Non è bastata la foto in prima pagina sulla Padania con i vertici della Lega Nord sorridenti a bere bicchieri di vino, per spegnere le contestazioni interne al movimento di Umberto Bossi. Anzi, alla fine degli interventi dal palco della manifestazione di Milano contro l’esecutivo «infame» (copyright Bossi), l’europarlamentare Mario Borghezio, da sempre attento agli umori della pancia padana, taglia corto con Linkiesta: «Con tutta questa gente dovevamo calcare di più la mano contro Monti, ma non ci siamo riusciti. Mi dispiace, è stato un peccato».
Il motivo del freno a mano tirato sta tutto nello scontro interno a partito tra i fedeli di Roberto Maroni e il cerchio magico di Bossi. Perché se da un lato la folla chiedeva a gran voce che Bobo parlasse di fronte a piazza del Duomo, dall’altra è stato lo stesso Senatùr a preferire che nessuno tra barbari sognanti e cerchisti prendesse la parola. Il Capo è tornato a prendersela con i giornalisti di «venduti e di regime» che parlano delle divisioni interne. Ma Marco Reguzzoni, ex capogruppo alla Camera è rimasto in disparte «attapirato», come lo ha definito qualcuno. Ha stretto la mano al nuovo capogruppo Giampaolo Dozzo, ma lui e Maroni non si sono neppure salutati. E gli stessi maroniani di ferro hanno preferito restare nelle retrovie, lasciando solo a Bobo la scena.
Il popolo padano, arrivato in forze, («siamo di più del popolo arancione di Pisapia», ricorda il presidente del consiglio regionale Davide Boni), è rimasto a bocca asciutta. Divisi in piazza, ma attenti a non fiatare con i giornalisti («Io con mia moglie sto sempre bene”, dice un iscritto al Sindacato Padano»), le fazioni erano così schierate. A destra del palco Monica Rizzi, sponsor di Renzo Bossi detto il Trota (assente), che regalava bandiere con la scritta Bossi in rosso. Dall’altra le sezioni di Mantova, Pavia, Como o Bergamo che intonavano cori contro il cerchio. Alla fine tra medi e vaaffa, l’unico vero attacco, l’Umberto, lo ha rivolto all’ex alleato Silvio Berlusconi e al governatore Roberto Formigoni. «Silvio se non fai cadere il governo, noi facciamo cadere la regione Lombardia». È la sorpresa che Bossi aveva promesso mercoledì a Varese. Frase che rischia di rappresentare un macigno sui complessi meccanismi che regolano l’asse del Nord nelle regioni settentrionali. Dal momento che il Senatùr ha anche ricordato che al Pirellone «ormai stanno arrestando tutti». Qualche leghista la interpreta così: «Aspettiamo il rimpasto di Formigoni, poi decideremo»
A parte questo, però, sono state le beghe interne a farla da padrone. Lo stesso Bossi è stato costretto più di una volta spegnere i fischi e le contestazioni contro Rosi Mauro. «Quelli che vogliono rompere la Lega bisogna si diano la mano davanti a tutti perchè fratelli siamo. Speravano che ci rompessimo», ha spiegato il Capo mentre piovevano fischi sulla vicepresidente del Senato nata a Barletta, «ma invece io li ho riuniti tutti e si sono dati la mano e questo è il vero segnale di unità». Non deve essere bastato. Anche perché l’effetto del mancato intervento di Bobo è stato quello di un boomerang, con le agenzie di stampa che hanno subito sottolineato come i fischi fossero tutti rivolti all’indirizzo del Senatùr.
Del resto, il cambiamento in casa della Lega Nord è ormai sotto gli occhi di tutti.
La maggior parte dei cartelli era contro Monti, ma forse anche di più se ne intravedevano contro il famigerato clan di Gemonio. E via «Cerchio Sparisci». Oppure adesivi con la scritta «Barbaro Sognante», motto della Lega degli onesti di Maroni. Oppure ancora «I Tosi e i Maroni smontano i cerchioni». Uno è emblematico: Sotto la scritta cerchio tragico la foto di Bossi e la Mauro assieme con sotto scritto «aiutiamo il soldato Bossi». Per qualche ora si è pure creato un giallo sui fischietti. «Sono per fischiare Maroni?». «No per Reguzzoni». «Me lo hanno dato, ma per fare casino». Virgolettato quest’ultimo che appartiene di fatto a una terza Lega che di «scazzi» non vuole più sentire parlare.
In linea con le frizioni interne, però lo stesso statista di Gemonio ha modificato ormai il suo lessico standard. Nel settembre del 2010, a pian del Re, durante il Rito dell’Ampolla ricordava ancora «la premiata ditta Bossi-Calderoli». Oggi la frase di rito è questa: «Sappiamo tutto io e Maroni». L’ex capo del Viminale ha ricevuto ancora una volta la benedizione del Capo, in attesa di quei congressi nazionali che dovranno sancire pesi e misure dentro il Carroccio.
«È stata un’occasione persa, ma l’importante è che la gente sia ritornata protagonista della vita politica. Questa è la cosa più importante», chiosa il sindaco di Varese Attilio Fontana, maroniano di ferro. E su questo il primo cittadino della Nazareth del Carroccio non sbaglia. Sono arrivati perfino dalla Sicilia per ascoltare Bossi e Maroni. Ferdinando De Francesco da Enna con bandiera siciliana e foulard verde vuole essere il punto di incontro tra Lega Nord e il movimento dei forconi. «Abbiamo chiesto che Maroni si candidi a sindaco di Palermo. Io ho la tessera onoraria della Lega da più di dieci anni». Così pure Umberto Fusco, capogruppo della Lega Federalista nel consiglio comunale di Viterbo, accorso con un pullmann di 53 persone dal Lazio. «la prima volta che ci accolgono», dice. Da noi vengono spesso tanti senatori della Lega, ma vogliamo che venga a trovarci Bossi». Sulle questioni interne Fusco è tranquillo: «Non ci mettiamo in mezzo, l’importante è essere uniti». Difficile con una Lega così.