Benvenuti in Italia, la terra dove ci si sente “sempregiovani”

Benvenuti in Italia, la terra dove ci si sente "sempregiovani"

Il tempo? Non è più quello di una volta. Mentre si riformano le pensioni e si allunga l’aspettativa di vita, cambia anche la nostra percezione dell’età. A quanti anni ci consideriamo giovani o vecchi? Rispetto a prima, oggi cominciamo a lavorare più tardi e continuiamo più a lungo. Così, mentre si trasformano le nostre abitudini occupazionali, perdono di significato gli antichi “paletti” generazionali che suddividevano le nostre vite.

“Negli ultimi vent’anni l’Europa è invecchiata”, rivela un rapporto realizzato da Eurostat che confronta i dati demografici del 1990 con quelli del 2010. Gli over 65 sono, mediamente, il 3,7% in più rispetto a prima. In Italia è andata peggio: l’aumento è stato del 5,2%. Nel nostro Paese, l’età media della popolazione è salita in due decenni da 37 a 43 anni. Sardegna, Basilicata, Puglia, Liguria, Lazio, Piemonte e Lombardia sono tra le entità regionali europee in cui il tasso di crescita è stato più elevato. 

Questa ondata di invecchiamento, però, non ci ha fatto sentire più vecchi. Anzi: più la nostra vita si allunga, più ci sentiamo mentalmente giovani, nel senso che tendiamo a spostare la soglia anagrafica della terza età sempre più lontano. Oggi tendiamo a indicare con il termine “vecchiaia” solo la coda estrema della vita. Secondo un sondaggio appena pubblicato da Eurobarometro, gli europei, in media, si considerano anziani al raggiungimento dei 64 anni di età. Con una differenza notevole tra stato e stato: in Olanda la vecchiaia arriva a 70,4 anni, in Slovacchia a 57,7.

E in Italia? Nello stivale si finisce di essere adulti solo a 68 anni. Il nostro, del resto, è uno dei Paesi in cui si vive più a lungo, e come conseguenza della longevità, tutte le fasi della vita si sono allungate: qui più che altrove, si arriva a 65 o 70 anni ancora in buona salute e pieni di energie e, di conseguenza, senza sentirsi vecchi. Ma questo può bastare a giustificare una percezione così “lontana” dell’anzianità?

«Ci sono anche due altri motivi che spiegano perché in Italia la soglia percepita di entrata in età anziana è più elevata» spiega Alessandro Rosina, sociologo dell’Università Cattolica di Milano. «Il primo è che tale soglia cresce al crescere dell’età. Ovvero se un ventenne tende a rispondere che un sessantenne è vecchio, un sessantenne tenderà a dire che la vecchiaia la si raggiunge dopo i 70 anni».

«Quindi, dato che la nostra popolazione è più vecchia rispetto alla media europea, il peso di chi sposta la soglia verso l’alto è maggiore. Inoltre, conta anche l’età media particolarmente elevata della classe dirigente. Noi siamo un paese guidato da persone con età media attorno ai 65 anni, quindi il concetto di vecchiaia come condizione di chi è inattivo, di chi non ha più impegni o responsabilità rilevanti, è nella percezione comune spostato più in avanti».

Non sta cambiando solo la nostra idea di vecchiaia. Anche il concetto di giovinezza ha esteso i suoi confini. Un tempo, si era giovani al di sotto dei trent’anni. Poi, l’asticella si è alzata a trentacinque. Oggi la giovinezza ha inglobato l’età adulta, tanto che gli italiani, secondo il sondaggio dell’Eurobarometro, si considerano giovani fino a 47 anni. Bamboccioni forever? «Anche qui c’è un legame con l’età» spiega Rosina. «Un ventenne tende a dire che si è giovani fino ai 30, un quarantenne fino ai 45, e così via».

«C’è però anche il fatto che in Italia i tempi di ingresso in età adulta, segnati dalle tappe del primo impiego, dell’uscita dalla casa dei genitori, della formazione di una propria famiglia, sono molto più posticipate rispetto agli altri paesi. In particolare, più a lungo si rimane nella condizione di figlio dipendente dai genitori e più tardi si diventa cittadino pienamente inserito nella società e nel mondo del lavoro». Non in tutta Europa è così: «In Danimarca poco dopo i 20 anni i giovani vivono già per conto proprio, in Italia è comune vivere ancora con i genitori oltre i 30 anni».

La nostra percezione dell’età, dunque, non soltanto rivela il modo in cui vediamo l’invecchiamento, ma smaschera anche le nostre convinzioni sociali e umane. Lo stesso termine “giovane” ha valenza diversa nei vari paesi. «In Italia significa soprattutto “soggetto immaturo”, indica una persona non pronta per responsabilità importanti», prosegue il sociologo.

Nei Paesi più avanzati e dinamici i giovani sono considerati come avanguardie del nuovo, rappresentano le componenti più importanti da valorizzare affinché il Paese cresca e sia competitivo. Non accade così in Italia: «Qui quando qualcuno più vecchio ti dice che sei giovane, nella gran parte dei casi ti sta dicendo che devi ancora aspettare il tuo turno», conclude Rosina.

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