Pizza ConnectionGioco d’azzardo, ecco come l’Italia è diventata prima in Europa

Gioco d’azzardo, ecco come l’Italia è diventata prima in Europa

Nuvole di società, slot machine, compiacenze e irregolarità. Ancora una volta le attività del gioco d’azzardo e in particolare le slot machine da bar entrano nelle inchieste dell’antimafia. Cifre tra i 20mila e i 50mila euro al giorno guadagnate illegalmente, senza dichiarare un euro al fisco e stando al sicuro da multe salatissime: la sanzione dell’AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) per i dati non pervenuti è di mille euro al giorno.

In un mese, staccando la macchinetta dal sistema di rilevazione e sostituendone la scheda si arriverebbe a pagare una multa da 30mila euro al mese. Cifra che i proventi illegali riparano in un solo giorno. Così con queste cifre, e qualche funzionario compiacente, il clan Valle-Lampada, protagonista nelle scorse settimane dell’operazione condotta dal pool di Ilda Boccassini, che da Milano ha portato anche all’arresto di due giudici calabresi e un maresciallo della Guardia di Finanza, ha costruito le sue fortune e consolidato i contatti che ne garantivano la copertura.

IL MERCATO DEL GIOCO IN ITALIA E LE MAFIE – Il mercato del gioco d’azzardo in Italia vale poco meno di 60miliardi di euro all’anno. Un’espansione che negli anni è aumentata soprattutto grazie alle larghe maglie aperte negli ultimi anni dal governo Berlusconi che ha dato al gioco d’azzardo autentica forma di impresa, spesso presa di mira dalle mafie sfruttando le contraddizioni legislative del settore in seguito alla liberalizzazione. Una maggior libertà che avrebbe dovuto garantire gettiti più alti per le casse dello Stato, ma che sovente si è trasformato nel bengodi delle organizzazioni criminali.

Così il mercato italiano del gioco d’azzardo è diventato il primo in Europa per volume di affari, e le ultime stime che analizzano i primi quattro mesi del 2011 parlano di giocate per 24miliardi di euro. Se il trend dovesse confermarsi, il mercato potrebbe toccare i 70miliardi di euro, consegnando al gioco d’azzardo il terzo posto tra le economie del Belpaese. A farla da padrone sono le slot-machine che nel 2010 hanno totalizzato un giro d’affari di poco superiore ai 24miliardi di euro. Seguono le lotterie (circa 12miliardi), Lotto (11miliardi), più staccati i giochi numerici a quota 8miliardi, chiudono infine Bingo, scommesse sportive, Poker e scommesse ippiche, che generano fatturati tra il miliardo e il mezzo miliardo.

La torta è grande e ricca, e come in tutte le torte ricche le organizzazioni mafiose non ci pensano due volte ad accaparrarsene pezzi consistenti, da nord a sud del Paese. Si stima che le organizzazioni criminali ogni anno portino nelle loro casse dai proventi illegali del gioco d’azzardo circa 5miliardi di euro. Grazie alla grande disponibilità di denaro liquido, aggiornate conoscenze tecnologiche e radicamento nel territorio il crimine organizzato è in grado di offrire servizi al mercato del gioco come nessun altro. Facendo cosa? Ottenendo le concessione, tramite prestanome, di sale bingo i punti scommesse, imposizione ai commercianti di videogiochi truccati e non, inserendosi nel segmento del gioco d’azzardo on-line, riciclare denaro acquistando partite di biglietti vincenti in modo fraudolento, concedere prestiti a giocatori incalliti e gestendo bische e scommesse clandestine di vario genere.

IL CLAN, LE SLOT MACHINE E LA CONCESSIONARIA – Oltre il 9% dei beni sequestrati alle cosche sono agenzie di scommesse e sale giochi. In questi ultimi anni varie inchieste hanno dimostrato la permeabilità del settore agli appetiti della criminalità organizzata. Ultima in ordine di tempo e paradigmatica del binario parallelo mafia-gioco d’azzardo, è proprio l’operazione del 30 novembre scorso coordinato dal pool di Ilda Boccassini che ha messo a nudo una parte degli affari del clan Valle-Lampada e le collusioni a livello politico giudiziario dello stesso clan.

Nelle 800 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip di Milano Giuseppe Gennari, una parte consistente è dedicata al giro delle Slot Machine. Un’ombra che cade sull’AAMS, l’ente del Ministero dell’Economia che gestisce giochi e scommesse, promuovendone l’attività, e sulle società concessionarie che dovrebbero vigilare sulla regolarità delle apparecchiature. Il clan Valle-Lampada, impegnata secondo gli investigatori in attività analoghe anche in Calabria in affari con i Condello, tramite quattro società avevano collocato slot-machine e videopoker in 92 locali di Milano e provincia, per un totale di 347 macchinette. I ricavi, stando alle indagini, si aggirerebbero tra i 25mila e i 50mila euro al giorno, di cui una parte consistente sarebbe dovuta finire nelle casse erariali. Ma il condizionale è d’obbligo, perché le macchinette installate, risultavano fuori norma e al Monopolio di Stato venivano trasmessi dati falsati.

Non solo ci si preoccupava di modificare le schede delle macchine e staccarle così dalla rete che avrebbe permesso il controllo da parte dell’AAMS, ma risultavano difformi anche le dichiarazioni di installazione, presso gli esercenti, alcuni dei quali rimanevano infatti sconosciuti all’ente regolatore e le cui macchine rimaste praticamente anonimo davano origine a incassi occulti. Quando la Polizia Giudiziaria richiede i dati sui movimenti sospetti del gruppo Lampada il funzionario dell’AAMS di Milano comunica agli ufficiali che le «società del gruppo Lampada pochi giorni l’installazione delle apparecchiature comunicano all’AAMS che le stesse non sono più funzionanti. Pertanto l’apparecchio viene scollegato e non vengono conteggiate le giocate». Pratica che, dice il funzionario dell’AAMS «produce alla società un lucro notevole, a fronte di rischi bassissimi, poiché si prevede una sanzione amministrativa di circa mille euro, irrisoria rispetto al guadagno prodotto da una macchinetta non collegata». Secondo i calcoli degli introiti giornalieri, infatti, per pagare un mese di sanzioni, basterebbe un solo giorno. A confermare la pratica di distacco dell’apparecchio e manomissione delle schede è uno degli ex dirigenti della EuroPlay, società riconducibile ai Valle, operante anch’essa nel settore del gioco d’azzardo telematico, che interrogato mette a verbale nomi, numeri e cifre.

Ma non era solo il clan ad agire nell’illegalità, o meglio, quando era ora dei controlli sapeva trovare qualcuno in grado di consigliare, accettare pagamenti in nero e sistemare le cose. Il particolare che emerge dalle indagini riguarda una delle dieci concessionarie dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, la Gamnet Srl, che dovrebbe controllare, ma secondo i magistrati milanesi «non controlla veramente nulla e pensa solo a portare a casa i soldi». Gli inquirenti arrivano a questa conclusione dopo aver accertato la disponibilità di Gamenet a ricevere da Lampada il pagamento di un debito di circa 750mila euro in denaro contante in dodici diverse tranche. Gli stessi Lampada arrivano a ritirare le monetine presso le apparecchiature, intascandosi i guadagni sia di quelle non visibili, sia di quelle visibili all’AAMS, tanto che l’avvocato della famiglia, aveva prefigurato a Lampada di andare in contro all’arresto per appropriazione indebita, stessa conclusione a cui poi effettivamente è arrivata anche la Procura di Milano.

Per altro, secondo l’accusa, il direttore commerciale di Gamenet in Lombardia, Francesco Pugliese, è perfettamente a conoscenza dei trascorsi del clan Valle-Lampada, e anzi, consiglia Giulio Lampada su come riuscire ad aumentare introiti ed evitare i controlli fiscali diretti. Inoltre quei dodici pagamenti ‘cash’, dieci dei quali presso l’appartamento di via Dolci a Milano, quartier generale del clan, uno a Bologna e uno presso la stazione centrale di Milano, «sono il segno più evidente dell’illegalità dell’intera situazione». «In questo quadro – si legge nell’ordinanza – abbiamo un concessionario che è perfettamente a conoscenza del fatto che una delle sue controparti è finito arrestato per associazione mafiosa e usura, che è a conoscenza del fatto che i Lampada proseguono a ritirare monetine non loro senza consegnare nulla e che vanta crediti per due milioni di euro».

Una situazione, scrive il Gip Gennari «che avrebbe dovuto portare il concessionario pubblico a presentare una denuncia e interrompere il rapporto con le società dei Lampada, che invece viene gestita con una serie di pagamenti cash per migliaia di euro». Per gli inquirenti la posizione di Gamenet e dei suoi funzionari andrà sicuramente approfondita.

DALLA MAFIA AL MONOPOLIO DI STATO – Ma quei guadagni non bastano al clan Valle-Lampada, che tentano a loro volta di diventare l’undicesimo concessionario autorizzato dal Monopolio di Stato. Il socio è il politico calabrese arrestato nella stessa operazione Francesco Morelli.

Il boss Giulio Lampada, il direttore commerciale di Gamenet Pugliese e il politico Morelli si impegnano per l’ottenimento dello status di concessionaria per il gruppo Lampada. Intercettazioni telefoniche e servizi di osservazione hanno permesso agli inquirenti di ricostruire dettagliatamente la vicenda e il progetto a cui si è interessato anche Mario Valducci, parlamentare del Pdl (non indagato nella vicenda), per un incontro a Roma presso uno dei funzionari dell’AAMS.

Il clan, avendo bisogno di cospicui finanziamenti per la fidejussione, cerca finanziatori e qui fanno capolino due nomi già conosciuti nelle indagini dell’antimafia di Milano: l’ex assessore provinciale Oliverio e Andrea Pavone, finanziere pugliese, coinvolti entrambi nell’operazione “Infinito”. Il primo è stato assolto nel rito abbreviato, anche se il Pubblico Ministero Alessandra Dolci ha specificato che ci sarebbero elementi per un rinvio per il reato di “traffico di influenze” (cioè la corruzione realizzata con favori e regali invece che con la classica mazzetta), introdotto a livello europeo, ma non ancora recepito in Italia; il secondo invece è ancora sotto processo. Ambedue sono riconducibili al tentativo di scalata della ‘ndrangheta alla società brianzola Perego Strade.

E’ il 2009 e la fitta rete di conoscenze e connivenze messa in campo dal clan Valle-Lampada è impressionante e si arriva anche alla corruzione del maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli, che instilla un altro dubbio nella testa degli inquirenti «Quasi 200 mila euro per il solo Mongelli – scrive il Gip Gennari – sono decisamente troppi. Inoltre Mongelli è in grado di intervenire in favore dei Lampada solo condizionando. a sua volta. altro colleghi direttamente operativi. Insomma. la netta impressione è che Mongelli sia non solo il corrotto. ma anche il collettore attraverso il quale vengono convogliate somme di denaro ad altri pubblici ufficiali».

Fatto sta che le operazioni del luglio 2010 che portano agli arresti di alcuni esponenti della famiglia Valle stroncano il piano, ma, scrive di nuovo il Gip di Milano «si è corso il rischio di vedere a fianco della Snai o altri soggetti simili una banda di mafiosi gestire le scommesse su incarico dello Stato», un rischio sempre altissimo viste le frequenti infiltrazioni nel settore, che denotano una vigilanza dalle maglie troppo larghe e la presenza, scrive ancora Gennari nell’ordinanza, di  «politici compiacenti, che fanno da ponte di collegamento tra la famiglia mafiosa e gli ambienti istituzionali romani».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter