Mentre l’Iran lavora all’atomica, Fiat gli vende i camion

Mentre l'Iran lavora all'atomica, Fiat gli vende i camion

Oltre 500 camion per l’Iran. Questa sarà un Natale positivo per Iveco e Fiat Industrial, secondo i documenti sugli ordinativi in possesso de Linkiesta. I rapporti commerciali fra la casa guidata da Sergio Marchionne e Teheran hanno subito una brusca spinta in avanti nelle ultime settimane. Fra Iveco Eurocargo e Trakker, la società di veicoli commerciali sta lavorando a pieno regime per poter onorare gli ordinativi che sono arrivati. Il tutto mentre la diplomazia mondiale sta cercando di evitare un’escalation della situazione iraniana, dato che il sospetto che il regime di Mahmud Ahmadinejad sia sul punto di creare un’arma nucleare si fa sempre più forte. Secondo le fonti de Linkiesta, Iveco sta spingendo affinché i camion siano prodotti e inviati, in kit pronti da assemblare, in Iran entro la fine dell’anno. Contattata da Linkiesta, la casa non ha risposto.

Le sanzioni che hanno colpito Teheran, rafforzate anche la settimana scorsa, non hanno ancora impattato direttamente sugli affari di Fiat. Tuttavia, date le tensioni intorno all’Iran, è possibile che un nuovo giro di vite possa essere compiuto nelle prossime settimane mentre la tensione con Israele continua a crescere. Quello che è certo è che il Lingotto sta chiedendo un’accelerazione nella produzione. Nello specifico, come spiegano fonti interne al costruttore torinese, vorrebbero che tutti i truck siano conclusi e spediti dal centro logistico di Villanova entro il 20 dicembre in direzione Iran.

Nel complesso sarebbero 516 i camion venduti dal Lingotto a Teheran negli ultimi due mesi. Due i modelli in particolare. 324 sono Iveco Trakker, il mezzo pesante per eccellenza della casa italiana. Gli altri 192 sono invece Iveco Eurocargo, un truck di media taglia che può essere venduto (e assemblato) in diverse configurazioni. In effetti, sono questi i prodotti che vanno per la maggiore nei Paesi nordafricani e mediorientali, nei quali le domanda di mezzi pesanti si è amplificata dopo la Primavera araba. Elevate sono le commesse in Libia, Marocco e, appunto, Iran. Fin qui, nulla di male dal punto di vista commerciale, dato che il mercato iraniano è uno dei più sviluppati dell’area. Qualche scrupolo in più, invece, bisognerebbe forse farselo sul piano strategico, specie considerando il metodo di vendita del prodotto.

Iveco, infatti, non vende il prodotto finito, bensì da costruire. La configurazione predefinita per i container destinati all’Iran è la Complete knock down (Ckd). Con tale assetto un cliente riceve il prodotto industriale pronto da assemblare. I container destinati a Marocco, Libia e Iran sono di questo tipo, più semplice da essere trasferito se si hanno le potenzialità di aver una linea di assemblaggio in loco. Diversa è invece la configurazione Complete build-up unit (Cbu), cioè il prodotto finito e pronto all’utilizzo. Ancora differente è il modello usato per spedire i mezzi nel Sud America, dato che i container vengono caricati coi singoli pezzi, non in kit pronto all’assemblaggio. Più conveniente per Teheran, più conveniente per Fiat, la struttura dettata dal Ckd permette una maggiore personalizzazione da parte del cliente finale, che può utilizzare quanto prima il suo prodotto nella misura che preferisce. Così è stato scelto di fare anche per Teheran.

Del resto, la presenza di Fiat in Iran non è nuova. Nel 2005 il Lingotto è rientrato nel Paese dopo un’assenza che durava dal 1979. Nello stabilimento di Saveh, circa 130 chilometri a sud-ovest di Teheran, si produce la linea della world car Palio, nelle sue diverse versioni: due volumi, berlina, station wagon e pick up. Oltre a questo modello, anche Multipla e Doblò sono stati dislocati in Iran, nelle versioni a metano e benzina. Questo è il frutto dell’alleanza della casa torinese con l’iraniana Pars Industrial Development Foundation (Pidf), che fu siglato con grande risonanza quasi sette anni fa. Sembrava che tutto girasse per il verso giusto e il New York Times, sempre molto restio nei confronti di Teheran, sottolineava che questo passo bilaterale fra Torino e Teheran poteva essere letto in via positiva, come segnale distensivo. Eppure, già un anno fa i rapporti fra Lingotto e Iran erano saliti di nuovo agli onori della cronaca sul Wall Street Journal, proprio per una serie di forniture di truck che avevano indispettito diversi ambienti a Washington.

L’azienda, tramite il portavoce Maurizio Pignata, si era difesa dicendo che «i veicoli sono venduti per fini civili. Noi non possiamo controllare gli usi diversi che se ne possono fare. In Cina i nostri veicoli vengono usati per le esecuzioni pubbliche dei prigionieri. Quindi non possiamo sapere se i nostri veicoli sono usati in Iran per fini militari o repressivi». Il malcontento americano si era però fatto sentire. E anche in questo caso, fonti diplomatiche contattate da Linkiesta spiegano che «è quantomeno fuori luogo un atteggiamento di questo genere, considerato il difficile scenario internazionale intorno all’Iran». Vendere truck al regime di Ahmadinejad sarà anche un buon affare per Fiat ma, alla luce del ritiro degli ambasciatori di diversi Paesi, come Regno Unito, Francia e Italia, non è forse il migliore a livello di tempistica.  

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