Essere cristiano significa esclusivamente svolgere un’azione caritatevole nei confronti dell’ultimo, dello straniero, del diverso, del debole? È sufficiente un’accoglienza limitata alla dimensione materiale? Basta servire un piatto caldo per comportarci da veri cristiani? Per svolgere appieno il nostro ruolo di testimoni del Vangelo?
Nei giorni scorsi il Santo Padre ha sfatato un’altra serie di luoghi comuni e di false verità che nel tempo si erano cristallizzate nella percezione comune di molti.
Ricevendo in udienza i partecipanti al convegno promosso da Caritas Italiana in occasione del quarantesimo anniversario di fondazione dell’organismo della Conferenza episcopale, il Papa ha spiegato che le Caritas diocesane devono essere come «sentinelle capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione» alle difficoltà delle persone: devono «ascoltare per conoscere» ma anche «per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi» necessita di un aiuto.
Il Santo Padre, rivolgendosi ai responsabili della Caritas, ha detto: «al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica», che è rappresentata dall’importante compito educativo di «assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità. Il distintivo del cristiano – dice il Papa – è che la fede si rende operosa nella carità: ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità».
Benedetto XVI si è rivolto ai rappresentanti delle Caritas diocesane e parrocchiali chiedendo loro di «non desistere mai da questo compito educativo, anche quando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati. È importante che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possono sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti» ed è importante che ciò accada «attraverso i segni concreti» attraverso cui «voi parlate, evangelizzate, educate».
In definitiva il Papa ha indicato la strada senza lasciare adito a dubbi interpretativi: «Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano». Il pensiero allora – ha detto Ratzinger – «non può non andare anche al vasto mondo della migrazione», come pure alle «calamità naturali e guerre che creano situazioni di emergenza».
«L’umanità – ha concluso Benedetto XVI – non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza: la nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza».
In pratica il Papa ha aperto le orecchie alla Caritas ricordando ai suoi animatori il compito per i quali fu fondata per volere di Paolo VI nel 1971 dalla conferenza episcopale italiana come organismo pastorale: offrire, certo, un aiuto concreto e materiale ma anche dare risposte a ciò che Benedetto XVI non si stanca di ripetere ovunque nel mondo: la domanda di fede in Gesù, nel Dio cristiano. In una parola, il Papa ha chiesto alla Caritas di riprendere con forza il suo impegno per l’evangelizzazione.