È all’industria armiera che Linkiesta dedica l’ottava puntata del viaggio nella manifattura italiana. Un comparto, quello della produzione di armi, dove lo Stato svolge un ruolo di primo piano attraverso il controllo di Finmeccania e Fincantieri e che ha risentito decisamente meno di altri settori della crisi mondiale. Segmento produttivo di tutto rispetto, l’industria delle armi genera un giro d’affari attorno a 15 miliardi di euro e dà lavoro a circa 50 mila addetti. Per fornire un quadro sufficientemente chiaro di un settore che non è mai stato oggetto di approfondite analisi, appare innanzitutto utile distinguere tra produzione di armi civili e produzione di armi militari.
Nel primo caso, stando ad una recente indagine condotta dall’Università di Urbino, le imprese produttrici di armi, munizioni e componentistica sono circa quattrocentodieci. Si tratta prevalentemente di imprese di dimensioni medio piccole (se si escludono un paio di realtà medio grandi per le armi e una per le munizioni), molto spesso di origine familiare. Molte di queste hanno sede produttiva in Val Trompia (Brescia), in quello che viene definito il distretto delle fabbriche di armi, dove viene realizzato il 50% circa del fatturato di settore. Gli occupati sono poco meno di 11 mila 500, di cui 3 mila 349 addetti nella produzione di armi e munizioni, 3 mila 221 addetti nelle imprese del sistema di fornitura e 4mila 788 addetti nelle imprese dei settori ausiliari.
Con oltre 600 mila pezzi messi in commercio, l’Italia è in vetta alla classifica europea dei produttori di armi civili. In particolare siamo il maggiore produttore di armi lunghe (con 445 mila 553 pezzi) e il terzo di armi corte (166 mila 855 unità), superati da Austria e Germania. Secondo le rilevazioni statistiche dell’Onu sul commercio mondiale di armi, il nostro Paese, anche nel 2010, è risultato al primo posto nelle esportazioni mondiali di armi da fuoco (244,37 milioni di dollari), davanti a Brasile, Stati Uniti, Germania e Turchia. In base invece all’ultimo rapporto del Small Arms Survey, l’Italia è il secondo paese esportatore di armi leggere nel mondo, alle spalle degli Stati Uniti e davanti a Germania, Austria, Brasile, Russia e Cina.
Tra il 2007 e il 2010 la produzione di armi civili è diminuita complessivamente del 9%, con un calo imputabile soprattutto alle armi lunghe. Tale andamento è da porre in relazione sia al ridimensionamento della domanda nazionale sia, in misura proporzionalmente maggiore, alla forte riduzione della quota assorbita dal mercato americano. In controtendenza, se pure su volumi inferiori, si è manifestato l’andamento della produzione di armi corte, che hanno visto incrementati i quantitativi prodotti del 44% dal 2007 al 2010.
Sempre stando ai dati forniti dall’Università di Urbino, il valore industriale della produzione di armi civili è risultato nel 2010 di poco inferiore a 270 milioni di euro, di cui l’89,8% (92,1% a volumi) destinato ai mercati esteri, in particolare a quelli nord-americano (43%) ed europeo (27%). Per quanto riguarda la produzione di munizioni, secondo i dati forniti dalle principali imprese aderenti all’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni (Anpam), i volumi prodotti nel 2010 sono stati pari a 902 milioni di unità per un complessivo valore della produzione di 219 milioni di euro, di cui poco meno del 60% destinato all’estero. Nel complesso dunque, la produzione di armi, munizioni e componenti ad uso civile ha raggiunto nel 2010 un valore di circa 490 milioni di euro.
Un comparto, quello dell’industria di armi civili, che, nonostante la crisi mondiale morda sempre più forte, sta mostrando segnali di crescita: nei primi nove mesi del 2011 è stato infatti registrato un aumento dei volumi attorno al 2% rispetto allo stesso periodo del 2010. Ciò grazie alla elevata qualità del prodotti, alle forti specializzazione e vocazione all’export delle imprese di settore, al fatto che sono bassissime le quantità di importazioni di materie prime; ma soprattutto in virtù del fatto che il comparto è riuscito a coniugare eccellenza e tradizione “artigianale” con avanguardia tecnologica. «Siamo un settore solido, a evasione zero – afferma Nicola Perrotti, presidente dell’Anpam – capace di affrontare a testa alta i competitor stranieri come pochissimi altri possono fare in Italia. Il nostro sviluppo potrebbe essere uno dei volani di ripresa dell’industria italiana, ma è messo a rischio ogni giorno dalla burocrazia e dalla confusione legislativa».
Beretta Spa, da quasi 500 anni attiva nel settore, rappresenta uno dei “campioni” del Made in Italy dell’industria armiera civile. Le armi prodotte dall’azienda di Gardone Valtrompia – che sviluppa un fatturato attorno a 150 milioni di euro – sono in dotazione alle Forze armate e alle Forze di Polizia italiane e di innumerevoli altri paesi. Costituiscono alcuni esempi del successo internazionale di Beretta la fornitura del modello Px4 Storm alla polizia di frontiera canadese (Canada Borders Services Agency), l’acquisizione della Beretta serie 92 da parte delle Forze armate e dalle Polizie di Stato Americane (dal 1985), la scelta di una soluzione simile operata da parte della “Gendarmerie Nationale” e de “L’Armée de l’Air” (Francia), la fornitura di 45.000 pistole 92FS alla Guardia Civil (Spagna), Nel corso dello stesso anno è stata anche avviata la fornitura nel 2002 di circa 40 mila pistole serie 92 alla Polizia Nazionale turca, la fornitura, nel 2005, di 18 mila 744 pistole della serie 92 all’US Air Force, la vittoria, nel 2009, del più grande contratto militare di pistole destinate all’US Army dal Secondo Conflitto Mondiale per la fornitura totale di 450 mila modello 92FS.
Il cuore della produzione italiana di armi è però rappresentato dal settore militare, che sviluppa un volume di ricavi pari a circa 15 miliardi e impiega almeno 40 mila addetti. Più dell’80% del fatturato viene realizzato da Finmeccanica S.p.A, holding industriale controllata al 30,2% dallo Stato attraverso il Ministero dell’Economia e posizionata nella classifica 2011 stilata dallo “Stockholm International Peace Research Institute” all’ottavo posto fra le più grandi società produttrici di armamenti nel mondo. Finmeccanica, ora alle prese con non indifferenti problemi di bilancio – ha chiuso i primi 9 mesi con oltre 320 milioni di perdite – è attiva nella progettazione, sviluppo e produzione di sistemi missilistici, siluri, artiglieria navale e veicoli corazzati ed opera attraverso una galassia di società di cui detiene il pieno controllo o nelle quali ha una partecipazione.
Con una quota del 25%, è presente nel consorzio Mbda, prima realtà europea nel campo dei sistemi missilistici; attraverso Oto Melara produce mezzi corazzati e artiglieria terrestre e navale, mentre con Wass vanta una leadership mondiale nella produzione di siluri. Finmeccanica è inoltre, attraverso la controllata AgustaWestland, tra i protagonisti del mercato elicotteristico mondiale. Se Finmeccania continua a rimanere solidamente, pur con mille contraddizioni, in mani italiane, non sono poche le imprese del settore armiero che negli anni sono passate sotto il controllo di realtà finanziarie o industriali estere. È il caso, ad esempio, di Alcatel Alenia Space, Oerlinkon Contraves, Mbda, Avio, Simmel Difesa e di Microtecnica, storica azienda aeronautica torinese, che, dopo essere passata sotto il controllo del fondo di private equity Stirling Square, è stata recentemente acquisita da Goodrich Corporation, società statunitense di produzione aerospaziale.
Come l’industria di armi civile, anche quella militare destina la gran parte delle proprie produzioni all’estero. Della spiccata internazionalizzazione delle imprese attive nel comparto delle armi militari, si trova conferma nel rapporto sull’export italiano, che, come previsto dalle legge 185/90, deve essere redatto ogni anno dalla Presidenza del Consiglio. Dal rapporto emerge come nel corso del 2010 sono state rilasciate complessivamente, da parte del Ministero degli Affari Esteri, 2 mila 210 autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento per un valore pari a 2,9 miliardi di euro (4,9 nel 2009) a cui vanno aggiunti 345 milioni (erano 1,8 miliardi nel 2009) per i Programmi Intergovernativi. Rispetto al 2009 si è avuto dunque un decremento significativo, pari al 40,86%, del valore delle autorizzazioni alle esportazioni, al netto delle autorizzazioni per i programmi intergovernativi, contro l’aumento (61,32%) dell’anno precedente.
Secondo quanto riportato nel rapporto della Presidenza del Consiglio, «il minor livello di autorizzazioni rilasciate, rispetto al 2009, va attribuito, da un lato al progressivo esaurimento di alcuni programmi governativi europei di cooperazione e dall’altro ad un minor numero di commesse internazionali correlabile alla difficile congiuntura economica». Fra gli esportatori, nel 2010, ha primeggiato, come volume finanziario, l’Alenia Aeronautica con il 17,66% , pari a circa 574,15 milioni di euro, seguita da Agusta S.p.A. con il 16,65%, pari a circa 541,4 milioni di euro, Whitehead Alenia S.S. S.p.A. con l’8,22% (267,2 milioni di euro), Fincantieri S.p.A. con il 6,19% (201,41 milioni di euro), MBDA Italia S.p.A. con il 5,79%, (88,32 milioni di euro), Oto Melara S.p.A. con il 5,77%, (187,53 milioni di euro).
Per quanto attiene, invece, ai Paesi principali destinatari delle autorizzazioni alle esportazioni definitive di prodotti per la difesa (non considerando le operazioni da effettuare nell’ambito dei Programmi intergovernativi, per lo più destinate a Paesi Europei) i principali acquirenti sono stati gli Emirati Arabi Uniti, che si sono attestati al 14,67%, pari a circa 477,07 milioni di euro, seguiti dall’Arabia Saudita con il 13,29% (432,2 milioni di euro), dall’Algeria con il 10,55% (343,09 milioni di euro), dagli Stati Uniti con il 9,27% (301,35 milioni di euro), dal Regno Unito con il 6,15% (199,9 milioni di euro) e dall’India con il 4,54% (147,5 milioni di euro). I Paesi della Nato/Ue, verso i quali sono state emesse autorizzazioni, corrispondenti a circa il 33,69% (46,81% nel 2009) del totale, per un valore di circa 979,27 (2.300,27) milioni di euro, si sono confermati tra i nostri tradizionali Paesi partner, seppur con un netto decremento rispetto al 2009. I maggiori acquirenti dei Paesi Ue/Nato sono stati Stati Uniti d’America, Regno Unito e Germania.
Per quanto riguarda, invece, le altre aree geopolitiche, l’Africa Settentrionale e il Vicino Medio Oriente hanno rappresentato il 49,07% del valore delle autorizzazioni emesse, l’America Settentrionale il 10,39% e l’Asia il 10,21%. Degno di nota è il fatto che le autorizzazioni all’esportazione dirette verso i Paesi Asiatici (Estremo Oriente) hanno registrato un aumento rispetto al 2009, dovuto principalmente ad una sostenuta dinamica di esportazioni verso India e Singapore. Per quanto riguarda l’America Centro Meridionale, le autorizzazioni di operazioni definitive verso i Paesi latino-americani sono diminuite a 62,2 milioni di euro (100,26 nel 2009), anche se non in termini percentuali al 2,14% (2,04% nel 2009): il principale acquirente è stato il Brasile.
La presenza dell’industria italiana per la difesa in alcuni mercati del Vicino e soprattutto del Medio Oriente si è sostanzialmente rafforzata: il valore delle operazioni autorizzate verso i Paesi dell’area di 1,4 miliardi di euro è risultato inferiore rispetto a quello registrato nel 2009 (1,9 miliardi), ma ha comportato una crescita dell’area al 49,07% del totale contro il 39,46% del 2009. In tale area Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Algeria hanno rappresentato i più importanti partners commerciali. In riferimento ai Paesi dell’Africa Centrale e Meridionale, il valore complessivo delle autorizzazioni rilasciate nel 2010 è stato pari a 25 milioni di euro, pari allo 0,86% del totale e sul valore hanno pesato in particolare le fornitura allo Zambia e al Kenia.
Il rapporto sull’export stilato dalla Presidenza del Consiglio rimanda poi ad una relazione del Ministero dell’Economia per avere un quadro sull’attività svolta dagli istituti di credito operanti sul territorio italiano per le transazioni bancarie in materia di esportazione/importazione e transito di materiali di armamento. Dalla relazione si ricava il dato che nel 2010 sono state autorizzate 1.602 (1.628 nel 2009) transazioni bancarie, il cui valore complessivo è stato di circa 3.586 milioni di euro, in calo di 509 milioni di euro rispetto al 2009. BNP Paribas e Deutsche Bank si sono spartite più della metà delle operazioni autorizzate: BNP Paribas succursale Italia ha gestito oltre 862 milioni di euro (pari al 28,3%) a cui vanno sommati i quasi 98 milioni di euro della BNL (il 3,2%), mentre Deutsche Bank ha gestito 836 milioni di euro (il 27,4%).
A fronte di un decremento deciso delle autorizzazioni all’export di armi, le due banche hanno invece incrementato il proprio volume di affari rispetto al 2009: due anni fa il gruppo BNP Paribas-Bnl aveva infatti assunto operazioni per 904 milioni di euro (pari al 23,8%) e Deutsche Bank, pur rilevando operazioni per oltre 900 milioni di euro, aveva ricoperto il 23,7%. Come rilevato da Giorgio Beretta di Unimondo «al di là delle cifre, ciò che solleva più di un interrogativo è la quasi totale mancanza da parte delle due banche di specifiche direttive in materia di servizi all’industria militare e all’esportazione di armamenti. Mentre la quasi totalità degli istituti di credito italiani, a seguito di puntuali domande di trasparenza sollevate da diverse campagne di pressione, già da vari anni ha messo in atto precise direttive per definire e limitare la propria partecipazione, il finanziamento e l’offerta di servizi all’industria militare, Bnp Paribas e Deutsche Bank paiono mostrare scarsa attenzione al tema».
Sul versante degli istituti di crediti italiani, Unicredit ha visto, per il terzo anno consecutivo, aumentare il valore delle operazioni assunte, passato da poco più di 122,9 milioni di euro del 2008 a ben 297 milioni di euro nel 2010 (pari al 9,8% del totale). Il Banco di Brescia, storica banca di riferimento per i produttori del distretto della Val Trompia, ha invece ridotto sensibilmente il volume di operazioni gestite, il cui valore è passato da 1,2 miliardi del 2009 a 168 milioni. Ciò anche a causa della contrazione degli ordinativi da parte dei paesi occidentali ai quali, con una precisa policy, il gruppo UBI Banca, di cui Banco di Brescia è parte, restringe la propria operatività nel settore degli armamenti. «Una buona notizia – ha sottolineato nei mesi scorsi Giorgio Beretta – è sicuramente il quasi azzeramento delle operazioni assunte dal gruppo IntesaSanpaolo: si tratta infatti di solo 5 operazioni del valore di poco più 952mila euro».
Un fatto che si spiega con la policy nel settore armamenti, definita prontamente nel luglio 2007 – cioè a pochi mesi dalla nascita del gruppo – che stabilisce «la sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma, pur consentite dalla legge 185/90». Una scelta socialmente responsabile, quella assunta da Intesa Sanpaolo, che si richiama al disvalore etico rappresentato dalla produzione di armi, in particolare di quelle militari. Di quanto sia eticamente non apprezzabile fabbricare armi si è discusso e si continuerà a discutere. Rimane però il fatto che l’industria armiera italiana esprime invidiabili livelli di specializzazione produttiva, alta qualità dei manufatti, grande know-how, tecnologia d’avanguardia e tali fattori ne fatto uno dei comparti di riferimento della manifattura italiana.
Valori delle esportazioniValore autorizzazione all’export per impresa
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