Le teste rasate dei “ragazzi” di CasaPound ai riflettori sono abituate (negli anni scorsi: protagonisti indiscussi dei reportage di Lucignolo su ItaliaUno, indagati per violenza da Chi l’ha visto? Su RaiTre, in collegamento con InOnda dal Mausoleo coi nomi dei loro miti), eppure stavolta la cronaca le ha catapultate su un palcoscenico diverso, fin troppo scomodo e pericoloso.
Gianluca Casseri, l’autore suicida della strage di Firenze, dove ha ucciso Samb Modou e Diop Mor, duesenegalesi ed altre tre persone sono rimaste gravemente ferite, era un simpatizzante del movimento di estrema destra, ne frequentava gli incontri pubblici ed aveva redatto alcuni articoli per il sito della sezione locale (prontamente rimossi dal web, all’indomani dell’eccidio). Casseri, c’è da dire, era probabilmente uno squilibrato: in cura farmacologica per depressione e diabete, con le idee perse tra mistica dell’arianesimo, fumettistica fantasy, retorica occidentalista e incontri del terzo tipo. Bazzicava il Circolo Agogè di Pistoia, in cui aveva presentato i suoi “Le Chiavi del caos” e “I protocolli del savio di Alessandria”, e dove si dilettava a sfogliare i testi della libreria in dotazione ai camerati toscani senza dare troppa confidenza agli avventori della sede: lui, cinquantenne taciturno ed introverso, non aveva grande feeling coi ragazzi più giovani.
Eppure, a poche ore dalla strage, in tanti hanno additato Casa Pound Italia come l’incubatrice di uno pensiero xenofobo e violento che da anni infesta il dibattito politico nazionale ed anche europeo. Pape Diaw, uno dei portavoce della comunità senegalese fiorentina, si è spinto oltre la semplice condanna: «A tutte le forze politiche chiediamo di abbassare la tensione sociale. Chiediamo anche un segnale concreto, cioè la chiusura di Casa Pound in tutto il Paese, a cominciare dalla Toscana». Il primo cittadino Renzi ha risposto: «Non è chiudendo Casa Pound che si risolvono i problemi»; eppure non si è fatto attendere il coro di coloro che volevano l’esclusione dei militanti neofascisti dalla scena politica. A tutti ha replicato Pietrangelo Buttafuoco, saggista ed intellettuale d’area: «È una questione di cameramen, non di camerati. CasaPound è vittima di un riflesso condizionato, di chi ha interesse ad associare la camicia nera alle mascelle quadrate ed alle zucche vuote. È un intreccio pericoloso. Ma che fa molto comodo».
Tuttavia il movimento ormai nazionale di Casa Pound merita certamente attenzione, a partire dal logo: una tartaruga ottagonale (il simbolismo è presto decrittato: l’animale lento è uno dei pochi a portarsi dietro la propria dimora, e quella sulla casa è una delle storiche battaglie di Casa Pound, e l’otto – sebbene sia, secondo una certa numerologia di stampo antisemita, una cifra altamente evocativa – per loro rappresenta solo la «convergenza di forze direzionali verso un punto unico, il reintegrarsi in una dimensione di purificazione e pienezza spirituale»). Impegnati nel sociale, si danno pure allo sport,: paracadutismo (Pietro Taricone, attore ex Grande Fratello scomparso in seguito ad un incidente, era un loro aperto estimatore: «CasaPound mi piace moltissimo, mi piace il mutuo sociale, mi affascina l’idea del ’fare’ a prescindere dalle ideologie»), rugby, pugilato, escursionismo, arrampicata e pallanuoto.
«La ricreazione è finita». Hanno fieramente adottato la definizione che un giornale diede di loro, sono i “fascisti del terzo millennio”, fanti della testuggine movimentista del gruppo nato dall’intuizione di Gianluca Iannone, oggi alla guida del movimento, oltre che animatore della web radio Radio Bandiera Nera e del pub Cutty Sark (storico ritrovo della destra capitolina) e leader degli Zeta Zero Alfa, una band autodefinitasi “non conforme”. «Fini, parlando del fascismo come del male assoluto, ha fatto dichiarazioni di una gravità immensa, da irresponsabile. Il fascismo è stato l’esperienza più bella della storia d’Italia», ebbe a dire nel 2008.
La sede di Casa Pound a Roma, un’Osa, occupazione a scopo abitativo
Dal 2003, anno di fondazione e della prima storica occupazione a scopo abitativo nell’ambito di destra, la partecipazione giovanile è cresciuta tanto quanto l’interesse dei media intorno alle battaglie dei camerati, specie dopo l’assalto alla “bolla di Mediaset”, una dependance della chiacchierata Casa del Grande Fratello. A voler essere precisi, il gruppo esiste da molto tempo prima e militava in un’esperienza affine: “Casa Montag”, nella periferia romana. Da qualche anno, però, ci sono anche i ragazzi del Blocco Studentesco – l’organizzazione che racimola consensi ed infiamma il dibattito nei licei italiani. Hanno presentato liste in tutta Italia, isole comprese, alle scorse elezioni del Consiglio Nazionale Studenti Universitari, sono presenti nei consigli d’istituto e nelle consulte provinciali, si scagliano contro i collettivi di sinistra che vorrebbero tenerli alla porta in virtù delle radici antifasciste della nostra Carta Costituzionale ed hanno scatenato le reazioni indignate del gruppo de il manifesto – testata contro i cui redattori dicono che «sono tutti bugiardi».
«Ad esempio un certo Saverio Ferrari», dice Iannone, «una specie di ex terrorista che ci vuole male, è arrivato addirittura a inventarsi il testo di una mail che sarebbe stata indirizzata a tutti i responsabili locali per invitarli a tacere sul fatto che Gianluca Casseri fosse un simpatizzante di Cpi. Una circostanza non solo falsa, ma assurda, visto che il comunicato di CasaPound che spiegava i rapporti di Casseri col movimento è precedente all’uscita in agenzia della notizia da altre fonti».
Fin qui nulla di nuovo, la solita guerra di bande. Anche a sinistra si erano divisi sulla divisa da indossare: quella da irreprensibili “antifa” o quella da neoliberali pluralisti? Il sindaco di Bari ci è andato giù duro: «Non ho ancora letto un comunicato più o meno di questo tenore: “Siamo costernati da quanto avvenuto, siamo vicini alle famiglie di Mor Dipo e Moudu Samb. La circostanza che l’autore della strage sia un frequentatore di una delle nostre sedi e che abbia condiviso alcune delle nostre attività, ci indurrà nei prossimi giorni ad una profonda riflessione sui rischi che comporta il riferimento politico al fascismo ed al “mussolinismo” nonché a politiche di contenimento dell’immigrazione motivate dalla protezione esclusiva dei diritti degli italiani”».
Il leader Iannone non l’ha presa affatto bene: «A Bari ci sono state delle pressioni di stampo mafioso verso esponenti della comunità senegalese cui è stato imposto di fare un passo indietro rispetto all’apertura nei nostri confronti, tieni presente che il Console ci ha pure regalato la bandiera. Il sindaco Emiliano ed il suo assessore che suonava coi Folkabbestia (si riferisce a Fabio Losito, esponente della storica band “frikkettona”, ndr) invece vogliono innescare uno scontro razziale per distrarre il popolo da questo governo di assassini e di banchieri e distogliere l’attenzione dalla mala-gestione della città di Bari. Ci criminalizzano come fanno quei sedicenti democratici di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli. Sono sempre alla ricerca di un capro espiatorio». Ancora: «Fino a pochi anni fa militava nel nostro movimento il ragazzo di colore, congolese di origine, nipote del deputato piddino Jean Leonard Touadi che ha fatto una figuraccia in televisione sostenendo che fossimo per la supremazia della razza bianca». Si ritengono invece gli eredi naturali della tradizione futurista di Boccioni, Balla e Marinetti, fossero ancora vivi – azzardano – ballerebbero ai loro concerti e volantinerebbero con loro, contro i poteri forti e le baronie.
Gianluca Iannone, leader di Casa Pound
«Mille cuori, una bandiera». Spiegano che si battono «da avanguardisti della militanza e arditi della coerenza». Si incontrano ai concerti e familiarizzano sotto i camerateschi colpi di cintura scambiati al ritmo della “Cinghiamattanza” (video ufficiale sul canale YouTube), sorta di tormentone superomistico e macabro: «Primo mi sfilo la cinghia, due inizia la danza, tre prendo bene la mira, quattro cinghiamattanza». «Ma questo è solo un aspetto ludico, altro che rito di iniziazione – s’affretta a smentire Iannonne, raggiunto telefonicamente da Linkiesta – nessuno però scrive che noi facciamo volontariato internazionale nella giungla birmana e nella polveriera kosovara, che ci rechiamo negli orfanotrofi e costruiamo laboratori artigianali».
Manco a dirlo: «Se uno fosse razzista oppure odiasse i negri, come tutti dicono di noi, perché dovrebbe fare tutte queste attività? Sono avvelenato perché da anni provo a ribattere alle stesse accuse e mi trovo costretto a lanciare campagne per smentire i luoghi comuni e le accuse infamanti su di noi». Quanto alla violenza urbana messa in atto dai militanti della Tartaruga, a capovolgere le accuse ci mettono un attimo: a sentir loro, sono fin troppo spesso vittime di aggressioni, devastazioni delle sedi e incendi di auto, addirittura la gambizzazione di un dirigente nella scorsa primavera. «Che cosa dobbiamo fare per difenderci, se siamo noi quelli che subiamo tutto, persino essere pestati come l’uva?». Da giorni il loro responsabile nel IV Municipio di Roma, Alberto Palladino detto “Zippo”, è sotto custodia in carcere con l’accusa di aver aggredito, nel corso di una raccolta firme con tanto di gazebo, «suoi antagonisti politici che l’avrebbero riconosciuto in volto». I nemici sarebbero poi, a dire il vero, esponenti municipali del Partito di Bersani. «Indifesi un par di palle, in quel quartiere il dibattito è violento ed un consigliere democratico del IV municipio si rallegrava pubblicamente di un assalto ai danni di Zippo» dice Iannone.
Nel loro manifesto programmatico, propongono più giovani al potere, stop al caro-libri per gli studenti, aumento del 150 per cento delle ore di sport nelle scuole. Fanno campagne contro i libri di testo e «la speculazione delle editrici scolastiche», si schierano al fianco del popolo karen, di quello tibetano e di quello iraniano. Suggeriscono una «ricognizione storica sulle foibe», ma inciampano troppo spesso sulla continuità ideale col Ventennio (a proposito di errori: su Iannone pesa la condanna per aver aggredito a Predappio un carabiniere in borghese che aveva provato a sedare una piccola scaramuccia tra i brutti ceffi del servizio d’ordine ed un “pellegrino” piuttosto estroverso). La parola d’ordine resta: «lunga vita ai ribelli». Sono forse ancora in pochi (quasi 5000 iscritti), ma tessono la tela dei contatti in tutto lo Stivale grazie alla Rete, ma anche grazie ad atti dimostrativi.
Attacchinaggio selvaggio, graffiti macroscopici e simulate impiccagioni antibancarie sono le installazioni estemporanee in cui si cimentano. Si sono anche costituiti come “Associazione di Promozione Sociale” e possono beneficiare del 5X1000 da parte dei contribuenti italiani. Esistesse un loro Pantheon ideale o monumentale (esiste, all’interno di Cpi di Roma), dentro giacerebbero i simulacri di miti del calibro di Nietzsche, Plotino, Caio Giulio Cesare, Guevara, Mussolini, Tolkien, Dante, Pareto, Omero, Exupéry, Lucio Battisti. «Noi facciamo controcultura, gli Zeta Zero Alfa hanno dieci album all’attivo, giochiamo e siamo liberi. I punk, per esempio, negli anni Settanta non credevano nel conformismo borghese, si facevano le creste ed indossavano giubbini di pelle e spille colorate, decisero dal basso di combattere lo schifo. Oggi, nel Duemila, chi è che decide chi siano i ribelli? La tv, le major discografiche, i format si sono sostituiti al pensiero. Noi non ci stiamo».
Domenico di Tullio, legale del gruppo, ha anche pubblicato per Rizzoli “Nessun Dolore”, romanzo che esalta le gesta di chi occupa case sfitte, ballano a ritmo punk, e sono infine «intellettualmente ganzi più che mai». Discutono di informazione e celebrano il direttore di Radio Radicale, apprezzano Guareschi, si riappropriano dei testi di Rino Gaetano, incontrano nei prossimi giorni la comunità cinese romana, promuovono iniziative di protezione civile all’indomani del sisma abruzzese, difendono con la forza le occupazioni abitative (persino Enzo Raisi, potente finiano, solidarizza disinvolto su Facebook). Tempo fa scalpitavano per invocare le dimissioni dell’allora ministro Bondi, colpevole – a loro dire – di aver svenduto i monumenti del Regime in cambio di uno voto parlamentare di fiducia al governo Berlusconi da parte della SVP.
Non rinunciano a puntare compatti in direzione, come la chiamano, «Estremo Centro Alto». Inorridiscono al cospetto di chi evochi simpatie con il primo cittadino romano (in più, notizia nella notizia, Manfredi – figlio di Gianni Alemanno e nipote di Pino Rauti – è stato eletto agli organi studenteschi del proprio liceo proprio con le liste del Blocco). «Per quale ragione deve essere nostro amico? Me lo spieghi?» Eppure molto simile a CPI c’è un certo “Popolo di Roma”, movimento nostalgico nato a supporto della campagna dell’esponente della destra sociale nel PdL, sotto la guida di Giuliano Castellino che «è stato cacciato da CasaPound ed ora lavora con Alemanno, le nostre strade si sono separate – diciamo così». Nessuna simpatia? Non proprio, a guardare i patrocini agli eventi e le ospitate. Eppure «il sindaco di Roma prende i voti dei costruttori e dei palazzinari, della comunità ebraica capitolina, degli accoliti dell’Opus Dei, di una serie di situazioni a noi troppo lontane», precisa Iannone. «Non ci piacciono i suoi soldi, non è amico nostro. Tra Alemanno è Zingaretti, possibile che ci stiano sulle scatole tutti e due». Alle amministrative, quindi, promettono di restare fuori dai poli con un proprio candidato sindaco.
Resta inviolato il loro quartier generale in una casa occupata in via Napoleone III a Roma. Contro il libero mercato e l’usura degli affitti, contro la crisi del capitalismo; sono ormai presenti lungo tutto lo Stivale coi loro «spazi ed occupazioni non conformi» (a questo link la mappa di tutte le sezioni): centri sociali di destra, «molto più formativi», a loro dire, «di quelli di sinistra». Il modello è Capitan Harlock, il romantico “pirata tutto nero” che ispira le loro esperienze collettive “metapolitiche”. «Noi siamo per la libertà e non ci piace chi assume Savonarola come modello di riferimento», dice Iannone.
Si definiscono antisistema nostalgici e irriducibili. Oltre al folklore della liturgia marziale, vigono un sincero senso di appartenenza, una spicciola retorica negazionista e benaltrista sull’Olocausto, un’opposizione convinta alla massificazione ideologica, vantano qualche decina di eletti perlopiù ospitati dalle liste del PdL («ma in un paesino campano abbiamo sostenuto un sindaco del Pd»). «Vivi pericolosamente e disdegna la vita comoda» sono i loro motti, recentemente hanno trovato il proprio vate in Gabriele Adinolfi – ex militante di Terza Posizione e dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari (rientrato in Italia nel 2000, dopo un periodo di latitanza) ed oggi editorialista di punta delle loro riviste e moderatore fisso ai convegni.
Dal 2006 al 2008 i ragazzi di CasaPound sono stati federati alla Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, e Iannone fu pure candidato alle elezioni politiche nelle liste de La Destra di Storace che sosteneva la candidatura alla premiership di Daniela Santanché. Un’esperienza «traumatica» che portò all’espulsione di tutto il gruppo romano. Oggi sono aperti a sfide sempre nuove e distanti quello che definiscono il “compromesso partitocratico”.
Manifestazione di Casa Pound