Se in Grecia torna la paura (o la voglia?) dei Colonnelli

Se in Grecia torna la paura (o la voglia?) dei Colonnelli

E di colpo tutto diventa ancora più incomprensibile, e persino inquietante. La sera del 31 ottobre il primo ministro greco George Papandreou annuncia un referendum sul bailout della Grecia. «Tutte le forze politiche del Paese dovrebbero sostenere l’accordo [di bail-out] – dichiara il primo ministro – I cittadini faranno lo stesso una volta che saranno pienamente informati».

La decisione lascia tutti di stucco. Sgomenti. Persino il ministro delle finanze, Evangelos Venizelos, è all’oscuro di tutto. Poche ore dopo, dal letto di una clinica privata di Atene (dove è ricoverato per un presunto problema allo stomaco), Venizelos telefona al ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaüble e al Ceo di Deutsche Bank Josef Ackermann, e parlando ai media locali critica apertamente la mossa del primo ministro. La decisione di Papandreou ha l’effetto di un terremoto. I mercati sono presi dal panico, a Bruxelles la notizia esplode come una bomba, e ad Atene una parlamentare del Pasok lascia il partito (che ora può contare su appena due seggi di vantaggio). Il governo greco è sempre più traballante, e debole sul piano internazionale.

«Non riesco davvero a capire su cosa la Grecia voglia fare un referendum – commenta il ministro degli esteri svedese Carl Bildt – Ci sono reali alternative?». Ancora più duro il primo ministro belga, Yves Leterme: «I mercati hanno bisogno di stabilità e sicurezza. Papandreou ha responsabilità molto pesanti». Annunciando a sorpresa il referendum, il sempre più debole Papandreou sta appellandosi direttamente al popolo greco. Ma perché? In fondo l’esito della consultazione appare abbastanza scontato, e rischia di mandare a monte faticosissime negoziazioni.

La sera del 1° novembre, a borse chiuse, arriva un’altra notizia: la sostituzione dei vertici militari greci. Il capo di Stato maggiore interforze e i comandanti di Esercito, Marina e Aeronautica vengono sostituiti, e con loro una decina di alti ufficiali. Così, a sorpresa. Il cambio della guardia è infatti previsto per il 7 novembre, ma non tanto ampio e brusco. E la tempistica fa nascere qualche sospetto. «Dal 1974 (l’anno della fine della “dittatura dei colonnelli”), naturalmente, la democrazia ha funzionato, ma è preoccupante sapere di ufficiali dell’esercito che vengono sostituiti proprio nel cuore di una crisi economica», dichiara in merito il Nobel dell’economia Christopher Pissarides, di origini greco-cipriote. Di certo i rapporti tra il governo e le forze armate hanno conosciuto periodi migliori. A settembre degli ex ufficiali dell’esercito prendevano d’assalto il Ministero della Difesa, furiosi per i tagli alle loro pensioni. L’accaduto scuoteva profondamente il ministro della difesa, Panos Beglitis.

Nel maggio del 2011 il tabloid tedesco Bild rivelava i timori della Cia per il rischio di un colpo di stato in Grecia in caso di gravi disordini sociali. La notizia veniva prontamente ripresa, con una certa Schadenfreude, il piacere provocato dalla sventura altrui, dai media turchi che, si sa, di colpi di stato veri o presunti se ne intendono (si pensi solo all’organizzazione Ergenekon, un’organizzazione terroristica ultranazionalista). E il 25 ottobre, sul Telegraph, si poteva leggere: «Scherzando solo per metà qualche volta si è detto che un uso del denaro tedesco migliore del buttarlo giù nello scarico per altri bail-out, sarebbe sponsorizzare un colpo di stato in Grecia, e risolvere il problema in questo modo, dato che la dittatura è incompatibile con l’adesione all’Unione europea».

La battuta, non troppo spassosa in verità, veniva criticamente citata poche ore dopo anche da un contributor di Forbes sul suo blog, infastidendo più di un cittadino greco. Perché nella culla della democrazia occidentale l’esercito rimane forte. Secondo l’Economist, nel 2008 la Grecia spendeva in difesa il 2,9% del Pil, quanto l’Egitto e più dell’Iran. E tra i militari in pensione quelli che ricordano con nostalgia la “dittatura dei colonnelli” non sono così pochi, e tollerano a fatica il governo del socialista George Papandreou (figlio, è il caso di ricordarlo, dell’ex primo ministro Andreas Papandreou, che dai colonnelli fu incarcerato e poi esiliato).

Sospetti a parte, la strana mossa di Papandreou non potrà che far discutere. Le opposizioni l’hanno già bocciata: perfino l’estrema sinistra l’ha criticata, perché dà l’impressione che il governo «voglia creare delle forze armate altamente politicizzate». Magari per prevenire proteste di piazza ancora più violente, piuttosto che per sventare un improbabile golpe.  

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