Trenitalia chiude i treni diretti fra gli estremi nord e sud del Paese e fra questi i notturni che per decenni sono stati il cordone ombelicale con la casa natia di chi per lavoro era emigrato al nord.Ora si può volare low cost, viaggiare ad Alta Velocità, ma non si andrà più in treno di notte. A farne le spese sono centinaia di lavoratori, degli 800 addetti ai treni notturni solo 300 pare troveranno una collocazione nellʼazienda di Moretti, per gli altri chissà. Il caso è emblematico dellʼItalia odierna, che fatica a gestire i processi di cambiamento, forse non sa proprio come fare e comunque non può più usare il debito pubblico come lubrificante sociale.
Che il progresso portato dalle macchine più moderne come lʼAirbus o il Frecciarossa possa generare disoccupazione non è una novità, il luddismo ha ormai spento le duecento candeline. La liberalizzazione dei cieli e il drammatico abbassamento dei prezzi dei voli, nonostante lʼaltrettanto drammatico rialzo del prezzo del carburante, hanno marginalizzato negli ultimi quindici anni il treno che in venti ore o più collegava Palermo a Milano. Se prima lʼaereo era solo per i più ricchi, ora è alla portata di tutti, purché acquistino il biglietto con almeno un paio di settimane dʼanticipo. Il treno notturno è molto lento, lascia il viaggiatore in balia di professionisti che lo alleggeriscono del portafogli, lo fa arrivare a destinazione sporco e stropicciato, ma soprattutto è in perdita. Forse la perdita per passeggero supera il prezzo medio del biglietto aereo e lo Stato guadagnerebbe regalando il volo a tutti. Ora che è stata completata lʼAlta Velocità si può andare da Palermo a Milano in “sole” 14 ore, facendo parte del viaggio in Frecciarossa. Da Lamezia Terme con le Frecce si arriva a Milano in meno di 8 ore.
La perdita dʼesercizio non è lʼunico costo, i binari non hanno una capacità infinita e un treno a lunga percorrenza che impiega venti ore occupa una considerevole porzione dellʼinfrastruttura ferroviaria anche di giorno, che può essere meglio usata per altri treni, dai merci che tolgono camion dalle autostrade a quelli per i pendolari. È curioso che si cancellino i treni notturni proprio quando è stato appena ripristinato un servizio diretto Mosca-Berlino-Parigi, che si rivolge ad un pubblico vacanziero in cerca di qualcosa che somiglia ad una nostalgica crociera ferroviaria. La maggioranza dei passeggeri però ha fretta e il treno notturno perde il confronto sia con lʼaereo che con il treno AV, salvo per chi cerca esclusivamente il risparmio, ma attenzione perché questo risparmio avviene a spese del contribuente che finanzia le perdite.
«A spese del contribuente» è una frase retorica che in Italia non ha fin qui mai avuto un vero significato, perché in realtà si è sempre scaricato tutto sul debito. Gli Italiani non hanno mai avuto la sensazione che un servizio che perde 100 euro implichi 100 euro di tasse, perché non ci si può indebitare ulteriormente. Tagliare un servizio che perde 100 euro permette di tagliare di 100 euro le tasse o meglio lʼincremento delle tasse della prossima manovra oppure dà al Governo altri 100 euro per mantenere lʼindicizzazione delle pensioni.
Trenitalia ha il dovere non solo formale di avere un bilancio in pareggio e Moretti ha solo lʼimbarazzo della scelta di come spendere i soldi che risparmierà sopprimendo i treni notturni a lunga percorrenza. Ammodernamento delle linee? Vagoni nuovi? Le nostre ferrovie, tolta la nuova creatura veloce, sono in imbarazzante ritardo rispetto a quelle europee e in particolare al sud la qualità dei servizi è molto bassa.
Non credo che ai contribuenti italiani converrebbe pagare quei famosi 100 euro di tasse in più per girarli a Trenitalia e mantenere i treni notturni, il disagio per la loro abolizione mi sembra limitato. Resta però il problema dellʼoccupazione. In Italia ad ogni cambiamento ci scontriamo con un serio problema occupazionale, così serio che spesso impone di annullare o posporre il cambiamento, ma senza cambiamenti non ci può essere crescita. 500 licenziamenti sono gravi perché le prospettive di un altro lavoro sono basse, soprattutto in questa congiuntura.
Bisognerebbe mantenere i treni notturni per mantenere lʼoccupazione a centinaia di lavoratori? Può darsi, ma questa volta sappiamo che non potremo farlo senza pagare, a credito, perché nessuno ci fa più credito. Se vogliamo che Trenitalia continui a far arrivare loro lo stipendio dovremo pagare più tasse, tagliare qualche prestazione sociale o chiedere a Moretti di rincarare i biglietti o risparmiare su un altro capitolo di spesa. Se però comprerà qualche vagone in meno viaggeremo peggio e probabilmente trasferiremo la disoccupazione a chi fabbrica i vagoni.
È un nodo gordiano che va tagliato. Per la Regione Sicilia che ha un numero spropositato di dipendenti, la pensione dʼanzianità e lʼarticolo 18 sono le risposte forse non sbagliate dallʼinizio, ma sicuramente vecchie e obsolete ai problemi di un mercato del lavoro che quasi non esiste. La differenza fra il sito internet di unʼazienda italiana e quello della sua concorrente estera è lʼassenza della sezione jobs e non capita oggi perché cʼè crisi, è sempre stato così.
Ora che lo Stato non può più oliare con euro presi a prestito gli ingranaggi arrugginiti del mercato del lavoro, non abbiamo altra scelta che cambiarlo. Sarebbe stato meglio, se invece del mercato libero in cui lo Stato non interviene avessimo scelto una soluzione di cultura “europea”, come l’adozione della flexicurity in tempi meno grami, perché comunque necessita di un poʼ di euro lubrificanti.
La politica di destra e di sinistra ha cercato il più possibile di evitare la questione, gli imprenditori si sono arrabattati addossando la flessibilità ai giovani, i peggiori imprenditori con il lavoro nero hanno risolto anche il problema delle tasse. Il sindacato si è inchiodato nellʼopposizione totale al cambiamento, qualcuno che voleva riformare il mercato del lavoro è stato ricompensato con pallottole.
È ora di cambiare, dando lʼaddio ai treni notturni, ma trovando una soluzione non ad hoc per chi perde il lavoro, una soluzione che però sia disponibile anche per chi perde il posto in una piccola azienda, in cui non ci sono 500 disoccupati a fare notizia.