Saras per inviarmi la lettera di partecipazione alle assemblee, né le associazioni dei consumatori. Le azioni non le ho mai vendute. Sa, uno spera sempre nel rimbalzo», racconta a Linkiesta una commerciante all’ingrosso della provincia di Ancona, con la richiesta dell’anonimato. «All’epoca acquistai il lotto massimo di azioni in collocamento, cioè 6mila. Fu un’iniziativa della banca, una piccola Bcc della zona di Ancona, che mi telefonò proponendomi l’affare, visto che avevo sottoscritto in precedenza il collocamento di Ansaldo», racconta l’imprenditrice, responsabile amministrativa dell’azienda di famiglia. «Un caso del genere è indecoroso per una società a media capitalizzazione», denuncia. 

Un pensionato 67enne di Varese, anche lui sotto promessa di anonimato, ricorda che all’epoca fu Banca Intesa a consigliargli la sottoscrizione del titolo Saras: acquistò 3mila azioni nei giorni immediatamente successivi al flop, per un valore di circa 15mila e 900 euro. Alle quotazioni odierne, la sua partecipazione vale meno di 5mila euro. Oltre il danno – alla stregua di molti altri risparmiatori – anche la beffa: su suggerimento del suo precedente istituto di credito, la Popolare di Lodi, aveva comprato azioni Parmalat.

L’attenzione di Viviano Vaiani, che dall’aprile 2007 si reca ostinatamente alle assemblee di Saras per chiedere spiegazioni – senza successo – è invece focalizzata sull’enorme quantità di volumi scambiati quel 18 maggio 2006, pari a 124,8 milioni di titoli, più di un terzo del totale collocato. Vaiani acquistò 6mila azioni tramite Ras Bank, ora Allianz, ricorda come già nell’asta di preapertura Saras non raggiunse mai 6 euro. «Nessuno mi ha ancora spiegato come mai i quantitativi tradati sono stati così elevati stante l’impossibilità del cliente retail di poter vendere i propri titoli, in quanto non visualizzava ancora le posizioni sul proprio dossier» spiega a Linkiesta, esprimendo inoltre forti dubbi su possibili conflitti d’interesse degli investitori istituzionali. In altre parole: chi avrebbe prestato a chi i titoli Saras da vendere allo scoperto, e chi ne avrebbe tratto vantaggio sin dai primi istanti di contrattazione? Domande che dopo cinque anni rimangono ancora senza risposta.

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