C’è gente malata su Twitter che vuol litigare in 140 caratteri

C’è gente malata su Twitter che vuol litigare in 140 caratteri

Mi piacerebbe capire cosa può diventare l’amore al tempo di Twitter, o anche il sesso se del caso. Ma di questo parleremo alla fine. Intanto, una primissima notazione: esattamente due parole fa, su Twitter avremmo smesso di dialogare. Così, per la cronaca. Invece qui andiamo avanti, per il piacer mio e non so quanto per il vostro. Andiamo avanti, credendo – forse ingenuamente – che per parlare di sentimenti, per descriverli, per raccontare di cose viste, sentite, riferite, ci sia bisogno di un po’ di spazio, che molto generosamente qualcuno ci mette a disposizione, o che ci prendiamo noi, d’imperio, scrivendo a rotta di collo senza che nessun committente ce lo chieda, ma solo per puro piacere personale.

L’idea che Twitter, però, possa rubarci anche la primazia della scrittura in quanto tale, applicata alle nostre cose quotidiane, è oscenità a cui non so dar seguito con parole acconce. La deriva, ormai, ha preso pieghe a dir poco ridicole, pensate che su Twitter adesso la gente pretende anche di litigare!

Vado con un esempio concreto, che potrete ritrovare sulla piattaforma medesima o, per tradizionalisti impenitenti, sul Corriere della Sera di oggi.

Protagoniste due signore piuttosto note come Sabina Guzzanti e Concita De Gregorio, oggetto della contesa una «rivelazione» dell’ex direttrice dell’Unità, che qualche giorno fa raccontava di aver saputo tempo prima da un autorevole dirigente Pd della volontà del partito di privilegiare la corsa della Polverini, allora candidata di Fini, ai danni della povera Bonino, nell’ottica di provocare una lacerazione all’interno del Pdl. Insomma, se vera, una cosa gravissima, di cui peraltro i lettori dell’Unità non hanno letto nulla e infatti su questo aspetto picchia duro la Guzzanti. Qui di seguito, lo scambio vivace tra le due, tutto passato su Twitter.

Guzzanti, riferito alla “dimenticanza” della direttora: «Perché non lo scrisse? Perché farebbero mai direttore una che non dà le notizie? Poco sobrio».
De Gregorio: «Le tue parole mi feriscono. E poi hai mai letto l’Unità nei tre anni in cui ci ho lavorato? Non dava le notizie?»
Guzzanti: «Il giornalismo non si fa nei salotti».
De Gregorio: «Ma di quali salotti parli? L’unico che frequento è quello di casa mia».
Guzzanti: «Non hai dato una notizia».
De Gregorio: «Falso, una conversazione con un leader politico non è una notizia».

Detto che su quest’ultimo cinguettio della De Gregorio potremmo aprirci un bel dibattito (e negandovelo, almeno vi rimando a un dotto pezzo di Peppino Caldarola sull’argomento), preferisco sottolineare la fine pacifica del duello Guzzanti-De Gregorio, perché il veleno sta proprio nella coda. Scrive Sabina: «In 140 caratteri, difficile discutere. È stato un piacere». E la direttora: «Vabbè, ne riparliamo. Ti abbraccio».

Morale: uno scazzo (apparentemente) epocale sui principi ispiratori del buon giornalismo finisce in vacca con un “vabbè ne riparliamo”. 

Il problema sta esattamente qui, nella pretesa di trasferire su queste nuove piattaforme sincopate il peso, l’importanza, la solidità, la profondità di argomenti che meriterebbero un rispetto diverso e non il duello strozzato a colpi di 140 battute alla volta, modesto coitus interruptus dei tempi moderni. È un singolare scarico di responsabilità, alle volte proprio un esercizio irresponsabile, che tende a far galleggiare sempre e comunque le cose in superficie in modo che non facciano male, non offendano, non spieghino. È una nuova visione del dialogo e dei rapporti umani, inaugurata – come sappiamo tutti – dal linguaggio dei telefonini che hanno aperto la breccia rivoluzionaria. Se ci si lascia via sms (come apprendo dalle varie rubriche sparse del cuore), perché non scazzarsi su temi importanti con (al massimo) una ventina di parole su Twitter?

Ciò che davvero di più moderno esprime la tecnologia per rilanciare un linguaggio, i linguaggi, non è rifiutabile in termini di approccio intellettuale. Basterebbe però sapere con quale «mostro» si ha a che fare, in modo da regolarsi con stile e intelligenza e non cadere nel patetico. Commentare la morte consapevole di Lucio Magri con una battuta, ancorchè edotta, su Twitter è davvero compenetrarsi nel problema e offrire un contributo serio, o non piuttosto ridurre una vicenda molto seria a purissimo esercizio accademico di autocertificazione estetica?

Per chiudere, ho come l’impressione che Twitter (e ciò che gli gira intorno) sia roba da gente sola, gente che dialoga poco, nel vero senso che conosciamo. E che semmai, abbia una funzione straordinaria nel rilanciare notizie e sollecitazioni da tutti i mondi possibili, rendendo consapevoli gli altri in tempo reale. Questo è sicuramente un aspetto fantastico. Ma litigarci è da bambini di quinta e visto che tutti dobbiamo essere un po’ bambini vorrei rilanciarvi qui la domanda che mi sono posto all’inizio, sperando che dalla piattaforma qualcuno possa illuminarmi: ma su Twitter si può anche fare del sesso? E se sì, come? 

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