Pizza ConnectionNdrangheta, quando una talpa rovina le indagini

Ndrangheta, quando una talpa rovina le indagini

«Ci sono lavori in corso, non solo a Catanzaro ma anche a Milano – dice Ilda Boccassini nella conferenza stampa congiunta per illustrare l’operazione di ieri – di talpe probabilmente ce n’è stata più di una». Ritorna dopo poco più di un anno la questione “talpe” all’interno delle istituzioni, anche milanesi, che avrebbero rivelato informazioni su indagini in corso agli esponenti della criminalità organizzata.

Boccassini si mantiene, come sempre, dietro al massimo riserbo, ma andando a ritroso nel tempo e nelle inchieste firmate dallo stesso Procuratore aggiunto di Milano, di talpe ne troviamo. Alcune con un nome, altre rimaste senza. Ed è proprio su di loro, quelli senza nome, che probabilmente le inchieste di Ilda Boccassini e del suo pool di magistrati potrebbero arrivare ad una svolta.

Proprio nell’inchiesta Infinito-Crimine, scivolata sull’asse Reggio Calabria-Milano che il 13 luglio 2010 portò all’arresto di oltre 300 persone, fanno capolino due storie di talpe. Una era a Reggio Calabria, e riguardava tale Giovanni Zumbo, il quale avrebbe fornito a famiglie di ‘ndrangheta, in particolare Ficara e Pelle, notizie riservate sulle indagini condotte dalle procure di Reggio Calabria e Milano.

Zumbo, all’apparenza un semplice commercialista reggino, dimostra invece di conoscere per filo e per segno la predisposizione di intercettazioni, riprese, servizi di sorveglianza ordinati dalle procure nei confronti degli esponenti delle cosche. In più di una intercettazione dell’inchiesta del luglio 2010, Zumbo asserisce di essere organico ai servizi segreti, e i magistrati lo marchiano come affidabile. Non per nulla gli stessi ‘ndranghetisti definiscono Zumbo «una potenza», che incontra «pezzi grossi a Roma in giacca e cravatta». Millanterie? A quanto pare no, perché lo stesso Zumbo scova e fa rimuovere microspie e le informazioni che gira ai mafiosi risultano spesso precise e circostanziate.

L’altra storia di talpe smascherata dall’operazione del luglio 2010, è al Nord. Ed è quella interna ad alcuni appartenenti ai Carabinieri della stazione di Rho, alle porte di Milano. Si tratta del caso dei quattro carabinieri Berlingieri, Policano, Venuto e Fiscarelli che, in concorso, avrebbero fornito notizie alle cosche su indagini, coperture, depistaggi e omesse denunce in cambio di denaro.

Fiscarelli e Policano sono stati condannati dal gup di Milano Simone Luerti per corruzione e favoreggiamento. Venuto è stato assolto dall’accusa di falso, ma la sua posizione è ancora al vaglio della magistratura per il reato di corruzione. Berlingieri, invece, ribattezzato dai malavitosi “Michele ‘o sbirro”, è sotto processo nel rito ordinario del processo “Infinito”, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L’episodio è stato citato anche nella requisitoria che il pubblico ministero, Alessandra Dolci, ha tenuto nel corso del rito abbreviato del processo scaturito dagli arresti del luglio 2010 e conclusosi lo scorso 25 novembre, rilevando la facilità con cui gli indagati vengono a sapere di indagini a loro carico, con tanto di denominazione delle indagini e dei nuclei investigativi che vi lavoravano.

Sempre tra le operazioni dell’antimafia milanese del 2010, spuntano poi le imbeccate di alcune polizie municipali ai malavitosi, o i consigli di un maresciallo alle porte di Milano che suggerisce a uno dei boss di «non girare sulla sua BMW»  (dove effettivamente i carabinieri hanno installato una cimice). L’Espresso raccontò addirittura di un emissario della cosiddetta P3 che si presentò dal procuratore aggiunto di Milano, Nicola Cerrato, chiedendo (invano) di incontrare il pm Ilda Boccassini per sapere se ci fossere indagini a carico di alcuni politici del Pdl lombardo. Tra le pieghe della stessa inchiesta si parlò anche di un investigatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano che avrebbe passato notizie ai clan. Una talpa che ancora oggi è senza nome, ma che probabilmente, viste le dichiarazioni di questa mattina di Ilda Boccassini presto avrà anche un volto.

La vicenda che ieri ha visto finire in manette il giudice Vincenzo Giglio, presidente della sezione “Misure di prevenzione” del tribunale di Reggio Calabria e il giudice del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, su mandato di Boccassini, apre un nuovo squarcio investigativo sulla questione ‘talpe’. Non è un caso che rispunti, a poco più di un anno di distanza, il nome di Giovanni Zumbo che mostra una certa familiarità e confidenza con lo stesso Giglio, il quale, scrivono i magistrati milanesi «viene esplicitamente indicato come fonte di notizie relativa all’indagine ‘Tenacia’ (che confluirà poi in quella denominato ‘Infinito’ del 13 luglio 2010, nda), come personaggio avvicinabile per ottenere favori relativamente a procedimenti di prevenzione, come personaggio notoriamente corrotto».

Lo stesso Zumbo è stato infatti nominato da Giglio anche come amministratore di alcuni beni di cui il magistrato aveva predisposto il sequestro preventivo, incarico, nota di nuovo il Gip Giuseppe Gennari di Milano «fiduciario che presuppone una relazione di collaborazione continuativa tale da implicare rapporti diretti».

Firmando la cattura di Zumbo i giudici sostanzialmente affermavano che lo stesso commercialista reggino fosse «incaricato da qualcuno, interessato a entrare in rapporto con i boss a costo di vanificare le più importanti indagini contro la ‘ndrangheta». Giuseppe Pignatone, procuratore di Reggio Calabria definì questo qualcuno “Il puparo”, ma il nome di questo uomo in divisa è ancora un mistero. Una parte dei complici eccellenti della ‘ndrangheta, con l’operazione di ieri della Boccassini, sono stati resi noti. Ma per Ilda la rossa altre talpe, anche a Milano, sono ancora da stanare. E non è escluso che siano – di nuovo – nomi eccellenti.

Di quest’ultima operazione che ha portato all’arresto di nove persone tra cui un giudice, un politico e un appartenente alla Guardia di Finanza, rimane lo sconcerto, spiega sempre Boccassini, «per una campagna politica per ingraziarsi l’antimafia, che non esiste, che è solo parlata». Non sono un mistero le adesioni del magistrato Giglio ad alcune campagne antimafia di questi anni.

Inoltre, non fosse ancora abbastanza, tra le carte spunta anche il Vaticano: il boss Giulio Lampada, come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, è stato insignito, con nomina di Tarcisio Bertone, Cavaliere di San Silvestro dal Vaticano. Una piovra che, come sempre, continua a non avere un colore, a essere «trasversale – aggiunge Boccassini – più di Cosa Nostra che odiava i comunisti e sponsorizzava la DC, salvo la parentesi di appoggio al PSI».

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